A chi abbia avuto modo di conoscere approfonditamente il suo operato, guidato da profonda carità cristiana, è corso un brivido lungo la schiena ascoltando le parole di don Cesare Lodeserto. «Io sono tornato a 25 anni fa. Come in questi giorni si apriva il Regina Pacis. […] Sembra di essere tornato indietro; quello che sembrava concluso di fatto ricomincia».
A margine di uno scenario di guerra, in queste sue parole si riflette solo un’altra dichiarazione di guerra: la guerra all’essere umano nel nome del profitto. Quello che sembrava concluso di fatto ricomincia.
Da anni operativo a Chisinau, in Moldavia, dove è stato mandato come missionario per sfuggire alle conseguenze penali del suo operato divino, don Cesare Lodeserto è tornato alla ribalta delle cronache per il suo ruolo nell’accoglienza dei profughi ucraini. Guerra e accoglienza, devastazione e migrazioni: un binomio indissolubile che il prelato ben conosce, e conosce fin troppo bene i profitti che, dalla disgraziata condizione di molti, si possono ricavare. Ma quello che fa più paura in questo suo ricominciare non è l’enorme flusso di denaro su cui andrà a mettere le mani, ma ricordare che quelle mani sono sporche del sangue dei più disgraziati fra gli ultimi. Quello delle decine di migliaia di persone che in 15 anni hanno varcato – loro malgrado – le porte dell’ex lager per immigrati clandestini a San Foca, Lecce: il CPT “Regina Pacis” di cui don Cesare era direttore e padre-padrone, e che gestiva con la più assoluta brutalità. Un luogo in cui le pareti erano macchiate del sangue degli immigrati, a volte picchiati dalle stesse mani benedette di don Cesare, altre volte dai suoi più fidi collaboratori – il nipote Luca Lodeserto, l’albanese Paulin Dokaj, la moldava Natasha Vieru, tutti nomi che ricordiamo bene – oppure dai carabinieri a guardia della struttura, e coperti dai medici che vi lavoravano. Un luogo in cui finivano donne che volevano sfuggire alla tratta della prostituzione, che vedevano la loro schiavitù passare dalle mani del lenone a quelle del prete, disposto a strappare i loro passaporti pur di tenerle rinchiuse e continuare a incassare denaro.
Per questo ci vengono i brividi pensando a questo nuovo inizio di don Cesare, ancora una volta pronto ad elargire la sua bontà… Perché pensiamo a quanti esseri umani potrebbero essere nuovamente rinchiusi, a quanti ancora una volta potrebbero essere pestati a sangue se non ubbidiranno alle sue direttive. Perché abbiamo ancora negli occhi il volto di Vasile Costantin, Vali, che nel tentativo di fuggire dal Regina Pacis è caduto dal muro ed è rimasto totalmente paralizzato, non sappiamo se per la caduta o per le conseguenze del brutale pestaggio che ha subìto mentre era per terra.
Ecco, pensare a quanti altri possibili Vali transiteranno dalle strutture gestite da don Cesare in Moldavia può solo farci rabbrividire, così come ci fa rabbrividire che un essere così spregevole, che abbiamo imparato a conoscere come un aguzzino e un torturatore di esseri umani, possa tornare, grazie all’informazione di guerra, a presentarsi come un uomo caritatevole e un benefattore dell’umanità. È proprio vero, come molte volte è stato affermato, che la prima vittima della guerra è il vero significato delle parole…
Chissà se tra i profughi che con tanto amore don Cesare accoglierà, non incontri almeno uno tra quanti questo aguzzino aveva accolto a San Foca, pronto a sdebitarsi per il bene ricevuto a quei tempi. La volontà divina potrebbe guidarne la mano…