Recensione a “Nemici di ogni frontiera”, lotta ai Cpt nel Salento, ed. Anarchismo, 2019

“Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati alla vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra di loro. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. Innumerevoli eventi, o microeventi, si succedono in un tempo brevissimo” .
G. Rodari, Grammatica della fantasia

A distanza di un lustro dalla sua pubblicazione, e di circa un ventennio dagli avvenimenti narrati, questo libretto va ad aggiungersi alla lunga lista di una certa categoria della pubblicistica anarchica: quella dei tentativi falliti.
A mio parere, infatti, la raccolta degli scritti contenuti voleva essere esattamente questo: un sasso gettato nello stagno, con l’intento di smuoverne un minimo le acque, provare a intorbidirle e incresparle; formare cerchi concentrici che si allargano sempre più, raggiungendo le sponde in tutte le direzioni possibili nella speranza che qualcuno, affascinato da quel movimento ondulatorio, lanciasse a sua volta altri sassi nello stagno, in un continuum che impedisse alle sue acque di tornare chete.
Il libretto raccoglie una considerevole quantità di scritti – volantini, manifesti, dichiarazioni in
tribunale, ecc. –, spesso accompagnati dal riferimento della circostanza in cui, o per cui, sono stati elaborati, attraverso i quali si può ripercorrere piuttosto agevolmente il percorso di lotta portato avanti contro il primo centro di internamento per immigrati senza documenti istituito in Italia: il famigerato “Regina Pacis”, il cui direttore era il non meno famigerato don Cesare Lodeserto, prete, aguzzino, picchiatore. Dagli ultimi testi apprendiamo peraltro che ora dovrebbe svolgere il suo caritatevole ruolo in Moldavia, “in missione per conto di Dio”, ed alla luce del conflitto russo ucraino e del conseguente esodo di profughi anche in quella nazione, possiamo ipotizzare che stia continuando a dispensare accoglienza anche in quei luoghi, forte dell’esperienza maturata sul campo nel Salento…
Dalla lettura degli scritti, raccolti in ordine temporale, traspare bene un altro aspetto. La
consapevolezza di coloro che hanno portato avanti quella lotta, che dai primi scritti di critica si fa via via sempre più serrata e puntuale, sintomo di una maggiore capacità di analisi e riflessione che pare conseguenza di approfondimento, discussione e confronto costante nel corso dell’avanzare della lotta stessa. Di pari passo pare crescere la determinazione nell’attacco, inteso in senso ampio, frutto di una raccolta di informazioni puntuale e minuziosa su tutto il meccanismo che gravita attorno alla gestione del centro; una determinazione che ha portato in un lasso di tempo relativamente breve – parliamo di circa tre anni – un manipolo di compagni ad essere sempre presenti, costante spina nel fianco per coloro che contribuivano al funzionamento del centro: istituzioni, gestori, politici.
Ma perché la pubblicazione di questo libretto rappresenterebbe un tentativo fallito? In fondo le
lotte contro i centri di internamento per immigrati senza documenti, in tutte le loro evoluzioni
linguistiche – Cpt, Cie, Cpr –, in questi venti anni ci sono sempre state, grazie all’impegno e al
coraggio di tanti compagni e, seppure tra alti e bassi, tra periodi di stallo e picchi di conflittualità anche piuttosto alti, l’attenzione rivolta a questi luoghi di reclusione non è mai venuta meno.
Quello che si è verificato, però, ed in questo senso tra le righe di questo opuscolo bisognerebbe
trovare degli spunti, è stato lo sclerotizzarsi di un certo modo di impostare l’opposizione, che pare non si riesca a scardinare. La continua riproposizione di uno schema fisso, per quanto collaudato, su cui ci si adagia, ma che chiude gli spazi a qualsiasi tentativo nuovo, ancora da inventare, e di conseguenza anche a qualunque nuovo sforzo d’immaginazione.
L’aspetto che pare trasparire dagli scritti contenuti nel libretto è quello di una lotta assolutamente non votata all’attivismo, bensì impostata a ostacolare il funzionamento del centro di internamento prima, e puntare alla sua chiusura successivamente. Una proposta chiara, accompagnata da tenacia e determinazione costanti, e non dall’intervento sporadico e altalenante in occasione di episodi più o meno gravi quali possono essere una rivolta, un’evasione, uno sciopero della fame o degli atti di autolesionismo che si verificano all’interno della struttura. La consapevolezza, invece, che è la stessa esistenza di un luogo di detenzione che dovrebbe spingere a battersi per la libertà. Ma tutto ciò ancora non basterebbe, perché lottare esclusivamente contro una struttura specifica del dominio, senza connettere la sua esistenza a tutto il restante meccanismo di sopraffazione e controllo, sarebbe lotta e critica esclusivamente parziale, incapace di chiarificare esattamente il ruolo che ogni singolo tassello assume all’interno del puzzle totalitario; ecco perché in tanti dei discorsi affrontati dai Nemici di ogni frontiera in quegli anni il ruolo del Cpt è legato ai discorsi sulla guerra, sulla spoliazione dei territori, sul ricatto della manodopera e sulla schiavitù salariale
immigrata tanto quanto autoctona –; ecco perché trattano di controllo sociale e repressione,
traendone le ovvie conseguenze: lottare contro un centro di reclusione per immigrati significa
