Nuovo titolo in distribuzione

Disponibile in distribuzione:

Armando Borghi, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), ed. Anarchismo, 2021, pag. 366, collana “Biblioteca di Anarchismo”, € 15

Uno dei libri più appassionanti dell’anarchismo. Lucido, semplice, senza fronzoli letterari. Una “memoria” delle lotte di mezzo secolo. Dalla propaganda col fatto alla Settimana rossa, dalla rivolta di Ancona all’occupazione delle fabbriche a Milano, dall’esilio alla lotta clandestina contro il fascismo. Una lettura che ha formato la generazione di anarchici precedente al 68 e che è stata sempre “riscoperta” con sorpresa da quei compagni formatisi alle esperienze successive. La continuità rivoluzionaria non ammette sospensioni. I metodi e le strategie si possono criticare e discutere, la lotta contro il nemico comune resta sempre valida e sempre da portare avanti.

 

Sono inoltre ora disponibili tutti i titoli della collana “Pensiero e azione”

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Libera persecuzione

Fra i decreti più rivoluzionari della moderna storia di Usalia si annovera quello mediante il quale la polizia veniva incaricata di assolvere tutti i doveri della malavita, e nel contempo anche i doveri della giustizia. Naturalmente l’accorpamento di questi tre rami d’attività evitava quegli inenarrabili sforzi che stanare, indagare, e condannare i colpevoli, avevano procurato in passato, per non parlare dei milioni di denaro pubblico che tutto questo era costato. La ricerca dei colpevoli aveva lasciato il posto a un obiettivo più urgente, ufficialmente definito «libera persecuzione» del potere esecutivo. Con tale espressione, che certo testimonia l’importanza della libertà nella Usalia dell’epoca, s’intendeva dire che spettava all’esecutivo, o meglio ancora all’establishment al suo interno, stabilire chi di volta in volta dovesse essere considerato colpevole – e spesso la cosa avveniva addirittura prima che il reato venisse commesso, poiché molte volte il potere esecutivo deliberava non soltanto quale persona, ma anche quale reato si dovesse compiere. E il crimine non doveva essere per forza commesso sempre dal colpevole designato: l’esecutivo in molti casi preferiva all’ultimo momento realizzare da sé l’azione delittuosa. Il significato di «libera persecuzione» implicava però che il colpevole designato aveva l’obbligo di presentarsi davanti ai contemporanei e ai posteri come colui il quale, cosa che naturalmente includeva lo scontare la pena per il suo crimine.

L’ordine che, con l’accorpamento dei tre settori, si diffuse in breve tempo in Usalia, sortì effetti strabilianti: mai, prima, politica, amministrazione e giustizia avevano collaborato senza attrito, niente veniva più abbandonato al caso, tutto si svolgeva secondo precisi programmi e tutti eseguivano gli atti previsti dalle delibere. Già dopo poco tempo diventò una consuetudine individuare gli attentatori (e naturalmente i loro vendicatori, altrimenti detti giustizieri) prima ancora che gli stessi rei – alla stampa venivano comunicati anche i loro nomi – potessero intuire che fosse imminente un qualsiasi reato, o tanto meno che erano stati prescelti per essere considerati e scontare così il loro crimine. E non di rado capitava addirittura che i malfattori patissero la pena di morte senza aver saputo prima di quale presunto misfatto fossero accusati. «Nessuno», si dice sia un principio del codice usalico, «nessuno ha il diritto di conoscere la propria ingiustizia». Può darsi benissimo che per il volgo, talvolta, tutto ciò possa essere stato amaro – quanto più dolce è il dover morire, se si sapesse per quale motivo si muore – ma la classe dirigente considerava questa istituzione come una vera e propria benedizione.

Perché grazie ad essa, infatti, erano solo questi concittadini plebei a cadere vittime del crimine, e dato che il loro decesso risultava ben gradito al potere esecutivo – o, meglio ancora, all’establishment, e dato che valeva lo stesso gradimento per le condanne inflitte a chi aveva o meno eseguito il crimine, questa istituzione era certo il risultato di un interminabile processo di autocorrezione della società usalica.

