Chi costruisce prigioni, chi costruisce libertà!

“Chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà”, affermava un poeta anarchico alcuni decenni fa. E la lingua in effetti, intesa come espressione di un mondo, è una questione centrale in questo periodo, sebbene in maniera inversa a quella riconosciuta dal poeta; chi costruisce prigioni sta affermando un pensiero unico dominante, mentre chi vuole costruire libertà è costretto all’angolo, come spesso accade, del resto. Hanno iniziato con il confinamento per tutti, poi è arrivato il coprifuoco; ora l’attacco è diretto verso chi non è vaccinato, a cui verranno tolte le pur minime libertà se non si convince a farlo. Ciò che fa più paura è il plauso della zona grigia, e cioè la maggioranza dei cittadini, soprattutto di sinistra, convinti che sottrarre libertà sia la strada per risolvere i problemi di tutti. Se non ci si allinea al pensiero unico si è considerati irresponsabili. Non si comprende che l’applicazione di tali misure sarà estesa man mano a tutti, indipendentemente dagli aspetti sanitari: se non si è in regola con quanto prescritto dallo Stato, qualunque cosa essa sia, si verrà esclusi dai servizi e dalla vita sociale.

Eppure le domande si moltiplicano. Perché mai bisognerebbe fidarsi di chi sta usando i corpi di miliardi di persone come cavie per trarne profitto stratosferico e informazioni genetiche? Perché mai bisognerebbe fidarsi di chi ha creato l’emergenza sanitaria: ignorando per anni che essa potesse presentarsi, smantellando la sanità per decenni, territoriale e centralizzata, di fatto creando le condizioni per la morte di molte persone – bisognerebbe ricordarlo quando si viene annebbiati continuamente con i numeri e si dice che le terapie intensive sono al collasso. Perché mai bisognerebbe fidarsi di chi alimenta una guerra permanente, così da gestire in maniera militare ed emergenziale qualsiasi problema si presenti e far accettare qualsiasi abominio? Perché mai bisognerebbe fidarsi di chi sfrutta e devasta il pianeta, di fatto creando le condizioni perché epidemie possano presentarsi? Il salto di specie ha, infatti, una causa ambientale. Perché mai bisognerebbe fidarsi di chi svolge ricerche criminali in laboratorio per aumentare la pericolosità di un virus? Ciò accade e viene consentito nel nome della scienza. Già! Quella scienza padrona del mondo, accettata in maniera fideistica, come un oracolo. Niente dubbi, niente pensiero critico, solo obbedienza. Questo il mondo che si prospetta. Un mondo di schiavi digitalizzati e medicalizzati, senza esperienza, senza autonomia, senza libertà. Incapaci di svolgere qualsiasi attività quotidiana senza l’aiuto o l’imposizione di una macchina, una app, un dispositivo. Laddove non saranno le stesse macchine a sostituire definitivamente l’essere umano, ormai surplus di un’economia e di un mondo governato da processi informatici e dalla paura.

E sia!

Non vi è solo chi costruisce prigioni. Vi è anche chi costruisce libertà. Chi è bandito, escluso, clandestino. Chi difende la propria autonomia, la propria esperienza, la propria cultura, la propria storia. Chi non sarà suddito, schiavo, soldato, chi non sarà un corpo da ricombinare.

Chi continuerà a sabotare questo mondo!

Chi costruisce

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Contro lo Stato

(…) Farò un breve discorso per cercare di capire perché siamo contro lo Stato. Ma come? La gente pensa che lo Stato siamo noi, siamo tutti! Lo Stato italiano, pensate un po’, ci difende, noi abbiamo un esercito, noi abbiamo frontiere custodite da persone che indossano una divisa. Ma per difenderci da che cosa? Dai nostri amici vicini. Possono questi nostri amici vicini costituire per noi un pericolo? No, che c’entra, non possono costituire per noi un pericolo. E allora che caspita fanno tutti questi uomini in divisa? Per difenderci da che cosa? Da qualche pazzo furioso che viene dalle lontane lande della miseria dove le nostre industrie belliche hanno spedito i loro armamenti, perché si facciano là i massacri. Massacri quotidiani, di donne e bambini, di uomini! Poi loro arrivano qua e ci sparano qualche bombetta tra le gambe. E allora bisogna naturalmente difendersi, lo Stato è questo!

Lo Stato è quella forza disumana che mi permette in questo momento di avvicinarmi a voi attraverso questo strumento che ho nelle mani, che mi aiuta a dire quello che ho in mente. Liberamente. Perché siamo in un Paese libero fino a un certo punto! Perché? Se facciamo l’elenco delle cose che si possono fare e a fianco ci mettiamo l’elenco delle cose che non si possono fare, queste seconde cose sono come numero e come importanza di gran lunga superiori alle prime! Io per esempio non posso entrare in un luogo dove si trovano i soldi, allungare la mano, prenderne una parte che per me è la sopravvivenza e portarmeli fuori. Perché immediatamente fuori dalla porta trovo un uomo in divisa che mi dice: “Fermo!” Hai commesso questo reato, e quindi vieni con me che ti porto in caserma.

