Nella ricerca di un ordine sociale nuovo che li rassicuri, i sostenitori della delegittimazione riconfermano la validità dei valori su cui si basa il progetto dominante di produzione e controllo. Al massimo sono o potrebbero essere degli ottimi riformatori di una società basata sulla ragione e non sulla violenza e la sopraffazione.
I fautori delle pratiche della delegittimazione sono soggetti reattivi che basano la propria lotta sul raggiungimento dei valori esistenti e stabiliti, aspirano in sostanza a realizzare un ordine più razionale in modo da generare un processo di giustizia sociale più equa. Intendono così sul piano del linguaggio dei diritti misurarsi con lo Stato.
Queste strane creature demissorie hanno per oggetto la contesa e mai la critica, così, sia che risultino perdenti o vincenti, la loro battaglia con lo Stato è persa in partenza, in quanto battersi per il conseguimento dei valori stabiliti non è che l’espressione di un’avvenuta interiorizzazione delle logiche che governano il vecchio mondo. La loro non può che essere una lotta etico-conservativa col potere. Chiunque accetti come fatto definitivo l’ordine dei valori esistenti, rimane sottomesso ai pregiudizi e ai tabù che da questo derivano.
I delegittimatori di ogni grado e colore si agitano sempre dentro lo specchio di un rinnovamento, quale estensione della statualità sul piano politico sociale. Pur reputandosi a modo loro rivoluzionari, non credono in realtà ad un mondo totalmente altro da questo: ecco perché pensano più a riformarlo che ad abbatterlo. Essi plasmano la propria lotta sul principio di realtà, tutta la loro azione si inscrive all’interno della necessità e dei limiti imposti dallo Stato, per questo tendono continuamente ad integrarsi in base ad un fatiscente neoriformismo pragmatico che, pur non presentandosi immediatamente nella sfera istituzionale, la rifonda sotto altre motivazioni.
L’impotenza li spinge ad ingigantire i codici del potere fino al punto di non concepire di meglio che pensare di gestirlo alternativamente.
Dietro la maschera dell’aggiornamento costoro celano la propria miserabile ricerca di un ordine sociale che li rassicuri. Giocano nelle condizioni presenti ad inventarsi ambigue identità, diverse e contraddittorie, per poter giustificare le proprie debolezze di individui rivolti alla pacificazione, alla coesistenza col vecchio mondo, finendo col consolidare accordi con gli emergenti gruppi dominanti.
C’è in loro una volontà tale di integrarsi da diventare parte costitutiva del meccanismo di produzione e riproduzione delle forme di controllo attuate dallo Stato. Il loro evanescente rifiuto radicale delle istituzioni diventa una cristallina menzogna, quando si dissolve alla luce delle conclusioni che traggono dalle lotte inscenate, che sfociano in richieste di interventi statali, spaziando da una più equa redistribuzione del reddito, ad una razionalizzazione dei servizi, alla richiesta delle operazioni di salvataggio ecologico degli ambienti inquinati, fino alla costituzione di un neoantimilitarismo filoistituzionale. Da qui la necessità per loro di intrattenere rapporti di amicizia con le strutture più periferiche dello Stato (comune, regione, ecc.) che sovente non manca di dargli una mano in alcune costruttive iniziative sociali.
Pierleone Porcu, ProvocAzione n°22, novembre 1989