anche lottare contro lo Stato e il capitalismo, e non si possono debellare completamente i primi
senza distruggere i secondi.
Da alcuni anni questo aspetto sembra essere un po’ perso di vista, e quello che si cerca di fare, un po’ su tutto il territorio nazionale, è stabilire un contatto continuo ed assiduo con coloro che si vivono la situazione di reclusione, nella speranza che un rapporto diretto ci dia la forza e il coraggio di muoverci, oppure ci fornisca informazioni che sembra non si sia più capaci di raccogliere autonomamente. Ma abbiamo davvero bisogno di ciò per attivarci in maniera costante ed incisiva?
Quantomeno per gli anarchici, è necessario sapere che i pasti vengono imbottiti di psicofarmaci, oppure che qualcuno venga picchiato o ci siano casi di autolesionismo o tentativi di fuga per avvertire l’impeto di agire? E poi, quando anche si stabiliscano dei contatti, cosa possiamo fare noi realmente per chi è recluso? Certo, possiamo portare fuori la loro voce, ma a meno che non si sia in grado di organizzare un’evasione, poco cambia per la loro condizione. Il loro scopo, assolutamente legittimo, è uscire dal centro ed evitare il rimpatrio, ed allora forse più di noi possono fare gli avvocati o un giornalista che riscontra una qualche stortura particolarmente eclatante, oppure ancora qualche associazione che si occupa di diritti umani e simili falsità democratiche. Ma gli anarchici non possono e non devono sostituirsi a queste figure, sia per non rischiare di intraprendere un lavoro di peloso umanitarismo, che per non trasformarsi o sostituirsi a gente che, peraltro, combattono e disprezzano.
L’idea anarchica, in fondo, è un’idea semplice, un’idea di libertà, ed è perseverando nella ricerca di questa idea che possiamo tentare di elaborarne di nuove, sviluppando nuove pratiche per avanzare verso di essa; intraprendere la via del soccorso umanitario, per quanto sia umanamente comprensibile, rischia invece di lasciarci legare dalla frustrazione quando non raggiungiamo i nostri obiettivi, e legati si avanza difficilmente verso la libertà. Connettere tra loro quei fili che uniscono l’aspetto particolare della detenzione amministrativa a quello generale della lotta contro lo Stato permette di distanziarci dai gruppi di democratici che criticano quei posti solo per i loro aspetti inumani e “illegali”, ma permette anche di fare un discorso esclusivamente “nostro”, anarchico. Molto più ampio, e forse anche molto più difficile da affrontare e veicolare, ma che lascia anche aperto un ventaglio di possibilità di intervento, per alcuni aspetti, decisamente maggiore.
Ecco, a mio avviso, quale è stata la differente qualità dell’esperienza che racconta questo libro.
Perché, come è scritto nell’introduzione le strade percorse “sono state molteplici. Molteplici, ma non contraddittorie, in quanto orientate da quelle convinzioni che servivano a illuminare il
nostro cammino: l’autogestione della lotta, la conflittualità permanente e l’attacco diretto […]
consapevoli che ciò che andava ad incidere sulla lotta era esclusivamente il suo aspetto
qualitativo, e non già quello quantitativo.
[…] Nonostante la mancanza di rapporti, se non sporadici, tra noi fuori e loro dentro, ciò non ha impedito che si sviluppasse una lotta comune. Comune, non una lotta assieme, perché non c’è dubbio che i fastidi che si progettavano e concretizzavano fuori andavano inevitabilmente a
dialogare con le rivolte e le evasioni che si realizzavano dentro. In un non combinato dialogo a
distanza, i fili delle lotte si annodavano, andando a comporre una unica e più estesa opposizione al centro”.
Abbandonare i percorsi conosciuti e provare a segnare nuovi sentieri, tentando di elaborarne il
tracciato quando, seduti a bordo dello stagno, siamo soli con noi stessi, con la nostra rabbia e la nostra frustrazione. Questa è forse la via da tentare, in ogni lotta, quando la strada battuta ci porta in un vicolo cieco. Ricominciare daccapo aprendosi alla fantasia; lanciare nuovi sassi nello stagno e lasciarsi trasportare dalle sue increspature, alla ricerca del non noto.
Il Cpt “Regina Pacis” ha chiuso i battenti nel 2005, mentre molti altri venivano aperti su tutto il territorio nazionale e continuano a proliferare, frutto di politiche del contenimento dei flussi
migratori che sono rimaste pressoché identiche con l’alternarsi dei Governi di diverso colore. E
allora pare già di sentire l’eco del solito intelligentone realista: quindi perché battersi per chiuderlo, se tanto poi ne riaprono un altro? Mi piace rispondere con le parole di un caro compagno, scritte a proposito di tralicci abbattuti.
«Ma poi, non li ricostruiscono? Obiezione immancabile, che ho sentito mille volte.
Certo che ricostruiscono puntualmente tutti i tralicci dell’alta tensione abbattuti, e lo stesso per
gli altri obiettivi raggiunti dalla rabbia e dalla fredda decisione di sabotare il capitale nelle sue
strutture, se non altro visibili. Ma l’obiezione fiorisce subito sulla bocca degli sciocchi che
guardano sempre il cielo prima di uscire per paura di bagnarsi».
Telamone

Tratto da “Inattuale n. 2, agosto 2024”

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Il controllo tecnologico

Difficile capire il livello di incomprensione in cui versiamo quasi tutti per quanto riguarda uno degli scopi primari della tecnologia, il controllo.

