Il controllo tecnologico

Difficile capire il livello di incomprensione in cui versiamo quasi tutti per quanto riguarda uno degli scopi primari della tecnologia, il controllo.

Il potere, a qualsiasi livello, è interessato a conoscere le reazioni dei dominati, dalle preferenze alimentari ai livelli medi di istruzione, dalle scelte politiche in generale agli orientamenti specifici (destra e sinistra sono indirizzi ormai obsoleti), dalle scelte di abbigliamento alla distribuzione dei redditi, e tante altre modulazioni puntualmente registrate e altrettanto puntualmente disdette dalle ricerche statistiche.

Molti sforzi e molti investimenti sono stati utilizzati per capire questi flussi di orientamento e per mantenerli sotto controllo, evitando che producessero richieste molto particolareggiate e poco prevedibili. Anche quando sono apparsi improvvisamente (ma non troppo) comportamenti massivi mai osservati prima, ad esempio il caso del maggio 1968, non solo si è corso ai ripari velocemente, ma esaminando in maniera approfondita il fenomeno ci si è accorti in breve tempo che le nuove tendenze non erano del tutto fuori sintonia e che bastava aggiustare di poco il controllo sulla circolazione di alcuni modelli d’uso comune e tutto tornava alla cosiddetta normalità.

La presenza massiccia della tecnologia in qualsiasi aspetto della vita sociale contemporanea non viene colta fino in fondo se non si studia bene la scomparsa del classico dualismo tra umanesimo e tecnica. Questa separazione si è andata dapprima affievolendo per poi scomparire del tutto e l’affievolirsi ha avuto come causa l’abbassarsi del livello culturale medio. Da un canto gli studi tecnici anche ai livelli universitari, preparano sostanzialmente operai specializzati, anche se dotati di laurea, mentre il settore umanistico, che culturalmente dovrebbe fare la differenza, spingendo i tecnici a elevarsi dalla loro chiusa atmosfera meccanotecnica, si è talmente impoverito da sfornare a stenti alfabetizzati. Tutto questo pur persistendo delle piccole eccezioni, poche centinaia di persone, particolarmente seguite dal potere, utilizzate per fare meglio funzionare gli apparati di ricerca e i progetti di controllo.

Di per sé l’accesso della tecnologia nell’ambito culturale ha favorito l’appiattimento complessivo, in quanto per certi utilizzi di ricerca, escludendo quindi la mera esecuzione dei progetti, non occorrono grandi preparazioni culturali ma soltanto specifiche competenze tecniche. In queste condizioni, comprendere l’intrusione della tecnologia nell’intera vita dell’uomo conpemporaneo, e quindi approntare bene o male una qualche resistenza, è diventato difficile se non impossibile. Il nostro istupidito cervello ci porta a pensare che spegnere il cellulare d’ordinanaza o mantenersi lontani dai circuiti sotto controllo sia sufficiente per contrastare un processo che ha non solo ben altre potenzialità ma anche ben altre intenzioni.

La costruzione del nostro gusto o le modulazioni del nostro individualissimo (si fa per dire) erotismo, sono sistemi tecnologici di controllo molto più sofisticati della lucetta che campeggia all’ingresso di un qualsiasi supermercato. La tecnologia imprime il suo sistema d’urto basato sul controllo in modo da fare pervenire un messaggio oppressivo e onnicomprensivo, il tutto accompagnato da una sempre crescente incapacità di rendersi conto dei limiti e delle potenzialità di questo non individuabile progetto. Il controllo è un principio metafisico che regge le basi di una convivenza in cui la risposta, necessaria per sentirsi vivi e non oggetti incasellati sul banco di una qualsiasi distribuzione automatica, viene accantonata per sempre attraverso l’accettazione di una condizione non duramente repressiva. Tutto l’indirizzo tecnolgico di controllo è diretto quindi a costruire una condizione morbida che riduca al minimo le reazioni capaci di creare sacche di non-controllo, non ammissibili dal meccanismo stesso che è stato fatto entrare nell’ambito della vita quotidiana. Non abbiamo davanti un interlocutore posto di fronte a un pannello dove deve pigiare a destra o a manca dei pulsanti, ma un progetto autoprodotto che ingloba la totalità delle controversie immaginabili dei singoli capitali sempre in competizione tra loro.