Questo è lo Stato! E questa è l’efficienza dello Stato, questo è lo Stato che ci tutela. Fino ad un certo punto amici miei! Ci tutela e ci fa permanere nella nostra condizione di sudditi! Non dimentichiamola questa parola, mai! Sudditi, vuol dire gente che sta sotto, dobbiamo stare sottomessi, persone che non possono alzare la testa! Che non possono definirsi individui! Uomini, donne. No! Sudditi! Guai se qualcuno di questi sudditi dice qualcosa che non va detto! O che non va fatto. Perché evidentemente l’efficienza dello Stato si erge come la testa della medusa e si abbatte sul povero disgraziato. Ma quando invece emergono bisogni urgenti, e quindi esigenze radicali come quelle che viviamo in questi giorni, quando lo Stato dovrebbe fare delle cose essenziali, ecco che queste cose per esempio è inutile che ci prendiamo in giro stiamo parlando della sanità, ecco che improvvisamente queste cose che lo Stato è chiamato ad assolvere, tentennano. Ogni giorno ci sono comunicati, uno diverso dall’altro. Comunicati che vengono emanati senza un minimo di criterio, dai mezzi di informazione e che non hanno senso! Non hanno significato! Perché non sono costituiti su campioni qualificati. Che vuol dire campioni qualificati? Vuol dire che io dico che su 100.000 che hanno fatto i tamponi ci sono stati 20.000 colpiti dal virus, quei 100.000 da che cosa sono costituiti? Che cos’è un numero? 100.000 che vuol dire? Il campione dovrebbe essere selezionato, esso è costituito da tutte le fasce sociali, da tutte le attività sociali, a tutti i livelli d’età, da tutti i livelli sociali che si sono formati via via, e questo sarebbe un metodo che avrebbe un senso. Allora quei 10.000 che sono contagiati, avrebbero un loro significato, 7-800 morti avrebbero un significato. Allora, parliamoci chiaramente, lo Stato non fa il suo mestiere. Non lo fa per tre motivi. Primo, perché non lo sa fare. Perché in effetti lo Stato non sa che fare una cosa sola: la repressione! Secondo: non ci fornisce i dati perché ha paura di fornirceli, qualora riuscisse a fornirceli. Terzo perché i suoi scopi indiretti e non tanto nascosti sono quelli di tenerci nella nostra miseria culturale!

Nella nostra miseria della conoscenza. Noi stiamo perdendo la capacità di capire! La capacità di conoscere! La capacità di studiare! La capacità di approfondire. Questo stiamo perdendo! Ed è questo ciò che lo Stato vuole, per trasformare la società in un insieme di fantasmi acconsenzienti. Per cui qualunque messaggio, qualunque azione, qualunque gesto, qualunque repressione, qualunque massacro realizzato dallo Stato passerebbe inosservato. Ecco quello che gli anarchici questa sera, nonostante la mia voce piuttosto farfallante, cercano di dire: attenzione, guardate sempre con sospetto tutte le azioni che provengono dallo Stato. Tutti i fatti, tutti i provvedimenti, tutto quello che proviene dallo Stato. Sottoponetelo ad una critica, una critica forte e penetrante, finché ne saremo capaci. Grazie.

Intervento di Alfredo M. Bonanno, Trieste, 18 dicembre 2020

CONTRO LO STATO, Comizi anarchici a Trieste, Autunno 2020, Ed. El Rusac

disponibile in vendita e per la consultazione

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Serata benefit anarchici e anarchiche detenuti in Cile

Venerdì 9 luglio ore 19:00

Chiacchierata con una compagna della rete solidarietà
con i prigionieri e prigioniere politici in Cile

Accusati di una serie innumerevole di azioni contro lo Stato e il
Capitale – espropri, attacchi incendiari e dinamitardi, invio di plichi
esplosivi-, negli ultimi anni molti anarchici in Cile sono stati
coinvolti in operazioni repressive e si trovano in carcere, dove
continuano a lottare contro i tentativi di annientamento psico-fisico
posti in essere dalle istituzioni penitenziarie, che agiscono nello
stesso modo, tanto a Santiago quanto a Santa Maria Capua Vetere o a
Lecce.

A seguire alle ore 21:00
Karaoke benefit, bar, distribuzione di stampa anarchica

Biblioteca anarchica disordine, via delle anime 2/b lecce
disordine.riseup.net

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Fiera dell’editoria anarchica – Pensiero e azione

Tre giorni di diffusione e propaganda delle idee anarchiche. Tre giorni di libri, incontri, presentazioni e discussioni per parlare della storia e dell’attualità del pensiero e dell’azione anarchica, del legame indissolubile che le unisce e della loro capacità di incidere nel mondo nella prospettiva di cambiarlo.