Il potere, a qualsiasi livello, è interessato a conoscere le reazioni dei dominati, dalle preferenze alimentari ai livelli medi di istruzione, dalle scelte politiche in generale agli orientamenti specifici (destra e sinistra sono indirizzi ormai obsoleti), dalle scelte di abbigliamento alla distribuzione dei redditi, e tante altre modulazioni puntualmente registrate e altrettanto puntualmente disdette dalle ricerche statistiche.

Molti sforzi e molti investimenti sono stati utilizzati per capire questi flussi di orientamento e per mantenerli sotto controllo, evitando che producessero richieste molto particolareggiate e poco prevedibili. Anche quando sono apparsi improvvisamente (ma non troppo) comportamenti massivi mai osservati prima, ad esempio il caso del maggio 1968, non solo si è corso ai ripari velocemente, ma esaminando in maniera approfondita il fenomeno ci si è accorti in breve tempo che le nuove tendenze non erano del tutto fuori sintonia e che bastava aggiustare di poco il controllo sulla circolazione di alcuni modelli d’uso comune e tutto tornava alla cosiddetta normalità.

La presenza massiccia della tecnologia in qualsiasi aspetto della vita sociale contemporanea non viene colta fino in fondo se non si studia bene la scomparsa del classico dualismo tra umanesimo e tecnica. Questa separazione si è andata dapprima affievolendo per poi scomparire del tutto e l’affievolirsi ha avuto come causa l’abbassarsi del livello culturale medio. Da un canto gli studi tecnici anche ai livelli universitari, preparano sostanzialmente operai specializzati, anche se dotati di laurea, mentre il settore umanistico, che culturalmente dovrebbe fare la differenza, spingendo i tecnici a elevarsi dalla loro chiusa atmosfera meccanotecnica, si è talmente impoverito da sfornare a stenti alfabetizzati. Tutto questo pur persistendo delle piccole eccezioni, poche centinaia di persone, particolarmente seguite dal potere, utilizzate per fare meglio funzionare gli apparati di ricerca e i progetti di controllo.

Di per sé l’accesso della tecnologia nell’ambito culturale ha favorito l’appiattimento complessivo, in quanto per certi utilizzi di ricerca, escludendo quindi la mera esecuzione dei progetti, non occorrono grandi preparazioni culturali ma soltanto specifiche competenze tecniche. In queste condizioni, comprendere l’intrusione della tecnologia nell’intera vita dell’uomo conpemporaneo, e quindi approntare bene o male una qualche resistenza, è diventato difficile se non impossibile. Il nostro istupidito cervello ci porta a pensare che spegnere il cellulare d’ordinanaza o mantenersi lontani dai circuiti sotto controllo sia sufficiente per contrastare un processo che ha non solo ben altre potenzialità ma anche ben altre intenzioni.

La costruzione del nostro gusto o le modulazioni del nostro individualissimo (si fa per dire) erotismo, sono sistemi tecnologici di controllo molto più sofisticati della lucetta che campeggia all’ingresso di un qualsiasi supermercato. La tecnologia imprime il suo sistema d’urto basato sul controllo in modo da fare pervenire un messaggio oppressivo e onnicomprensivo, il tutto accompagnato da una sempre crescente incapacità di rendersi conto dei limiti e delle potenzialità di questo non individuabile progetto. Il controllo è un principio metafisico che regge le basi di una convivenza in cui la risposta, necessaria per sentirsi vivi e non oggetti incasellati sul banco di una qualsiasi distribuzione automatica, viene accantonata per sempre attraverso l’accettazione di una condizione non duramente repressiva. Tutto l’indirizzo tecnolgico di controllo è diretto quindi a costruire una condizione morbida che riduca al minimo le reazioni capaci di creare sacche di non-controllo, non ammissibili dal meccanismo stesso che è stato fatto entrare nell’ambito della vita quotidiana. Non abbiamo davanti un interlocutore posto di fronte a un pannello dove deve pigiare a destra o a manca dei pulsanti, ma un progetto autoprodotto che ingloba la totalità delle controversie immaginabili dei singoli capitali sempre in competizione tra loro.

Di fronte a una presenza onnicomprensiva, avente la tendenza autodiretta a impadronirsi della totalità stessa del vivere in società, parlare di controllo come scopo primario e quasi esclusivo della tecnologia è riduttivo e sbagliato. In fondo lo scopo inconfessabile della tecnologia nel suo complesso, intesa quindi come insieme che comprende tutti i sottoinsiemi possibili costituiti dai singoli capitali in competizione tra loro, è quello di ridurre il controllo a un livello sempre più accettabile e aumentare la condivisione attraverso una serie di processi di uniformizzazione costruiti attraverso le potenzialità tecnologiche stesse.

Se si uniforma il gusto della moda e della scelta, se si desidera lo stesso modello di uomo e di donna, non quello fatto vedere nei cataloghi o nelle sfilate di moda, ma al di sotto, ben al di sotto, impoverito e modulato in maniera accessibile e accettabile, se le risposte divergenti vengono polverizzate verso obiettivi minimali e senza un vero e proprio contenuto sovversivo, tutto questo movimento automaticamente messo in moto dall’insieme tecnologico stesso può ben ridurre l’attenzione di controllo. Se la lotta contro il potere è indirizzata in maniera fittizia su simboli linguistici, scelte gastronomiche, cartelli stradali, scritte murali, generi e tutto il resto, se l’attacco sovversivo al potere concreto diventa un circo in cui le pulsioni vengono modellate al minimo sulle mode uniformanti che ormai dilagano dappertutto, la tecnologia può ridurre i suoi progetti di controllo totale, per altro ormai reso possibile dalle più avanzate scoperte scientifiche. Questo vuol dire che, in generale, non tutto quello che oggi si può fare viene fatto, ma che la tecnologia produce ciò di cui ha bisogno per rendere onnicomprensiva la sua presenza all’interno della vita di ciascuno di noi, senza sprechi e senza fughe in avanti.