Di fronte a una presenza onnicomprensiva, avente la tendenza autodiretta a impadronirsi della totalità stessa del vivere in società, parlare di controllo come scopo primario e quasi esclusivo della tecnologia è riduttivo e sbagliato. In fondo lo scopo inconfessabile della tecnologia nel suo complesso, intesa quindi come insieme che comprende tutti i sottoinsiemi possibili costituiti dai singoli capitali in competizione tra loro, è quello di ridurre il controllo a un livello sempre più accettabile e aumentare la condivisione attraverso una serie di processi di uniformizzazione costruiti attraverso le potenzialità tecnologiche stesse.

Se si uniforma il gusto della moda e della scelta, se si desidera lo stesso modello di uomo e di donna, non quello fatto vedere nei cataloghi o nelle sfilate di moda, ma al di sotto, ben al di sotto, impoverito e modulato in maniera accessibile e accettabile, se le risposte divergenti vengono polverizzate verso obiettivi minimali e senza un vero e proprio contenuto sovversivo, tutto questo movimento automaticamente messo in moto dall’insieme tecnologico stesso può ben ridurre l’attenzione di controllo. Se la lotta contro il potere è indirizzata in maniera fittizia su simboli linguistici, scelte gastronomiche, cartelli stradali, scritte murali, generi e tutto il resto, se l’attacco sovversivo al potere concreto diventa un circo in cui le pulsioni vengono modellate al minimo sulle mode uniformanti che ormai dilagano dappertutto, la tecnologia può ridurre i suoi progetti di controllo totale, per altro ormai reso possibile dalle più avanzate scoperte scientifiche. Questo vuol dire che, in generale, non tutto quello che oggi si può fare viene fatto, ma che la tecnologia produce ciò di cui ha bisogno per rendere onnicomprensiva la sua presenza all’interno della vita di ciascuno di noi, senza sprechi e senza fughe in avanti.

Queste riflessioni, aprono una prospettiva di attacco che potremmo considerare in modo diverso da come si è fatto in passato. Le singole strutture fisiche che rendono possibile l’incubo tecnologico nel suo complesso, non a livello locale ma a livello globale, sono pur sempre gli oggetti portanti del progetto in questione, e con loro, va da sé, gli uomini che nei singoli comparti, quasi senza nessun contatto tra di loro, concorrono a realizzare lavorando nella totalità dei casi solo in nome del profitto del singolo capitale. Ed è ovvio che così si individuano due obiettivi che però non devono essere per forza in cima ai pensieri dei rivoluzionari che intendono ridurre le conseguenze immediate della tecnologia in azione.

E poi? Ecco la domanda che ci si deve porre oggi. Il processo tecnologico non si conclude con quella rete di fili e di raccordi sotterranei ed aerei, con quelle cattedrali più o meno in pieno deserto, che abbiamo individuato da tempo, e di cui abbiamo parlato a lungo, ma si allarga di molto.

Che la rete bancaria universale sia uno dei punti essenziali per il funzionamento tecnico del mondo è cosa facile a capirsi, ma si tratta di un rapporto diretto che per la sua ovvietà non varrebbe nemmeno la pena sottolineare. Tutti siamo immersi nel sistema bancario mondiale, senza di esso nessuno di noi potrebbe sopravvivere o dovrebbe immediatamente fare ricorso a pratiche che non molti sono in grado di realizzare per mancanza di mezzi e anche per un implicito effetto del sistema tecnologico stesso. Restando nel tema, la circolazione del denaro rende possibile la distribuzione delle merci e da quest’ultima deriva la possibilità del consumo e, così stando le cose in questo momento storico, la nostra vita. Non è certo con sorpresa che scopriamo adesso che la nostra è una vita di merda perché l’abbiamo consegnata da tempo nelle mani adunche di protesi tecniche inserite in un combattivo conflitto tra capitali su di un terreno di scontro che non è sbagliato considerare planetario. Questo per prendere un singolo aspetto non certamente secondario ma non fra i più importanti perché direttamente collegato attraverso il rapporto produttore-consumatore. E le banche sono state da sempre uno degli obiettivi privilegiati per un attacco da parte dei rivoluzionari che non si limitassero a vendere parole agli angoli delle vie.