Del resto nel sistema è insita – non occorre affatto nasconderlo – anche una certa comicità. E per il seguente motivo: perché – come tutti potranno facilmente intendere, bisognava che in ogni singolo caso morissero due uomini, uno in quanto vittima e uno in quanto assassino, benché il più delle volte non importava come si dovevano assegnare i ruoli di vittima e reo, se far uccidere il signor A tramite il signor B e doveva far pagare per quest’omicidio il signor B, oppure l’opposto. È stato tramandato, e in modo attendibile, che talora i poliziotti usalici, poco prima di un attentato, fissato già da tempo, e definito in tutti gli altri minimi particolari, non avessero ancora stabilito a quale dei due morti «annunciati» assegnare il ruolo di vittima e a quale il ruolo di criminale; e che avessero trovato la risposta all’ultimissimo momento con un tiro di dadi.

Günther Anders, Lo sguardo dalla torre [1968]

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Venti di guerra

“Siamo in guerra contro un nemico invisibile”. Così si esprimevano, circa un anno fa, politici e tecnici dello Stato italiano. Ora le cose sembrano avere assunto maggiore chiarezza, e ben visibile è il nemico. Quel nemico siamo tutti noi.

La nomina a commissario per la gestione dell’emergenza di un generale degli alpini, con pregresse esperienze in zone di guerra quali Afghanistan e Kosovo, è l’ultimo tassello di una militarizzazione che invade ormai qualunque aspetto della vita.

Una militarizzazione manifestatasi con la gestione della pandemia e il portato, simbolico e pratico, del confinamento prima e del coprifuoco successivamente; col controllo capillare dei cittadini ad opera delle forze dell’ordine e con l’uso di un termine che richiama evidentemente una pratica di guerra.

Del resto, non è stato un vero e proprio atto di guerra quanto avvenuto un anno fa nelle carceri italiane? Quattordici detenuti ammazzati a colpi d’arma da fuoco e botte, rei di aver rivendicato la propria umanità e sopravvivenza attraverso la rivolta.

La ferocia di quegli accadimenti costituisce un chiaro messaggio verso tutti. Oggi non è più possibile alcuna rivendicazione, alcuna critica o rivolta: è solo possibile l’obbedienza.

Nel Salento lo abbiamo visto con Tap in tempi recenti: una vasta zona completamente militarizzata e uno schieramento ingente di forze dell’ordine a difesa di un’opera osteggiata da molti, ed un processo a carico di numerosi manifestanti che proprio in questi giorni arriva alla sentenza di primo grado. Il messaggio è chiaro: normalizzazione attraverso la forza.

Una “normalità” sempre più in tuta mimetica, costituita da militari schierati per effettuare tamponi, e da chi lavora anche in campo militare, come il neo-ministro per la transizione ecologica, Roberto Cingolani, ex dirigente di Leonardo-Finmeccanica, la più grande azienda italiana di armamenti. Prova tangibile che tra militare e civile non esiste più separazione alcuna.

Cosa serve ancora? Crediamo davvero di poterci definire “liberi” mentre accettiamo il ricatto della paura? E che la guerra non ci riguardi perché le bombe cadono lontano? E crediamo davvero che i futuri sviluppi ormai chiaramente individuabili – dalla digitalizzazione sempre più invasiva, alla patente vaccinale per poter viaggiare, all’obbligo di vaccini per poter lavorare in alcuni settori – non siano una ennesima misura di polizia contro le nostre già risicate libertà?

Crediamo davvero che tutte queste restrizioni, una volta inserite nella società, lo saranno solo in forma provvisoria?

Ancora una volta nella storia si tenta di eliminare qualsiasi voce avversa. Ancora una volta non vi sarà altra salute se non quella di pensare con la propria testa, essere consapevoli e agire di conseguenza.

Di tutto questo vogliamo parlare, per provare ad opporci fino a quando ancora ne avremo il tempo.