Venerdì 4 giugno
Ore 18.30: Apertura della fiera e degli stand di stampa anarchica
Ore 20: Musica dal vivo con Past&Fasul, tra swing, gipsy, folk e jazz

Sabato 5 giugno
Ore 11: Controllo dei corpi e obbligo vaccinale: una questione non rinviabile
A cura di alcune compagne e discussione.
Ore 13.30: Pranzo
Ore 15.30: Uno sguardo su guerra e frontiere attraverso l’individuazione di alcuni responsabili.
Discussione a partire da: Nemici di ogni frontiera. La lotta contro il Cpt nel Salento, ed. Anarchismo, 2019, a cura di Alcuni nemici di ogni frontiera
Leonardo-Finmeccanica e il militarismo nel tarantino. Una breve ricognizione a cura di alcuni compagni della Masseria Foresta
Ore 17.30: La critica radicale alla società tecno-industriale nel pensiero di Ted J. Kaczynski.
A cura di alcune compagne e discussione
Ore 20: Cena
Ore 21: Musica dal vivo con Pippop, rap hardcore

Domenica 6 giugno
Ore 11: Fuoco! Sangue! Veleno! Patto con la morte. Anarchici a Marsiglia alla fine del XIX secolo, Ed. Indesiderabili, 2020
Presentazione del libro a cura degli editori e discussione
Ore 13.30: Pranzo
Ore 16: Scienza, tecnica e tecnologia invadono sempre più ogni aspetto dell’esistente, tendendo alla realizzazione di un Dominio totale. Che cosa può suggerire tale consapevolezza?
Discussione a più voci con un curatore di Contro lo scientismo. di Pierre Thuillier, S-edizioni, 2020 e alcune redattrici di Chrysaora, rivista anarchica, Chrysaora edizioni.
Ore 20: Cena

Via Silvio Pellico Lecce, traversa di via Taranto
disordine@riseup.net

Sono benvenute le distribuzioni di stampa anarchica e di critica radicale.
A chi viene da lontano, chiediamo di avvisarci con qualche giorno di anticipo per poterci organizzare

 

 

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Patria!

La patria! Divisione arbitraria che separa l’umanità per permettere ai ciarlatani della politica e della finanza, non appena lo esige il loro egoismo, di scagliare i popoli l’uno contro l’altro. Che importa dei cadaveri che giacciono al suolo, più noi versiamo del sangue e migliore sarà il loro raccolto; la rossa rugiada non è forse la più fruttuosa per loro?

La patria! È bella per noi che non abbiamo né soldi, né abiti, per noi che siamo sfruttati ogni giorno da coloro che si riempiono la bocca di questa parola, la patria, soprattutto quando siamo chiamati a difendere nient’altro che i nostri strumenti di tortura.

I possidenti e i governanti non hanno bisogno soltanto della carne da lavoro che gli permette di riempire le loro casseforti, ma anche della carne da macello per difendere la loro proprietà acquisita così bene e allora danno i fucili ai giovani, gli dicono di sparare sia sui loro fratelli di miseria che vivono al di là della frontiera sia sui loro padri e fratelli.

Se cantate sapendo tutto questo, sarete degni dei capi che vi comanderanno con l’insulto sulle labbra e puntandovi contro la spada.

Ma se, nauseati da questo stato di cose, volete come noi il benessere per tutti, vi deciderete a sferzare un colpo dopo l’altro alla società attuale e lotterete al contrario contro questa patria disumana, contro gli sfruttatori e i governanti, contro i vampiri che vivono di questi pregiudizi che costano così tanto sangue, così tanta miseria.

Dalla patria deriva la schiavitù, dal suo crollo nascerà la libertà. Sta a voi scegliere tra rivoluzione e militarismo, tra la dignità e l’avvilimento.

La Jeunesse Révolutionairre (1891)

Fuoco! Sangue! Veleno! Patto con la morte.                                                                    Anarchici a Marsiglia alla fine del XIX secolo, Indesiderabili edizioni, ottobre 2020

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Nuovi titoli in distribuzione

Tom 2.0, Benvenuti a smart city (che non è intelligente e non è una città),   ed. Nautilus, 2021, pag. 46, € 3,50

Ciascuno al suo posto, un posto per ciascuno. Qui l’angolo dei bambini, là la pista ciclabile. Qui il prato rasato, là un quadrato di erbe selvatiche. Qui l’angolo “Lavoro”, là lo spazio “Relax”. Questa perfezione calcolata al millimetro, disumana, dà la sensazione di attraversare un villaggio Potëmkin, ma realmente abitato da abitanti Potëmkin.
Per quanto smart vogliano considerarsi, gli Smartiani sono degli assistiti. Assistiti tramite computer. Assistiti dal proletariato asiatico. Assistiti dai sociologi del comportamento. Assistiti dagli ingegneri e dai cyber-poliziotti. Sono uomini-macchina che vivono in una città-macchina all’interno di un mondo-macchina, ma sognano se stessi come liberi pensatori. Non sentono la rete di contenzione che li stringe ogni istante di più.