Queste riflessioni, aprono una prospettiva di attacco che potremmo considerare in modo diverso da come si è fatto in passato. Le singole strutture fisiche che rendono possibile l’incubo tecnologico nel suo complesso, non a livello locale ma a livello globale, sono pur sempre gli oggetti portanti del progetto in questione, e con loro, va da sé, gli uomini che nei singoli comparti, quasi senza nessun contatto tra di loro, concorrono a realizzare lavorando nella totalità dei casi solo in nome del profitto del singolo capitale. Ed è ovvio che così si individuano due obiettivi che però non devono essere per forza in cima ai pensieri dei rivoluzionari che intendono ridurre le conseguenze immediate della tecnologia in azione.

E poi? Ecco la domanda che ci si deve porre oggi. Il processo tecnologico non si conclude con quella rete di fili e di raccordi sotterranei ed aerei, con quelle cattedrali più o meno in pieno deserto, che abbiamo individuato da tempo, e di cui abbiamo parlato a lungo, ma si allarga di molto.

Che la rete bancaria universale sia uno dei punti essenziali per il funzionamento tecnico del mondo è cosa facile a capirsi, ma si tratta di un rapporto diretto che per la sua ovvietà non varrebbe nemmeno la pena sottolineare. Tutti siamo immersi nel sistema bancario mondiale, senza di esso nessuno di noi potrebbe sopravvivere o dovrebbe immediatamente fare ricorso a pratiche che non molti sono in grado di realizzare per mancanza di mezzi e anche per un implicito effetto del sistema tecnologico stesso. Restando nel tema, la circolazione del denaro rende possibile la distribuzione delle merci e da quest’ultima deriva la possibilità del consumo e, così stando le cose in questo momento storico, la nostra vita. Non è certo con sorpresa che scopriamo adesso che la nostra è una vita di merda perché l’abbiamo consegnata da tempo nelle mani adunche di protesi tecniche inserite in un combattivo conflitto tra capitali su di un terreno di scontro che non è sbagliato considerare planetario. Questo per prendere un singolo aspetto non certamente secondario ma non fra i più importanti perché direttamente collegato attraverso il rapporto produttore-consumatore. E le banche sono state da sempre uno degli obiettivi privilegiati per un attacco da parte dei rivoluzionari che non si limitassero a vendere parole agli angoli delle vie.

Prendiamo un altro aspetto della struttura tecnologica, la costruzione dell’erotismo individuale. Ognuno di noi avverte le proprie pulsioni erotiche e le considera quanto di più personale ci sia, ci riflette poco sopra, quando ne parla con qualcuno lo fa con un certo pudore e tutto il resto che ben conosciamo. Ma non sono in molti ad avere riflettuto sul fatto che il modello erotico medio che grosso modo tutti noi accettiamo, fatte le dovute eccezioni, è una costruzione della tecnologia.

La circolazione delle idee, quindi anche il livello culturale medio, la possibilità stessa di entrare in contatto con altri esseri umani e instaurare con loro possibili rapporti erotici, vengono gestiti dalla tecnologia, anzi è una delle attività più impegnative che quest’ultima pone in atto perché da essa derivano altre attività strettamente collegate al consumo. E a questo punto si apre un problema serio. Come fare ad attaccare un processo repressivo tanto intimo e così penetrato all’interno di ognuno di noi? Anche qui ci sono molti modi di attaccare. In fondo una sfilata di alta moda, un negozio di biancheria intima, un produttore di film porno, un ristorante gestito da un pontefice della culinaria, perché dovrebbero essere considerati meno responsabili di un traliccio dell’alta tensione? O cominciamo a porci queste domande e a ragionare in termini globali per quanto riguarda il problema della tecnologia, o non faremo mai dei passi avanti nei confronti del nemico che ci sovrasta.

Continuiamo, ma il discorso potrebbe allungarsi di molto, è uno degli elementi terminali dove il processo tecnologico in atto realizza la produzione della materia prima che gli serve per la fase produttiva che ormai non si può nemmeno definire post-industriale. In qualunque modo si consideri la cosa, occorre una mano d’opera alfabetizzata ma non acculturata. Mille strumenti sono stati usati per ottenere questo splendido risultato, perfino il detorunement dei movimenti cosiddetti rivoluzionari del passato che una volta soddisfatte le richieste imbecilli del primo momento non hanno saputo cos’altro chiedere e sono stati risucchiati nel vortice collaborazionista. L’abbassamento culturale della scuola serve da livello medio globale per qualsiasi altro settore sociale. Il lavoro ormai ha bisogno solo di servi schiocchi divisi in gruppetti isolati dove piccoli caporali ripetono sceneggiate sindacali del passato ormai prive di senso. Anche qui, l’attacco, come accadeva in passato, non dovrebbe essere un grave problema.