SABATO 13 MARZO, DALLE 18 ALLE 21

VIA TRINCHESE – ANGOLO TEATRO APOLLO – LECCE
INTERVENTI, MOSTRA, MATERIALE INFORMATIVO

Venti di guerra pdf

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In Biblioteca

Nuovi titoli disponibili per il prestito e la consultazione:

  • Il mondo a distanza. Su pandemia, 5G, materialità rimossa del digitale e l’orizzonte di un controllo totalitario, ed. Bergteufel, 2021, pag. 37
  • Jean-Pierre Cattelain, Obiezione di coscienza all’Esercito e allo Stato, ed. Celuc, 1976, pag. 203
  • Francesco Serantini, Fatti memorabili della banda del Passatore in terra di Romagna, ed. del Girasole, 1973, pag. 143
  • Anna Curcio (a cura di), Black fire. Storia e teoria del proletariato nero negli Stati Uniti, ed. Derive Approdi, 2020, pag. 143
  • Ernesto De Martino, Oltre Eboli. Tre saggi, ed. e/o, 2021, pag. 99
  • Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, ed. Einaudi, 2020, pag. LXXXII + 710
  • Franco Fortini / Lanfranco Binni, Il movimento surrealista. Gli autori, le opere, i testi, ed. Garzanti, 1991, pag. 284
  • Emidio Mosti, La resistenza apuana. Luglio 1943-1945, ed. Longanesi, 1973, pag. 283
  • Gunther Anders, Lo sguardo dalla torre. Favole con le illustrazioni di A. Paul Weber, ed. Mimesis, 2012, pag. 194
  • Gunther Anders, L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica, ed. Mimesis, 2016, pag. XXII + 231
  • Gunther Anders, Il mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza, ed. Mimesis, 2008, pag. 98
  • George Orwell, Omaggio alla Catalogna, ed. Mondadori, 2020, pag. 290
  • Manuel Tunon de Lara, Storia della repubblica e della guerra civile in Spagna. Vol. I, ed. PGreco, 2018, pag. 437
  • Manuel Tunon de Lara, Storia della repubblica e della guerra civile in Spagna. Vol. II, ed. PGreco, 2018, pag. 300
  • Gunther Anders, Patologia della libertà, ed. Palomar, 1993, pag. 129
  • Vittore Fiore (a cura di), Tommaso Fiore e la Puglia, ed. Palomar, 1996, pag. 726
  • AA. VV., Il processo di Norimberga Vol. II. Le vicende, i documenti, le condanne, ed. Res Gestae, 2013, pag. 307
  • Philippe Aziz, I medici dei lager. Vol. I. Josef Mengele, l’incarnazione del male, ed. Res Gestae, 2013, pag. 252
  • Philippe Aziz, I medici dei lager. Vol. II. Karl Brandt, l’uomo in camice del Terzo Reich, ed. Res Gestae, 2013, pag. 252
  • Philippe Aziz, I medici dei lager. Vol. III. Milioni di cavie umane. Vittime e torture di una scienza crudele, ed. Res Gestae, 2013, pag. 252
  • Christian Bernadac, Sterminateli! Adolf Hitler contro i nomadi d’Europa, ed. Res Gestae, 2013, pag. 279
  • Marc Bloch, La strana disfatta. Con gli scritti della clandestinità 1942-1944, ed. Res Gestae, 2014, pag. 212
  • André Brissaud, La notte dei lunghi coltelli, ed. Res Gestae, 2019, pag. 250
  • Alan Bullock, Hitler. Studio sulla tirannide, ed. Res Gestae, 2014, pag. XI + 516
  • Franco Catalano, L’Italia dalla dittatura alla democrazia 1919-1948, ed. Res Gestae, 2013, pag. 387
  • Vasilij Ivanovic Cujkov, Obiettivo Berlino. Memorie del generale che ha sconfitto il nazismo, ed. Res Gestae, 2013, pag. 233
  • Alfred Grosser, Hitler. Nascita di una dittatura, ed. Res Gestae, 2014, pag. 256
  • Erich Kordt, La politica estera del Terzo Reich, ed. Res Gestae, 2018, pag. 309
  • Jens Kruuse, Il massacro di Oradour. Il paese-simbolo della barbarie nazista in Francia, ed. Res Gestae, 2018, pag. 201
  • Luigi Longo, Un popolo alla macchia. Il diario, le memorie del grande combattente partigiano, ed. Res Gestae, 2013, pag. 438
  • Michal Reiman, La nascita dello stalinismo, ed. Res Gestae, 2018, pag. 257
  • Georges Roux, La guerra civile di Spagna, ed. Res Gestae, 2014, pag. 368
  • Enzo Santarelli, Storia del fascismo I. La crisi liberale, ed. Res Gestae, 2018, pag. XXVII + 397
  • Enzo Santarelli, Storia del fascismo II. La dittatura capitalista, ed. Res Gestae, 2018, pag. 439
  • Enzo Santarelli, Storia del fascismo III. La guerra e la sconfitta, ed. Res Gestae, 2018, pag. 375
  • Hjalmar Schacht, La resa dei conti con Hitler. Il libro più discusso del dopoguerra tedesco, ed. Res Gestae, 2019, pag. 307
  • Philip Short, Anatomia di un genocidio. Pol Pot e i crimini dei khmer rossi, ed. Res Gestae, 2020, pag. 665
  • Volin, La rivoluzione uccisa. Gli anarchici in Russia 1917-1921, ed. Res Gestae, 2015, pag. XVI + 574
  • Noemi Szac-Wajnkranc / Leon Weliczker, I diari del ghetto di Varsavia. Le storie dei coraggiosi che non si piegarono, ed. Res Gestae, 2013, pag. 270
  • Louis Wirth, Il ghetto. Il funzionamento sociale della segregazione, ed. Res Gestae, 2014, pag. 239
  • Donne al rogo. La caccia alle streghe in Europa, le enclosures e l’ascesa del capitalismo, s. e., 2020, pag. 39
  • F. H. A. R., Rapporto contro la normalità. 1971, s. e., 2020, pag. 58
  • F. H. A. R., Culi indiavolati & Distruggere la sessualità. 1973, s. e., 2021, pag. 66
  • Guy Hocquenghem, Scritti 1970-1980, s. e., 2021, pag. 78
  • Theodore John Kaczynski, Anti-tech revolution, ed. Sa Kàvuna, 2021, pag. 240
  • Voltairine De Cleyre, Una poetessa ribelle, ed. Stampa Alternativa, 2018, pag. 155
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Novità in distribuzione

