“Siamo in guerra contro un nemico invisibile”. Così si esprimevano, circa un anno fa, politici e tecnici dello Stato italiano. Ora le cose sembrano avere assunto maggiore chiarezza, e ben visibile è il nemico. Quel nemico siamo tutti noi.
La nomina a commissario per la gestione dell’emergenza di un generale degli alpini, con pregresse esperienze in zone di guerra quali Afghanistan e Kosovo, è l’ultimo tassello di una militarizzazione che invade ormai qualunque aspetto della vita.
Una militarizzazione manifestatasi con la gestione della pandemia e il portato, simbolico e pratico, del confinamento prima e del coprifuoco successivamente; col controllo capillare dei cittadini ad opera delle forze dell’ordine e con l’uso di un termine che richiama evidentemente una pratica di guerra.
Del resto, non è stato un vero e proprio atto di guerra quanto avvenuto un anno fa nelle carceri italiane? Quattordici detenuti ammazzati a colpi d’arma da fuoco e botte, rei di aver rivendicato la propria umanità e sopravvivenza attraverso la rivolta.
La ferocia di quegli accadimenti costituisce un chiaro messaggio verso tutti. Oggi non è più possibile alcuna rivendicazione, alcuna critica o rivolta: è solo possibile l’obbedienza.
Nel Salento lo abbiamo visto con Tap in tempi recenti: una vasta zona completamente militarizzata e uno schieramento ingente di forze dell’ordine a difesa di un’opera osteggiata da molti, ed un processo a carico di numerosi manifestanti che proprio in questi giorni arriva alla sentenza di primo grado. Il messaggio è chiaro: normalizzazione attraverso la forza.
Una “normalità” sempre più in tuta mimetica, costituita da militari schierati per effettuare tamponi, e da chi lavora anche in campo militare, come il neo-ministro per la transizione ecologica, Roberto Cingolani, ex dirigente di Leonardo-Finmeccanica, la più grande azienda italiana di armamenti. Prova tangibile che tra militare e civile non esiste più separazione alcuna.
Cosa serve ancora? Crediamo davvero di poterci definire “liberi” mentre accettiamo il ricatto della paura? E che la guerra non ci riguardi perché le bombe cadono lontano? E crediamo davvero che i futuri sviluppi ormai chiaramente individuabili – dalla digitalizzazione sempre più invasiva, alla patente vaccinale per poter viaggiare, all’obbligo di vaccini per poter lavorare in alcuni settori – non siano una ennesima misura di polizia contro le nostre già risicate libertà?
Crediamo davvero che tutte queste restrizioni, una volta inserite nella società, lo saranno solo in forma provvisoria?
Ancora una volta nella storia si tenta di eliminare qualsiasi voce avversa. Ancora una volta non vi sarà altra salute se non quella di pensare con la propria testa, essere consapevoli e agire di conseguenza.
Di tutto questo vogliamo parlare, per provare ad opporci fino a quando ancora ne avremo il tempo.
SABATO 13 MARZO, DALLE 18 ALLE 21
VIA TRINCHESE – ANGOLO TEATRO APOLLO – LECCE
INTERVENTI, MOSTRA, MATERIALE INFORMATIVO
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