Non ci sono obiettivi privilegiati, qualsiasi obiettivo scolastico è buono perché cattivo, perché asservito, perché ormai inservibile, perché ridicolmente stupido. Forse i più piccoli livelli assolvono ancora all’insostituibile compito dell’alfabetizzazione, ma del resto, salendo ai piani alti, non c’è dubbio che si potrebbe farne benissimo terra bruciata.

La tecnolgia merita un approfondimento che non possiamo condurre qui fino in fondo, rischieremmo di farla troppo lunga. Preferiamo rinviare ai prossimi numeri della nostra rivista. Se quello che diciamo ha un senso, aspettiamo anche di sapere cosa ne pensano i compagni che ci leggono.

Ernesto Pris

marzo 2017

Negazine, n. 1, 2017, ed. Anarchismo

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Musica e aperitivo benefit “Fiera dell’editoria anarchica”

Domenica 27 aprile dalle 19:30

Musica e aperitivo benefit con:

Dj LO TEK da San Pietroburgo, post punk, hip hop, hardcore.

Biblioteca anarchica disordine, via delle anime 2/b Lecce

disordine@riseup.net

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Pensiero e azione. Sesta fiera dell’editoria anarchica. Programma completo

SABATO 10 MAGGIO

ORE 15.00 APERTURA STAND

ORE 16.30 LA TECNOLOGIA COME PROCESSO DI DEREALIZZAZIONE

Discussione a partire dalla rivista “Negazine”, ed. Anarchismo. A cura di alcune redattrici

Una realtà diminuita, svalutata, impoverita; si pensi al non capire quello che sta davanti, nel suo insieme, dai progetti di sfruttamento ai progetti delle tecniche, dove tutto diviene sfumato e finisce per perdersi sullo sfondo, dove si diviene succubi di qualcosa che a poco a poco sottrae la vera essenza. Questa è l’analisi che si è cercato di sviluppare in questa rivista con l’idea che “colpire gli interstizi esistenti delle tecniche” sia ancora possi bile e visibile.

ORE 18.30 RIFLESSIONI SPARSE SU CRASS, PUNK E ANARCHIA

A cura di Dethector, pilota dell’omonima etichetta e collaboratore di Stella*Nera

Crass: un collettivo punk anarchico attivo dal 1977 al 1984, sette anni di attività musicale e politica; canzoni di protesta, amore e rabbia; un’etichetta discografica, sinceramente e e realmente, indipendente; una miccia accesa che ha contribuito ad accendere altri fuochi.

ORE 21.00 CENA BENEFIT

DOMENICA 11 MAGGIO

Ore 11.00 PROSPETTIVE DI LOTTA CONTRO I CENTRI DI DETENZIONE PER MIGRANTI.

Discussione a partire dal libro Nemici di ogni frontiera. Lotta ai Cpt nel Salento, ed. Anarchismo, 2019. A cura di Alcuni nemici di ogni frontiera

Lottare esclusivamente contro una struttura del dominio, senza connettere la sua esistenza a tutto il restante meccanismo di sopraffazione e controllo, sarebbe lotta e critica esclusivamente parziale, incapace di chiarificare esattamente il ruolo che ogni singolo tassello assume all’interno del puzzle totalitario.

Ore 13.30 PRANZO BENEFIT

Ore 16.30 SE IL LINGUAGGIO TECNOLOGICO SI SOSTITUISCE ALLA POESIA E AL SOGNO…

Presentazione del libro L’eccesso di realtà. La mercificazione del sensibile, di Annie Le Brun, ed. BFS, 2020. A cura di Martina Guerrini, più mostra sull’autrice.

Nella società connessionista vi è una realtà eccessiva che la saturazione di informazioni e immagini nutrono forzatamente fino a modificare l’idea di tempo e di spazio. La scomparsa della metafora, dunque della poesia, impedisce di trovare le parole per dirsi, imponendo un dominio linguistico che mercifica lo stesso sensibile individuale. Questa guerra contro il corpo corrisponde a una sorta di reticolatura degli spazi sensibili, oltre che di quelli fisici.

Ore 20,30 CHIUSURA FIERA

c/o Asfalto Teatro, via D. Birago, 60 Lecce

CONTATTI:

Biblioteca Anarchica Disordine

via delle Anime, 2/b Lecce

disordine@riseup.net disordine.noblogs.org

fiera 6

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Pensiero e azione. Sesta fiera dell’editoria anarchica

Due giorni di diffusione e propaganda delle idee anarchiche. Due giorni di libri, incontri, presentazioni e discussioni, per parlare della storia e dell’attualità del pensiero e dell’azione anarchica, del legame indissolubile che le unisce e della loro capacità di incidere nel mondo nella prospettiva di cambiarlo.

Sabato 10 e Domenica 11 maggio

C/O Teatro Asfalto, via Birago 60, Lecce.

Contatti: Biblioteca anarchica disordine, via delle anime 2/b Lecce

disordine@riseup.net, disordine.noblogs.org

A brevissimo il programma completo.

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Anarchist libraries

Tornare ai libri, tornare alle idee

“La gente assimila sempre meno. Tutti sono sempre più impazienti, più agitati e irrequieti. Le autostrade e le altre strade di ogni genere sono affollate di gente che va un po’ da per tutto, ovunque, ed è come se non andasse in nessun posto. I profughi della benzina, gli erranti del motore a scoppio. Le città si trasformano in auto-alberghi ambulanti, la gente sempre più dedita al nomadismo va di località in località, seguendo il corso delle maree lunari, passando la notte nella camera dove sei stato tu oggi e io la notte passata.”