  • Theodore John Kaczynski, Anti-Tech Revolution, ed. Sa Kàvuna, 2021, € 12;
  • I giorni e le notti n°12. Rivista anarchica, gennaio 2021, pag. 116, € 3,50
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I mutanti della delegittimazione

Nella ricerca di un ordine sociale nuovo che li rassicuri, i sostenitori della delegittimazione riconfermano la validità dei valori su cui si basa il progetto dominante di produzione e controllo. Al massimo sono o potrebbero essere degli ottimi riformatori di una società basata sulla ragione e non sulla violenza e la sopraffazione.

I fautori delle pratiche della delegittimazione sono soggetti reattivi che basano la propria lotta sul raggiungimento dei valori esistenti e stabiliti, aspirano in sostanza a realizzare un ordine più razionale in modo da generare un processo di giustizia sociale più equa. Intendono così sul piano del linguaggio dei diritti misurarsi con lo Stato.

Queste strane creature demissorie hanno per oggetto la contesa e mai la critica, così, sia che risultino perdenti o vincenti, la loro battaglia con lo Stato è persa in partenza, in quanto battersi per il conseguimento dei valori stabiliti non è che l’espressione di un’avvenuta interiorizzazione delle logiche che governano il vecchio mondo. La loro non può che essere una lotta etico-conservativa col potere. Chiunque accetti come fatto definitivo l’ordine dei valori esistenti, rimane sottomesso ai pregiudizi e ai tabù che da questo derivano.