Raoul Vaneigem, Ritorno alla base, ed. Nautilus, 2021, pag. 30, € 2,50

«Non sapevano che fosse impossibile, allora l’hanno fatto». Questa frase di Mark Twain è ogni giorno più pertinente a mano a mano che si moltiplicano, decrescono e rinascono le insurrezioni planetarie.
Chiunque se ne può accorgere: i conflitti ideologici sono esche. La vera lotta è ovunque gli abitanti di un paese o di un quartiere urbano rifiutano i pesticidi e le nocività, rinnovano l’insegnamento, rimettono in funzione le strutture ospedaliere, affrontano il problema della mobilità, salvano i commerci locali, studiano il passaggio dell’agroalimentare a un’agricoltura rigenerata, aprono centri di accoglienza per quanti subiscono quotidianamente un’oppressione burocratica, economica, familiare, sessista o razzista.

 

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Yves Pagès, Liabeuf l’ammazzasbirri

Un giovane artigiano, abile ciabattino, proletario orgoglioso di sé, s’innamora di una prostituta. I poliziotti della buoncostume lo accusano di esserne il protettore. Sanno di mentire, ma vogliono dare una lezione a quella testa che non si abbassa al loro cospetto. A nulla varranno in tribunale le dichiarazioni della ragazza, del giovane artigiano, di chi lo conosce, nemmeno il suo datore di lavoro sarà creduto. Come sempre accade, per il giudice fa fede la parola dei poliziotti. E condanna il ciabattino. La Società decreta pubblicamente che Jean-Jacques Liabeuf è un volgare magnaccia. Il suo cuore esplode di rabbia per questa umiliazione. Allorché esce di prigione, un solo pensiero prende possesso della sua mente. Non si rivolge all’opinione pubblica, non fa scioperi della fame, non invia lettere di protesta alle autorità competenti, non fa presidi davanti ai tribunali, non si suicida per la vergogna. Ma pianifica la sua terribile vendetta. Si costruisce dei bracciali e dei paraspalle appositi, irti di punte d’acciaio per tenere a bada la stretta degli sbirri (che all’epoca giravano disarmati, contando solo sulla forza dei loro muscoli), si procura un’arma e va a caccia di coloro che hanno calpestato la sua dignità. Non trovandoli, se la prenderà coi loro colleghi. Ovvero con chi ha sicuramente mortificato qualcun altro o, nel migliore dei casi, è quotidianamente complice di simili nefandezze. Sono stati gli sbirri ad averlo immerso nel fango insudiciando il suo amore, sono gli sbirri che lui vuole annegare nel sangue. Ed è quello che farà. Così Liabeuf prova «l’inebriante gioia della vendetta soddisfatta».

136 pages // A5 // 6 euro // ed. Impatience Imprimerie Anarchiste, Marsiglia, 2021

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Nuovi titoli in distribuzione

Un po’ di nuovi arrivi e vecchi titoli nuovamente disponibili:

  • AA. VV., Contributi dalla Fiera del Libro Anarchico – Marsiglia 2019,  ed. Imprimerie Anarchiste L’Impatience, 2021, pag. 117, € 4
  • Yves Pagès, Liabeuf. L’ammazzasbirri, ed. Imprimerie Anarchiste L’Impatience, 2021, pag. 133, € 6
  • AA. VV., A stormo! Contro il TAV, il cittadinismo, le delazioni, ed. Indesiderabili, 2015, pag. 111, € 6
  • Giovanni Gavilli – Errico Malatesta, I banditi rossi, ed. Indesiderabili, 2014, pag. 38, € 3,50
  • Julius Van Daal, Bello come una prigione che brucia, ed. Indesiderabili, 2014, pag. 58, € 4
  • René Char, Fogli d’Ipnos 1943-1944, ed. Indesiderabili, 2014, pag. 47, € 3,50
  • Alèssi Dell’Umbria, R.I.P. Jacques Mesrine, ed. Indesiderabili, 2014, pag. 43, € 3,50
  • Fuoco! Sangue! Veleno! Patto con la morte. Anarchici a Marsiglia alla fine del XIX secolo, ed. Indesiderabili, 2020, pag. 251, € 10
  • Sante Pollastro, La rivolta nell’ergastolo di Santo Stefano, ed. Indesiderabili, 2014, pag. 18, € 1,50
  • La zampata della vita, ed. Indesiderabili, 2014, pag. 15, € 1,50
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°2, febbraio 1987, pag. 8, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°6, giugno 1987, pag. 12, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°7, settembre 1987, pag. 10, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°8, ottobre 1987, pag. 8, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°17, novembre 1988, pag. 8, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°19, febbraio 1989, pag. 18, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°21, giugno 1989, pag. 20, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°22, novembre 1989, pag. 22, € 1
  • ProvocAzione. Mensile anarchico, n°23, febbraio 1990, pag. 22, € 1
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Contro lo scientismo