Ray Bradbury – Fahrenheit 451

Tornare alle radici, tornare alla solidità materiale. Alle discussioni reali, luoghi fisici di scontro prima che di incontro. Di fronte a una realtà che si sbriciola tra le nostre dita, a una memoria di ciò che è il pensiero anarchico che scompare di fronte al bispensiero mediatico e alla dolce costrizione dei nuovi canali comunicativi, non si poteva che ambire a ripensare il rapporto conflittuale tra ciò che questo mondo impone – la digitalizzazione e la dematerializzazione delle relazioni – e ciò che di antiquato portiamo in cuore e non siamo disposti ad abbandonare – il rifiuto del consenso e l’amore per gli incontri unici e sensuali tra individui in lotta contro questo esistente.

Perché andare ancora in una biblioteca anarchica? Perché sacrificare ore e giorni della propria vita per tenere una porta aperta all’incontro fortuito piuttosto che chiudersi nella perpetua reperibilità senza sforzo del sito internet? Perché c’è dell’altro.

Alimentare la nascita di oscure alcove in cui la stampa e la discussione si mescolano significa continuare a soffiare su delle braci che vogliamo far divampare. Significa non arrendersi all’irreversibilità della perdita del significato, l’appiattimento del linguaggio, l’inutilità della fisicità nel comunicare i propri desideri. Significa non arrendersi all’isolamento ma restare sempre desiderosi e fiduciosi di poter incrociare degli occhi che sentiamo bruciare all’unisono col battito del nostro cuore. E questo incontro non può che avvenire sulla base delle idee. Incontreremo tante persone nella nostra vita, certo. Condivideremo passioni e interessi, giorni di gioco e notti d’amore, ma saranno pochi gli individui che marchieranno a lettere di fuoco il percorso della nostra vita. E quando questi sogni soffocano, ripartire dalle idee è l’unico modo per restare vivi. Non arrendersi alla mediocrità della sopravvivenza è anche continuare ad urlare per le strade chi non siamo e cosa non vogliamo. Tendere l’orecchio e cercare una tenue eco dei nostri sogni, che a volte giunge impensabile ed in modi imprevisti. Il tessuto sociale non è un mistero da svelare con la determinatezza scientifica del processo di causa ed effetto.

www.anarchistlibraries.network

Proponiamo quindi un non-sito, un piccolo assaggio di qualcosa di più grande, che può essere tale solo se si raccoglie la sfida di voler continuare a interrogare il mondo nella sua fisicità, continuare a tenere aperta quella porta, da cui far entrare la rabbia viscerale e da cui uscire con pensieri e azioni inconciliabili con questa opprimente pacificazione sociale, questo clima di guerra e apocalisse, questa soppressione dell’unicità individuale.
D’altro canto, condividere le informazioni comporta già di per sé una maggiore visibilità per i diversi spazi che conservano collezioni e vogliono renderle accessibili e visionabili. Anche perché se a livello globale c’è uno spazio virtuale in cui condividere materiale anarchico che invogli a rendere vivi gli spazi fisici, migliorando collaborativamente la qualità delle descrizioni/metadati e soprattutto che faciliti la stampa e la diffusione di tale materiale nel mondo esterno, allora sì che pensare oltre ai confini nazional-linguistici ed alle Chiese può diventare un elemento di rottura con questo mondo. In ogni caso, abbiamo inserito una funzione di “omissione” per cui ogni spazio può decidere cosa mostrare e cosa no durante il processo di ricerca dal proprio account: non si tratta quindi di trovare un consenso forzato su cosa sia anarchico e cosa no, ma ogni gruppo di persone può operare indipendentemente le proprie valutazioni e le proprie considerazioni. Anche questo è un elemento per cui in questo progetto, che non vuole diventare un’identità politica o un riferimento di “appartenenza”, si possano ritrovare sensibilità e progettualità accomunate dall’essere nemiche dell’autorità ma con diverse sfumature e anche grosse divergenze progettuali.

Come contribuire

Attraverso anarchistlibraries.network vorremo supportare la diffusione delle idee anarchiche rendendo ricercabili, stampabili e migliorabili (collaborativamente) i diversi database; dare visibilità agli spazi fisici che conservano al loro interno biblioteche e archivi anarchici.

Potete contribuire al progetto condividendo i vostri materiali e migliorando i metadati e la completezza delle informazioni.

La condivisione dei propri archivi può avvenire in vari modi (come spiegato nelle note tecniche).

Per qualsiasi richiesta o per aggiungere la vostra fonte di dati contattateci. Verrete aiutati e supportati per organizzare al meglio l’importazione del catalogo e la creazione del vostro profilo:

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Tutto scaricabile?

La riproposizione online di testi e scansioni di libri e riviste, antiche quanto contemporanee, non è una pratica universalmente condivisa. È possibile inserire il proprio archivio utilizzando diverse possibilità:

Realtà pubblica e catalogo accessibile – Tutti i progetti che sono pubblicamente accessibili e che vogliono rendere il loro catalogo liberamente consultabile online.

Realtà pubblica e catalogo riservato – Per i progetti che sono pubblicamente accessibili ma che vogliono tenere il loro catalogo consultabile solo se è stata effettuata l’autenticazione.