I delegittimatori di ogni grado e colore si agitano sempre dentro lo specchio di un rinnovamento, quale estensione della statualità sul piano politico sociale. Pur reputandosi a modo loro rivoluzionari, non credono in realtà ad un mondo totalmente altro da questo: ecco perché pensano più a riformarlo che ad abbatterlo. Essi plasmano la propria lotta sul principio di realtà, tutta la loro azione si inscrive all’interno della necessità e dei limiti imposti dallo Stato, per questo tendono continuamente ad integrarsi in base ad un fatiscente neoriformismo pragmatico che, pur non presentandosi immediatamente nella sfera istituzionale, la rifonda sotto altre motivazioni.

L’impotenza li spinge ad ingigantire i codici del potere fino al punto di non concepire di meglio che pensare di gestirlo alternativamente.

Dietro la maschera dell’aggiornamento costoro celano la propria miserabile ricerca di un ordine sociale che li rassicuri. Giocano nelle condizioni presenti ad inventarsi ambigue identità, diverse e contraddittorie, per poter giustificare le proprie debolezze di individui rivolti alla pacificazione, alla coesistenza col vecchio mondo, finendo col consolidare accordi con gli emergenti gruppi dominanti.

C’è in loro una volontà tale di integrarsi da diventare parte costitutiva del meccanismo di produzione e riproduzione delle forme di controllo attuate dallo Stato. Il loro evanescente rifiuto radicale delle istituzioni diventa una cristallina menzogna, quando si dissolve alla luce delle conclusioni che traggono dalle lotte inscenate, che sfociano in richieste di interventi statali, spaziando da una più equa redistribuzione del reddito, ad una razionalizzazione dei servizi, alla richiesta delle operazioni di salvataggio ecologico degli ambienti inquinati, fino alla costituzione di un neoantimilitarismo filoistituzionale. Da qui la necessità per loro di intrattenere rapporti di amicizia con le strutture più periferiche dello Stato (comune, regione, ecc.) che sovente non manca di dargli una mano in alcune costruttive iniziative sociali.

Pierleone Porcu, ProvocAzione n°22, novembre 1989

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Ci hanno rubato la notte

Ci hanno rubato la notte.

Abbiamo scordato la data di inizio del coprifuoco e forse stiamo lentamente dimenticando le nostre notti in compagnia della luna, degli amici, degli amanti, delle stelle. È qualcun altro a dirci come passarle fra le mura di casa. Cercano di disciplinare tutto adesso con la scusa del virus: come relazionarci gli uni con gli altri, chi poter vedere, dove andare, gli orari… E ci ritroviamo a vivere giornate scandite da lavoro, tv, computer, supermercato e famiglia. Scelgono il colore dei luoghi dove viviamo e in base a quello ci costruiscono addosso una o l’altra gabbia. E ogni giorno inventano una nuova illogicità che finisce per plasmarci l’esistenza.

Da mesi stiamo chiusi in casa, decine di milioni di persone rinchiuse per paura o rassegnazione. E a domare tali paure non sembra più necessaria neanche la polizia. Ci riscopriamo zitti e obbedienti.

È questo che vogliamo? Quali nuove e interminabili costrizioni siamo disposti a sopportare? Potremmo svegliarci un giorno e renderci conto che non conosceremo più il piacere di un abbraccio, non sapremo immaginare un vero sorriso e non conosceremo la bellezza del rifugio della notte per le nostre fughe, i nostri diversi (in)sonni. Qualcuno avrà scelto per noi e pagheremo il prezzo dei nostri silenzi di oggi, della nostra accettazione.

Perché invece non proviamo a mandare all’aria tutto questo?

Per uscire, per reagire, per attaccare, per provare ancora a sognare!

Se c’è qualcosa da salvare in questo mondo è la necessità di lottare e di non farsi imprigionare dalla paura poiché l’autorità più efficace è quella che costruiamo nella nostra testa.