La “complessità” come realtà e come alibi

Vorrei terminare con due osservazioni. La prima riguarda la complessità della questione che ho tentato di porre. Dicendo questo, penso in particolare al caso dei paesi in via di sviluppo – e per esempio a questa dichiarazione fatta qualche anno fa da M.Roche, presidente del Consiglio nazionale di ricerca scientifica e tecnica del Venezuela:

“Il novanta per cento della popolazione mondiale desidera ancora appassionatamente la scienza al fine di utilizzarla come una fonte di benessere umano; noi desideriamo perfino l’inquinamento, perché vi vediamo un segno certo di prosperità”.

Tesi di questo tipo ( e problemi di questo tipo…) richiedono di essere considerati con attenzione, anche se non è poi così semplice che la “scienza” sia il rimedio universale, perché vi è in gioco la sopravvivenza stessa di certi gruppi di uomini. Dal momento che la “scienza” appare in grado di risolvere alcune questioni assolutamente urgenti, sarebbe stupido non tenerne conto. Tuttavia, anche per quanto riguarda il terzo mondo, niente ci dice che il ricorso sistematico (e, oserei dire, cieco) alla “scienza” costituisca la sola o la miglior risorsa. Sembra proprio che un certo neocolonialismo sciento-tecnocratico, in diversi casi, sia stato impotente, se non addirittura nocivo. E che le soluzioni meno “occidentali” ma più adatte siano state frequentemente (e presuntuosamente) trascurate. Se le cose stessero così, ne risulterebbe che l’ottimismo e il militarismo scientisti potrebbero e dovrebbero, ancora una volta, essere rimessi in discussione.

Comunque sia, il mio proposito non era di parlare della “scienza” nei paesi in via di sviluppo, ma in quelli in cui essa sta conoscendo l’espansione che ben conosciamo. Anche qui, la situazione non è semplice. Per cercare di descriverla e di valutarla, ho ovviamente fatto delle scelte e privilegiato certe interpretazioni. Detto altrimenti, io stesso ho proceduto a delle semplificazioni; semplificazioni che il lettore critico potrà trovare ugualmente illecite (o ancora più illecite) di quelle di cui si rende colpevole la “scienza”…Ma questa simmetria astratta, ritengo, non dovrebbe far dimenticare un’asimettria molto più concreta e molto più fondamentale. Quella che riguarda le forze a confronto. Perché ammettiamolo: qualunque discorso un po’ generale si poggia su delle semplificazioni. Ma il vero problema pratico non riguarda solo le “semplificazioni” in sé; riguarda l’ampiezza e la potenza dei loro effetti sociali. Riprendiamo l’esempio simbolico del Q.I. Non si tratta tanto di sapere se questa nozione, da un punto di vista puramente epistemologico, sia intrinsecamente “legittima” o meno. Posta così, questa questione di legittimità (o di validità) non sarebbe che competenza degli specialisti. Ma si dà il caso che gli esperti di Q.I non siano unicamente degli “studiosi” che lavorano all’interno della loro torre d’avorio. Sono, volenti o nolenti degli attori sociali, che intervengono in un certo sistema sociale, contribuendo a instaurare delle norme pratiche che non sono neutrali – e imponendo “un’immagine” dell’uomo che nemmeno essa è neutrale. È questo potere effettivo che, ai miei occhi, è il problema. Soprattutto dal momento in cui vi sono buone ragioni per pensare che l’attività in questione si inserisca in un movimento generale di natura totalitaria. In un tale contesto, come raccapezzarsi? Uno dei modi consiste nel rifiutare di vedere la direzione generale del processo. È esattamente quello che io chiamo l’alibi della complessità. Alibi con cui ci si può destreggiare con efficacia, bisogna dirlo. Perché tutte le questioni sono “complesse” – o possono facilmente diventarlo… Non appena si mette il naso nella biologia, nella psicologia, nella sociologia, nell’economia, non appena ci si accinge a determinare il grado di “verosimiglianza” o di “verità” di ogni singolo enunciato, si scoprono migliaia di questioni delicate sulle quali non è possibile decidere dogmaticamente. Portando questo discorso all’estremo, ogni giudizio sulla “scienza” diventa impossibile: bisogna aspettare – aspettare il giorno lontano, indefinitamente lontano, in cui la “scienza” stessa, grazie ai suoi progressi, avrà risolto tutte le questioni… Sul piano pratico, l’alibi della complessità funziona ugualmente molto bene. La ricetta è semplice: è sufficiente procedere a un bilancio minuzioso in termini di vantaggi e di inconvenienti. La fisica, per esempio, ha l’inconveniente di portare alla bomba atomica; ma il vantaggio di offrirci frigoriferi efficaci e aerei veloci. La sociologia, da parte sua, ha l’inconveniente di fornire ai commercianti, agli industriali e ai governanti dei nuovi mezzi per manipolarci; ma ha il vantaggio di chiarirci meglio, in quanto cittadini, il funzionamento della società. E così via. Alla fine di un inventario di questo tipo, non ci resta tra le mani che una moltitudine di valutazioni frammentarie – dei “buoni punti” e dei “cattivi punti” la cui somma, senza dubbio, è ben complessa! Si sfocia molto facilmente nel discorso della giusta via di mezzo: ci sono dei pro, ci sono dei contro, non bisogna esagerare da nessun lato, in medio stat virtus, utilizziamo ma non abusiamo, ogni medaglia ha il suo rovescio, si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto, meglio un uovo oggi che una gallina domani, non si ottiene niente in cambio di niente, ecc. Perché no? Perché non temporeggiare? Perché non adottare quest’attitudine moderata? Occorre riconoscere che questa scelta è possibile. Ma che si riconosca anche che è una scelta, nel senso più forte del termine; e che questa ha come effetto di rendere praticamente impossibile qualunque riflessione sul significato generale dell’impresa scientifica. È per questa ragione che ho deliberatamente lasciato da parte il linguaggio prudente secondo cui non si tratta (nel migliore dei casi) che di “eccessi” e di “abusi”.