Realtà privata e catalogo riservato – Per tutti quei fondi di testi che non sono pubblicamente accessibili (ad esempio biblioteche private) ma che vogliono comunque condividere il loro catalogo e renderlo consultabile se è stata effettuata l’autenticazione all’interno del sito.

Note tecniche

Questo collettore funziona raccogliendo diverse fonti di dati che provengono dai diversi archivi o biblioteche (oai-pmh, fogli di calcolo, hard disk di pdf con un qualsiasi indice) e li rende consultabili. Ogni fonte di dati ha un account dal quale può svolgere diverse operazioni tra cui impostare le relazioni linguistiche (testo B tradotto dal testo A), e può unificare sia i riferimenti a chi ha scritto un testo (si veda ad esempio il problema delle diverse traslitterazioni/traduzioni dei nomi) sia unificare i diversi testi sotto una stessa voce se caricati separatamente. Il modello logico di riferimento è quello IFLA-LRM, ovvero non un semplice elenco di caratteristiche ma il rapporto e la relazione tra gli elementi di un catalogo. Questo progetto è orientato alla fisicità nonostante sia un progetto digitale. Infatti, ogni spazio/sito avrà la possibilità di inserire i propri dati, descrivere la propria attività e così via. Il progetto accetta tanto le sole citazioni bibliografiche che le scansioni grezze che i testi editabili e ristampabili utilizzando la piattaforma software di amusewiki. Questo significa che la collezione può essere arricchita e completata non solo del “nome” dei libri, non solo della loro “scansione” ma anche del loro “testo”, impaginabile e riproducibile a mezzo stampa. Tuttavia ogni biblioteca, archivio o casa editrice potrà decidere autonomamente se rendere il proprio materiale “pubblico” (si vedano i vari progetti “anarchist library”) oppure “privato”, ovvero consultabile solo da utenti loggati, cioè che si trovano ad esempio all’interno degli altri spazi fisici che hanno un account. Quindi, di fatto, è come se si trattasse di un grande sistema interbibliotecario non solo di titoli ma anche del contenuto dei testi. Lo sviluppo ed il miglioramento dei metadati è completamente collaborativo e non influisce sul modo in cui i singoli spazi hanno fatto la loro catalogazione.

In conclusione

Basandosi su un principio federativo questo progetto non sostituisce i singoli siti ma offre la possibilità di aggregarne i contenuti in maniera non gerarchica e completamente indipendente ed autonoma. La proposta si muove quindi sul piano metodologico e non ad esempio su ciò che le diverse realtà decidono di conservare e di indicizzare.

Dato che l’accesso completo ai testi presenti sul collettore e la possibilità di crearsi un’utenza per poter fare una ricerca completa dovrebbe rappresentare un ulteriore motivo per recarsi nei luoghi fisici, il sito non può diventare un’alternativa ad essi.

Vorremmo riuscire a semplificare il processo, dentro e tra gli spazi anarchici, di reperimento, (ri)stampa, traduzione, conservazione in forma cartacea e/o distribuzione dei testi scritti oltre che le relazioni (anche internazionali) tra gruppi e/o individui – anche in anonimato.

Inoltre, rendere facilmente editabili i metadati, basati sui nuovi standard, e la ricostruzione delle relazioni bibliografiche tra i diversi testi e le diverse traduzioni, sulla cui base poter potenzialmente sviluppare ulteriori meta-analisi di tipo storico-archivistico più approfondite.

Infine, razionalizzare il formato dei file e dei metadati, agevolare la possibilità di fare backup massivi, evitare di costruire progetti su collegamenti che poi si interrompono, avere la possibilità di sapere cosa esiste già (ad esempio scansioni) o cosa manca (ad esempio nelle collezioni di periodici) in maniera rapida e intuitiva.

www.anarchistlibraries.network – info@anarchistlibraries.network

Tratto da Inattuale n. 4 aprile 2025, per richiedere copie di Inattuale, bollettino di critica e cultura anarchica, scrivere a inattuale@riseup.net

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Novità in distribuzione

  • Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, ed. Adelphi, 2011, pp. 427, € 10 invece di € 13
  • Luigi Lucheni, Come e perché ho ucciso la principessa Sissi, ed. Anarchismo, 2025, pp. 109, € 9
  • Errico Malatesta, Opere complete Volume II: “Andiamo fra il popolo”. L’Associazione e gli anni londinesi 1889-1897, ed. La Fiaccola / Zero in condotta, 2024, pp. XXXVI + 324, € 25 invece di € 30
  • Pierleone Mario Porcu, Perché non la guardate in faccia? (Scritti scelti), ed. Insurrezione, 2024, pp. 195, € 5;
  • Petr Kropotkin, La conquista del pane, ed. Ortica, 2012, pp. 253, € 12 invece di € 17
  • Stefano Giaccone e Marco Pandin (a cura di), Nel cuore della bestia (storie personali nel mondo della musica bastarda), ed. Stella*Nera, 2024, € 17
  • Volin, La rivoluzione sconosciuta. Il movimento anarchico nelle lotte per l’emancipazione sociale in Russia 1917-1921, ed. Zero in condotta, 2024, pp. 558, € 22 invece di € 25
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Cena benefit “Inattuale”

VENERDÌ 28 FEBBRAIO
ORE 20:00
CENA BENEFIT PER “INATTUALE”
BOLLETTINO DI CRITICA E CULTURA ANARCHICA

Un’occasione per discutere delle tematiche del bollettino
e mangiare insieme.