Anarchici

Notte pdf

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Le sofferenze del corpo

Non ho mai desiderato nulla di più di quello che desiderano le creature selvagge: un refolo d’aria pulita, qualche momento senza niente da fare per stendermi sull’erba e sfiorare i fili con le dita e magari guardare la volta celeste sopra di me, intervallata da nuvole bianche e tramonti bruciati; partire per un mese e galleggiare sulle creste salate delle onde e nuotare nella spuma, o magari rotolarmi nuda nella sabbia calda; il cibo che desidero mangiare lo prenderei direttamente dalla terra, e desidererei solo il tempo per saggiarne la bontà e un po’ per riposarmi dopo aver mangiato; e dormire soltanto quando necessario e quiete, così che il sonno mi prenda e mi abbandoni a suo piacimento; aria, spazi, un leggero riposo, restare senza vestiti qualche volta, e quando vestita vorrei abiti che non mi imbriglino, la libertà di sentire il contatto con la nostra madre terra, di restare al suo fianco al sole ma anche quando imperversa la tempesta, proprio come fanno le creature selvagge – è questo ciò che vorrei. Questo e rapporti liberi con i miei simili. Non per amare e mentire per poi provare vergogna; ma per amare e dire che ho amato, per poter gioire dell’amore; per sentire la corrente di diecimila anni di passione scorrere in me, corpo a corpo, proprio come fanno le creature selvagge. Non vorrei altro.

Ma non ho ricevuto nulla di tutto questo. Sono stata schiacciata da quel tiranno spietato che è l’Anima e di me non è restato più nulla. Mi ha spinto verso la città, dove l’aria è frenetica e infuocata, e mi ha detto: «Respirala, ti ci abituerai; non c’era nulla in quei campi vuoti; i templi sono qui invece, resta». E quando i miei poveri polmoni ormai soffocanti mi hanno costretta a tossire finché non mi sembrò che il petto volesse esplodermi, l’Anima ha detto: «Ti concederò un’ora o due; e mentre tu andrai in bicicletta e ti godrai la natura, io magari leggerò un libro».

E i miei occhi hanno pianto lacrime di dolore per quella breve visione di libertà che mi sfumava davanti, costretta a lasciare quel verde e quel blu soltanto dopo un’ora per ritrovarmi davanti quei muri rossi terrificanti, e così l’Anima mi ha detto: «Non posso perdere tempo, ho bisogno di conoscenza, ho bisogno di leggere!». E quando le mie orecchie hanno sperato di sentire il canto dei grilli o la musica della notte, la mia Anima ha risposto: «No: a volte i rumori della città, i fischi e le urla possono essere spiacevoli da ascoltare, ma impara a prestare attenzione alla voce spirituale che viene da dentro e non sentire nient’altro».

Quando con occhi bassi sono andata a sbattere contro gli stretti muri di mattoni e cemento, ovunque mattoni e cemento, la mia Anima ha detto: «Schiava miserabile! Perché non sei come me che in un istante posso volare verso universi lontani? Non importa dove sei, io sono libera ovunque».

Quando avrei voluto dormire perché le palpebre calavano pesanti sui miei occhi che non riuscivo più a tenere aperti, l’Anima mi ha colpito con una frusta gridando: «Sveglia! Bevi qualche bevanda stimolante che ravvivi quel tuo cervello debole! Non c’è tempo per dormire, c’è da lavorare». E quella pozione maledetta funzionava, mi teneva sveglia, fino a lavoro ultimato.

Quando avrei voluto temporeggiare a pranzo o a cena per godermi il cibo, la mia Anima mi diceva: «In fretta!, in fretta! Ho per caso tempo da perdere indugiando in questa scena disgustosa? Riempi lo stomaco e ricominciamo!».

Persino quando ho invidiato il cane che sfregava la schiena sul terreno alla luce del sole, l’Anima ha esclamato: «Hai intenzione di umiliarmi a tal punto da metterti allo stesso livello delle bestie?» e così si stringevano le cinghie intorno a me.

Quando ho guardato altri esseri umani e ho desiderato abbracciarli, bramosa del calore di braccia e di labbra, l’Anima mi ha intimato severa: «Smettila, vile creatura dai desideri carnali! Che tu sia dannata in eterno! Hai intenzione di svilirmi con il tuo essere bestia?».