Pensiamo agli armamenti nucleari, agli effetti (e alle ambizioni) di manipolazione della sociologia e della psicologia, ai progetti altrettanto manipolatori dei sociobiologisti alla Wilson, ecc. Classificare tutto questo sotto la rubrica degli “eccessi della scienza” significa fin dall’inizio ammettere che la scienza in sé è buona; e dunque implicitamente respingere ogni dibattito di fondo sulla famosa “avventura della scienza occidentale”. Spero dunque di essere abbastanza categorico su questo punto: sì, il bilancio dei benefici e dei danni passati e presenti della “scienza” non è una questione semplice – ma non è continuando a ragionare per bilanci analitici che si potranno affrontare i grandi problemi della “società scientifica”. Il minimo esempio, se lo si esamina bene, può servire d’illustrazione. Così i tranquillanti, di primo acchito, possono apparire come una meravigliosa conseguenza della ricerca scientifica e tecnica. Pensate, eravate nervosi, depressi, perfino angosciati; ed ecco che delle piccole pillole vi donano la calma, la serenità. Di cosa vi dovreste lamentare? Ma possiamo esaminare la situazione con un altro occhio. E interrogarci, per esempio, sulle ragioni che spingono la nostra società a ingurgitare tonnellate di tranquillanti. Come siamo arrivati a questo punto? Non potrebbe darsi che la causa di tutti questi disturbi nervosi e di queste depressioni sia sociale? I tranquillanti, ci viene detto, sono dei rimedi notevoli. Ma è l’ingestione di questi prodotti farmaceutici che ci aiuterà a organizzare una vita sociale meno snervante, meno traumatizzante? A poco a poco, non sarebbe troppo difficile arrivare a vedere il ricorso massiccio ai tranquillanti come una vera e propria mistificazione. D’altronde come chiamare una “medicina” che si accontenta di far scomparire i sintomi di una malattia senza attaccare le cause di quest’ultima? E ancora, si trattasse solo di questo… L’efficacia stessa dei tranquillanti finisce per far dimenticare l’esistenza di un problema di fondo, di un problema sociale. Buon successo per l’ideologia molecolare. Secondo quest’ultima, l’abbiamo visto, tutto deve essere ridotto al livello degli atomi e delle molecole – e noi stessi non siamo che mucchi di molecole… Il seguito va da sé: essendo molecole, siamo regolati da molecole. Tutto questo è “scientifico”, oggettivo. E getta una nuova luce, abbastanza viva, sul disprezzo che i tecnocrati e i loro ideologi manifestano per le “ideologie”. Porre il problema “ideologicamente”, in effetti, vuol dire porlo in termini culturali, sociali e politici; e dunque considerare un’azione sull’ambiente, sull’organizzazione stessa della nostra della nostra vita quotidiana. Ma… c’è un ma! Questo significherebbe che i problemi da risolvere non sarebbero più neurologici e farmacologici… Degli agitatori ne approfitterebbero (naturalmente) per tornare sulle solite recriminazioni contro la civilizzazione della macchina; contro il culto del profitto e della crescita; contro le stesse scienza e tecnica, chissà? Sarà meglio allora tornare al punto di partenza, cioè ai piccoli bilanci miopi che faranno comparire i tranquillanti nella colonna dei benefici, dei vantaggi che ci reca la “scienza”. Su un punto sono d’accordo: non è senza sforzo afferrare la situazione in tutta la sua complessità. Ma questa complessità, non la situo nella contabilità dettagliata dei pro e dei contro: tre punti negativi per Hiroshima, cinque punti positivi per il Concorde… La vedo piuttosto nell’”impresa scientifica” stessa, considerata come incarnazione ed espressione privilegiata di una certa pratica sociale.

