La stella

Oggi torno a farmi la stessa domanda che ho posto un centinaio di volte a me e alle persone più diverse: quale è stato il giorno più difficile per gli ebrei in quei dodici anni infernali?

Tanto io quanto gli altri abbiamo dato sempre una risposta univoca: il 19 settembre 1941. Da quel giorno ci fu l’obbligo di portare la stella di David a sei punte, il pezzo di stoffa di colore giallo, il colore che tuttora segnala peste e quarantena e che nel Medioevo contraddistingueva gli ebrei, , il colore dell’invidia, della bile, del male da scansare; il cencio giallo con la scritta nera Jude, la parola racchiusa dalle linee intersecantesi nei due triangoli, la parola in caratteri a stampatello che, evidenziati dalla distanza fra l’uno e l’altro e dai tratti orizzontali marcati, simulano la scrittura ebraica.

Troppo lunga questa descrizione? Ma no, al contrario! Semmai mi manca la capacità di darne una descrizione più esatta e penetrante. Quante volte, quando c’era da cucire una nuova stella su un altro indumento (per lo più usato, distribuito dall’apposito magazzino), su una giacca o un cappotto, quante volte con l’ausilio di una lente ho osservato il pezzo di stoffa, le singole particelle del tessuto giallo, le irregolarità della stampa nera: bene, tutti quei quadratini non sarebbero stati sufficienti se avessi voluto collegare a ognuno di essi le torture subite a causa della stella.

Per la strada mi viene incontro un uomo dall’aspetto bonario e mite, che tiene affettuosamente per mano un ragazzino. A un passo da me si ferma e dice: “Guardalo bene, Horstl! È lui il colpevole di tutto!”… Un signore distinto, dai capelli bianchi, fa un cenno di saluto e mi porge la mano: “Lei non mi conosce, volevo solo dirLe che condanno questi metodi”…

Sto per salire sul tram, dove mi è permesso sostare solo sulla piattaforma anteriore, a patto che sia separata dall’interno della carrozza (posso usare questo mezzo solo per andare in fabbrica, purché questa disti più di sei chilometri da casa mia); sto dunque per salire, è tardi e se non arrivo puntuale al lavoro il capo mi può denunciare alla Gestapo. Da dietro qualcuno mi tira giù violentemente. “Ma vai a piedi che ti fa meglio!”. È un ufficiale della Gestapo che sghignazza, senza brutalità, si vede che la cosa lo diverte, un po’ come quando si stuzzica un cane… Mia moglie dice: “È così bello, oggi, eccezionalmente non ho da fare la spesa, non devo fare la fila da nessuna parte, ti accompagno un pezzetto”. “Ma nemmeno per sogno! Devo stare a guardare come per strada ti offendono per causa mia? E poi potresti insospettire chi ancora non sa chi sei, così quando porti fuori casa i miei manoscritti ti arrestano subito!”… Un facchino che mi è rimasto affezionato dal tempo dei miei due traslochi (tutte brave persone, mi sa tanto che siano vicini al partito comunista) mi compare davanti in Freiberger Straße, mi afferra la mano con le sue zampone e “sussurra” (lo sentiranno anche dal marciapiede opposto): “Forza, professore, non si avvilisca! Quei maledetti sono quasi spacciati!”. È una gran consolazione, qualcosa che riscalda il cuore, ma se dall’altro lato della strada lo sentisse la persona giusta, al mio consolatore costerebbe il carcere e a me la vita, via Auschwitz… Nella strada deserta un’auto di passaggio frena, la testa di uno sconosciuto si sporge dal finestrino: “Sei ancora vivo, porco maledetto? Bisognerebbe schiacciarti, passarti sopra la pancia!”…

Davvero, tutti i quadratini non basterebbero ad annotare tutte le amarezze provocate dalla stella gialla.

[…]

Per la maggior parte del tempo il bagliore giallo della stella riluce frammisto ai pensieri più cupi. Ma il bagliore più sinistro e fosforico emana dalla “stella nascosta”. Secondo quanto prescrive la Gestapo la stella dev’essere portata ben visibile sul lato sinistro della giacca, del cappotto normale o di quello da lavoro, e ovunque ci sia la possibilità di incontrare ariani. Quando in certe giornate afose di marzo uno porta il cappotto sbottonato, col il risvolto ribattuto dalla parte del cuore, oppure tiene stretta una cartella sotto il braccio sinistro o, se è una donna, porta un manicotto, in tutti questi casi la stella rimane nascosta, forse inavvertitamente e per pochi secondi, forse però anche volutamente per poter camminare una volta tanto senza quel marchio. Un funzionario della Gestapo penserà sempre che sia stata nascosta intenzionalmente, la conseguenza sarà il campo di concentramento. Se il funzionario vuole dimostrarsi particolarmente zelante e uno ha la sfortuna di incontrarlo, è inutile che il braccio con la cartella o quello col manicotto pendano fino all’altezza dei ginocchi, è inutile che il cappotto sia tutto ben abbottonato: l’ebreo Lesser o l’ebrea Winterstein hanno “occultato la stella” e, al più tardi tre mesi dopo, da Ravensbrück o da Auschwitz arriverà al Comune un regolare certificato di morte. La causa della morte vi sarà indicata con precisione, sarà diversa di volta in volta e persino individuale; sarà, alternativamente, “insufficienza cardiaca” o “fucilato durante un tentativo di fuga”. Ma la causa della morte è in realtà la stella nascosta.

Victor Klemperer, LTI La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo [1946]

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