Davanti ad una orrorifica realtà mondiale,
restare aggrappati ai nostri sogni rappresenta un’àncora di salvezza;
i nostri sogni di anarchici che ancora, ostinatamente,
credono possibile concretizzare una realtà altra.
I nostri sogni non come artificio per estraniarsi dalla realtà stessa,
come anestetico per alienarsi, bensì come
spinta all’azione
per mettersi di traverso alla
ragione
del dominio.

Antipasto: pizze della casa
Primo: Cous cous con verdure
Secondo: focacce di patate
Dolce: Crostata

Contributo 10 euro, richiesta prenotazione

BIBLIOTECA ANARCHICA DISORDINE
VIA DELLE ANIME 2/B LECCE
disordine@riseup.net  disordine.noblogs.org

cena inattuale 1

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In consultazione

  • Louis Adamic, Dynamite! Storie di violenza di classe in America, ed. Alegre, 2023, pp. 561;
  • Mathieu Léonard, La Prima Internazionale, ed. Alegre, 2013, pp. 351;
  • Selva Varengo, Pagine anarchiche. Petr Kropotkin e il mensile “Freedom” (1886-1914), ed. Biblion, 2015, pp. 208;
  • Octavio Alberola, La Defensa Interior: l’ultimo tentativo libertario di lotta armata contro il regime di Franco, ed. Biblios-Archiv, 2024, pp. 63;
  • Camillo Berneri, Umanesimo e anarchismo, ed. e/o, 1996, pp. 121;
  • Severino Di Giovanni, Il pensiero e l’azione, ed. Gratis, 2024, pp. 318;
  • Lorenzo Micheli, Matar a Franco. Gli attentati degli anarchici contro il  Generale, ed. La Fiaccola, 2022, pp. 98;
  • Pierleone Mario Porcu, Perché non la guardate in faccia? (Scritti scelti), ed. Insurrezione, 2025, pp. 195;
  • Giorgio Cosmacini, Federica Montseny. Una anarchica al governo della Salute, ed. Le Lettere, 2021, pp. 184;
  • Paolo Petricig, Per un pugno di terra slava, La Libreria editrice, 2024, pp. 167;
  • Sergio D’Elia / Maurizio Turco, Tortura Democratica. Inchiesta su “la comunità del 41 bis reale”, ed. Marsilio, 2002, pp. 339;
  • AA. VV., Queer e anarchia, ed. Quaderni di Paola, 2024, pp. 330;
  • Camillo Berneri, Mussolini grande attore. Scritti su razzismo, dittatura e psicologia delle masse, ed. Spartaco, 2007, pp. 235;
  • Stefano Giaccone e Marco Pandin (a cura di), Nel cuore della bestia (storie personali nel mondo della musica bastarda), ed. Stella Nera / Dethector, 2024;
  • Martina Guerrini, Tredici ondate, ed. Stella Nera / Dethector, 2024, pp. 29;
  • Marco Rossi, Le ombre di Fiume. Tra nazionalismo e sovversione 1919-1924, ed. Zero in condotta, 2023, pp. 382;
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Centimètres

Entre gêne et sarcasme, piques et ricanements, c’est un sujet qui a toujours été disputé.

Les deux positions ont leurs partisans et leurs détracteurs ; on en parle dans les écoles, les bars et les milieux universitaires qui se sont occupés de la question avec des études scientifiques sérieuses. Pourtant, jusqu’à présent, du moins à notre connaissance, ce point délicat n’a pas encore été entièrement et totalement tranché.

Est-ce que les centimètres, ça compte, ou pas ?

Beaucoup, défenseurs de la mesure la plus rigoureuse qui soit, peut-être influencés par un imaginaire construit sur une abondante filmographie, soutiennent que oui. Qu’on ne peut absolument pas s’en passer dans certains domaines. Et beaucoup d’autres soutiennent qu’après tout, ils ne sont pas si importants que cela. Qu’on peut résoudre la question de bien d’autres manières, y compris en utilisant d’autres instruments…

Finalement, c’est l’histoire récente qui s’est chargée de donner une réponse, sinon définitive, en tout cas en faisant pencher la balance d’un côté.

Eh bien oui, les centimètres ça compte !

Si ce n’était pas le cas, un président différent se serait installé aujourd’hui à la Maison Blanche, et le nom de Thomas Matthew Crooks qui, le 13 juillet 2024, à 18h11, a effleuré d’une balle l’oreille droite de Donald Trump, n’aurait pas résonné de manière aussi anonyme.

Cela n’aurait pas changé grand-chose ; la plus grande démocratie du monde aurait toujours eu son président élu. Mais sur la planète entière, on aurait par contre pu apprécier tout ce qu’un individu, armé de sa propre ténacité et de son inventivité –et en l’occurrence aussi d’un bon fusil–, peut être capable de faire ; indépendamment de ses motivations, que personne ne connaît vraiment.

Lorsque le monde tourne de plus en plus vite, il est réconfortant de voir que quelqu’un parvient encore à se concentrer sur le bon objectif –et Luigi Mangione nous l’a encore rappelé quelques mois plus tard– au lieu de massacrer des innocents dans la rue ou dans les écoles. Pour cela, les États suffisent.

Pour leurs bombes, les centimètres n’ont aucune importance

Tradotto da sansnom.noblogs.org

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