Prendiamo un altro aspetto della struttura tecnologica, la costruzione dell’erotismo individuale. Ognuno di noi avverte le proprie pulsioni erotiche e le considera quanto di più personale ci sia, ci riflette poco sopra, quando ne parla con qualcuno lo fa con un certo pudore e tutto il resto che ben conosciamo. Ma non sono in molti ad avere riflettuto sul fatto che il modello erotico medio che grosso modo tutti noi accettiamo, fatte le dovute eccezioni, è una costruzione della tecnologia.

La circolazione delle idee, quindi anche il livello culturale medio, la possibilità stessa di entrare in contatto con altri esseri umani e instaurare con loro possibili rapporti erotici, vengono gestiti dalla tecnologia, anzi è una delle attività più impegnative che quest’ultima pone in atto perché da essa derivano altre attività strettamente collegate al consumo. E a questo punto si apre un problema serio. Come fare ad attaccare un processo repressivo tanto intimo e così penetrato all’interno di ognuno di noi? Anche qui ci sono molti modi di attaccare. In fondo una sfilata di alta moda, un negozio di biancheria intima, un produttore di film porno, un ristorante gestito da un pontefice della culinaria, perché dovrebbero essere considerati meno responsabili di un traliccio dell’alta tensione? O cominciamo a porci queste domande e a ragionare in termini globali per quanto riguarda il problema della tecnologia, o non faremo mai dei passi avanti nei confronti del nemico che ci sovrasta.

Continuiamo, ma il discorso potrebbe allungarsi di molto, è uno degli elementi terminali dove il processo tecnologico in atto realizza la produzione della materia prima che gli serve per la fase produttiva che ormai non si può nemmeno definire post-industriale. In qualunque modo si consideri la cosa, occorre una mano d’opera alfabetizzata ma non acculturata. Mille strumenti sono stati usati per ottenere questo splendido risultato, perfino il detorunement dei movimenti cosiddetti rivoluzionari del passato che una volta soddisfatte le richieste imbecilli del primo momento non hanno saputo cos’altro chiedere e sono stati risucchiati nel vortice collaborazionista. L’abbassamento culturale della scuola serve da livello medio globale per qualsiasi altro settore sociale. Il lavoro ormai ha bisogno solo di servi schiocchi divisi in gruppetti isolati dove piccoli caporali ripetono sceneggiate sindacali del passato ormai prive di senso. Anche qui, l’attacco, come accadeva in passato, non dovrebbe essere un grave problema.

Non ci sono obiettivi privilegiati, qualsiasi obiettivo scolastico è buono perché cattivo, perché asservito, perché ormai inservibile, perché ridicolmente stupido. Forse i più piccoli livelli assolvono ancora all’insostituibile compito dell’alfabetizzazione, ma del resto, salendo ai piani alti, non c’è dubbio che si potrebbe farne benissimo terra bruciata.

La tecnolgia merita un approfondimento che non possiamo condurre qui fino in fondo, rischieremmo di farla troppo lunga. Preferiamo rinviare ai prossimi numeri della nostra rivista. Se quello che diciamo ha un senso, aspettiamo anche di sapere cosa ne pensano i compagni che ci leggono.

Ernesto Pris

marzo 2017

Negazine, n. 1, 2017, ed. Anarchismo

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