E io ho tenuto duro: muta, infelice, prigioniera, ho percorso la strada indicata dall’Anima, ho servito e non ho mai ricevuto nulla in cambio. E ora mi sono spezzata prima del tempo; esangue, stanca, ansimante, quasi cieca, torturata dal dolore a ogni articolazione, tremante come una foglia al vento.

«Forse sono stata troppo dura» mi confida ora la mia Anima, «è ora che ti riposi». Ma la manna è arrivata troppo tardi. Crescono rose intorno a me ma il profumo non raggiunge il mio naso; il salice lascia cadere i suoi rami sulle mie guance interagendo con la volta celeste sopra la mia testa, ma i miei occhi sono troppo stanchi per guardare; il vento mi sfiora il viso ma la mia gola è insensibile alle sue carezze; a stento riesco a sentire il canto della notte durante le lunghe veglie, ormai il sonno non arriva e io non mi emoziono più. Le mani che toccano le mie – quanto le ho desiderate una volta – ma ora sono corpo morto. Ricordo che volevo tutte queste cose, ma il potere del desiderio è stato annientato e resta solo il ricordo del rifiuto di tutte queste cose, un ricordo che ancora pulsa forte e il suo dolore non scompare mai. E ancora penso che mi piacerebbe essere sola per un po’, ma poi sento il Tiranno che complotta, è determinato a restare dov’è.

«Si!» continua a ripetere, «Era ora! Non sarò incatenato a una carcassa in putrefazione. Se i miei giorni devono trascorrere in un ozio perpetuo tanto meglio che io venga annientato. Ma chiederò al corpo di farmi un ultimo favore. Hai ripetuto spesso di come ti piacerebbe nuotare in acqua libera e priva di vestiti. Va’ pure, e annega in quell’acqua».

Sì, è proprio questo quello che mi dice di fare e io – com’è bello il mare che si estende laggiù.

Voltairine de Cleyre, The Sorrows of the Body, 1914

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La Lega contro la libertà – La libertà contro la Lega

Qui di seguito i file pdf della mostra sulla Lega esposta in strada a Lecce

1.LegaSud

2.LegaMigranti

3.LegaDonne

4.LegaFascio

5.LegaLibertà

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Ognuno è matto nella sua maniera

“Ognuno è matto nella sua maniera” sentenzia il Giusti; e la mia maniera di esserlo è affatto innocua, passiva. Ho contribuito a rovinar me stesso per la causa comune, e mi tormento in eterno il cervello ed il cuore pel mio nobile ideale. Altri son matti nella maniera diametralmente opposta: rovinano il proprio simile, magari stretto congiunto, per vile e ributtante interesse personale. Chi di noi il pazzo più pernicioso?… Ma l’orgoglio umano non ragiona; guai a chi lo scalza!

E se è vera la scala fabbricata dal prof. Lombroso e compagni, quella cioè che dall’anomalo, dall’esaltato, dall’originale, dall’eccentrico va sino al matto, Lombroso che conosce così bene la materia, sarà di certo a capo di essa scala. Difatti, egli nel corso di sua vita, avrà voluto appagare molti suoi desideri bizzarri, sarà quindi mattoide; avrà avuto qualche momento di mestizia, sarà quindi lipemaniaco; avrà creduto che altri non riconosca i suoi meriti letterari e scientifici, sarà dunque delirante di persecuzione; vorrà scriver sempre e non saranno i suoi scritti tutta farina del suo sacco, sarà dunque kleptografomane; crederà alla propria infallibilità nella sua qualifica di pontefice della scuola psichiatrica, sarà dunque megalomane; sognerà pazzi dappertutto, ed eccolo ancora allucinato. (…)

Io porto il titolo di pazzo come altri quel di cavaliere; ugual merito nell’uno e nell’altro! Purtroppo è più pazzo degli altri e degno di star tappato in un manicomio speciale, segregato cioè, dall’universale, quegli che vola alto, sublime, lasciandosi indietro con un palmo di naso la mediocrità rancida, oltracotante de’ così detti savi che s’impone e vuole il primato ad ogni costo.

Giovanni Antonelli, Il libro di un pazzo, 1893

 

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