L’intossicazione scientista

La mia seconda e ultima osservazione riguarda gli effetti diretti dell’ideologia scientista. Questa ideologia è immanente all’impresa scientifica stessa, nel senso che esprime le sue aspirazioni ultime: riuscire a comprendere tutto e a dominare tutto, giungere a una padronanza completa (teorica e pratica) della “realtà”. Ma è allo stesso tempo banale e fondamentale ricordarlo: la propaganda scientista che diffonde questo ideale anticipa le realizzazioni effettive della “scienza”. In altri termini, è possibile distinguere due aspetti nella scientifizzazione del mondo sociale. Da un lato una scientifizzazione “dura”, propriamente tecnica, che applica dei saperi accuratamente controllati e porta delle manipolazioni efficaci; dall’altro lato una scientifizzazione che si sviluppa a livello di discorso, a livello di retorica culturale. Questi due aspetti, di fatto, sono intimamente legati da una sorta di dialettica: l’indottrinamento scientista conduce le popolazioni a vedere nella “scienza” l’istanza suprema e a riconoscere l’egemonia degli esperti – e i successi pratici di questi ultimi, a loro volta, confermano la legittimità sociale del totalitarismo scientista. Il sistema così formato ha d’altronde le sue ricette “magiche” per camuffare gli eventuali fallimenti. Per esempio, resta inteso che la “scienza” in sé non può mai avere degli effetti negativi. Se talvolta essa appare inconcludente o perfino nociva, questo è causato soltanto dal fatto che non si è abbastanza “scientifici”. Sarà sufficiente quindi andare oltre, ricorrere maggiormente alla “scienza” perché la situazione migliori. Così si organizza una vera e propria “fuga in avanti”. Tutto questo, l’ho detto e ripetuto, poggia su una certa mistica, su diversi presupposti la cui “razionalità” e “verità” non sono affatto evidenti. E che non hanno niente di scientifico… Ma allora, non è allettante considerare lo scientismo come un’autentica intossicazione? Dalla mistica alla mistificazione, non vi è che una passo. L’ipotesi è quantomeno da prendere in considerazione: è possibile che la “scienza” (in quanto sapere effettivo, in quanto apparato cognitivo basato su delle norme severe) sia incapace di mantenere le promesse dello scientismo. Un giorno o l’altro, quest’ultimo finirà per mostrarsi (in retrospettiva) come un’ingannevole utopia. E più precisamente come una volgare dottrina metafisico-religiosa, dottrina il cui ruolo sarà stato di giustificare un certo regime commerciale-industriale-tecnocratico. Questa, certamente, non è che un’ipotesi… Il cristianesimo prometteva il paradiso; il marxismo prometteva la società senza classi; non è ancora provato “scientificamente” che lo scientismo non ci darà la Felicità assoluta! Ciò che appare certo, in ogni caso, è che l’apostolato scientista non è neutrale. L’unico dubbio possibile riguarda le possibilità della “scienza” in senso stretto, cioè di quelle attività specializzate che costituiscono la fisica, la biologia, la sociologia, ecc. Questo dubbio può esprimersi attraverso la domanda: fino a dove riusciranno ad arrivare queste discipline nella costruzione di una conoscenza e di una pratica conformi agli ideali della trasparenza “razionale”? La risposta, oggigiorno, non è così certa. Per contro, gli effetti a breve termine e a medio termine dell’intossicazione scientista sono fin troppo evidenti: attraverso il suo successo sociale, essa porta le persone a una sorta di dimissioni filosofiche, etiche, politiche. Almeno per il momento, può darsi che il problema dei limiti del sapere scientifico sia secondario. Quello che conta sono le credenze che modellano di fatto le condotte sociali. Dal momento in cui una società è persuasa che soltanto gli esperti abbiano diritto di parola, significa che una tappa temibile è già stata superata. (…)

Pierre Thuiller, Contro lo scientismo (1980), S-edizioni

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La rinuncia ad agire è un’azione insufficiente

Lei una volta ha definito le centrali nucleari strumenti d’omicidio. Ogni anno capitano centinaia di incidenti…

… Che poi vengono nascosti e sminuiti…

… Ma cosa dobbiamo fare ancora, per farci ascoltare?

Ebbene, per prima cosa, e questo potrebbe forse spaventarla, o forse no, voglio dichiarare: nonostante io molto spesso venga considerato un pacifista, sono giunto alla convinzione che con la non-violenza non si possa più arrivare a nulla. La rinuncia ad agire è un’azione insufficiente.

Questa è una nuova convinzione?

Dopo Chernobyl è tutto più chiaro. In questo momento sto scrivendo un libro che s’intitola Stato di necessità e leggitima difesa. Ci troviamo in una situazione, e nessuno può contestarlo, che giuridicamente può, anzi deve, essere considerata come <<stato di necessità>>. Milioni di persone, l’intera vita sulla Terra e quindi anche la vita futura, sono minacciate di morte. Non da gente che vuole uccidere persone direttamente, bensì da gente che ne accetta il rischio, e che riesce a pensare solo in termini tecnici e quantitativi…

O proprio economici…

… Naturalmente. Economici e affaristici. Insomma noi siamo in una situazione che, giuridicamente parlando, è uno <<stato di necessità>>. Da tutti i codici, anche da quello di Diritto Canonico, in una situazione di stato di necessità la violenza non è solamente permessa, ma è raccomandata. Per esempio nel paragrafo 53, 1-3 del Codice penale tedesco. Ciò va spiegato. Non è possibile opporre una resistenza efficace attraverso metodi benevoli come il dono di mazzetti di nontiscordardime, che i poliziotti non possono nemmeno prendere perché tengono in mano i manganelli. Altrettanto inadeguato, anzi insensato, è digiunare per la pace atomica. Questo produce un effetto soltanto nel digiunatore, cioè la fame; e forse la buona coscienza di aver <<fatto>> qualcosa. Ai Reagan e alla lobby atomica, però, non importa nulla se noi mangiamo un panino al prosciutto in più o in meno. Tutte queste cose sono davvero solo happenings. Oggi le nostre pretese azioni politiche somigliano spaventosamente a quelle azioni apparenti che sorsero negli anni ’60. Anche quelle mutavano già (o ancora) tra il sembrare e l’essere, e coloro i quali conducevano tali azioni credevano certamente di aver oltrepassato il limite della pura teoria, ma in verità restavano actores soltanto nel senso di attori. Facevano solamente teatro. E ciò per paura del vero agire. Effettivamente non suscitavano nessuna esplosione, ma solamente uno choc che dovevano addirittura gustarsi. Il teatro e la non-violenza sono parenti stretti.

Lei difende la violenza, signor Anders; potrebbe precisare che cosa intende con questo?

Potrei certamente farlo. Non lo farò dettagliatamente però, in quanto lei potrebbe incontrare delle difficoltà con la sua pubblicazione. Ritengo in ogni caso indispensabile intimidire coloro che detengono il potere e minacciano noi (un <<noi>> di milioni). Non ci resta altro che restituire la minaccia e rendere innocui quei politici che incoscientemente accettano il rischio della catastrofe o che la preparano direttamente. Già la semplice minaccia potrebbe forse, speriamo, avere un effetto intimidatorio. Del resto già uno si è definito <<spada>>, e nessun cristiano avrebbe l’audacia di chiamarlo <<agitatore>>.

Che cosa consiglia ai giovani che cominciano ora a capire quel che può significare la catastrofe atomica? Che cosa possono fare?

Questa è la domanda cruciale: la violenza non è più solamente permessa, ma è anche moralmente legittimata fintanto che essa viene usata dal potere costituito. Il potere stesso, da sempre, si fonda sulla possibilità di esercitare la violenza.

Nel 1939 fu ovvio per chiunque prender parte alla guerra e <<diventare violento con>>; se in quel caso si fu coinvolti, si era fatto <<soltanto il proprio dovere>>, come sottolinea volentieri un certo presidente. Su ordine del potere non solo si può essere violenti, ma addirittura si deve e si è obbligati ea esserlo. A noi uomini di oggi, non interessati ad altro che ad impedire definitivamente ogni violenza, viene invece rimproverato anche il solo fatto di pensare all’uso della violenza; sebbene in verità, quando noi la prendiamo in considerazione, non miriamo a nient’altro che alla situazione della non-violenza, cioè alla situazione che Kant ha definito <<pace perpetua>>. Una cosa è certa: per noi la violenza non puoi mai essere un fine. Ma è innegabile che la violenza debba essere il nostro metodo, se col suo aiuto e soltanto col suo aiuto può affermarsi la non-violenza. […]

Günther Anders discute con Manfred Bissinger (1986)

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