Ci hanno rubato la notte

Ci hanno rubato la notte.

Abbiamo scordato la data di inizio del coprifuoco e forse stiamo lentamente dimenticando le nostre notti in compagnia della luna, degli amici, degli amanti, delle stelle. È qualcun altro a dirci come passarle fra le mura di casa. Cercano di disciplinare tutto adesso con la scusa del virus: come relazionarci gli uni con gli altri, chi poter vedere, dove andare, gli orari… E ci ritroviamo a vivere giornate scandite da lavoro, tv, computer, supermercato e famiglia. Scelgono il colore dei luoghi dove viviamo e in base a quello ci costruiscono addosso una o l’altra gabbia. E ogni giorno inventano una nuova illogicità che finisce per plasmarci l’esistenza.

Da mesi stiamo chiusi in casa, decine di milioni di persone rinchiuse per paura o rassegnazione. E a domare tali paure non sembra più necessaria neanche la polizia. Ci riscopriamo zitti e obbedienti.

È questo che vogliamo? Quali nuove e interminabili costrizioni siamo disposti a sopportare? Potremmo svegliarci un giorno e renderci conto che non conosceremo più il piacere di un abbraccio, non sapremo immaginare un vero sorriso e non conosceremo la bellezza del rifugio della notte per le nostre fughe, i nostri diversi (in)sonni. Qualcuno avrà scelto per noi e pagheremo il prezzo dei nostri silenzi di oggi, della nostra accettazione.

Perché invece non proviamo a mandare all’aria tutto questo?

Per uscire, per reagire, per attaccare, per provare ancora a sognare!

Se c’è qualcosa da salvare in questo mondo è la necessità di lottare e di non farsi imprigionare dalla paura poiché l’autorità più efficace è quella che costruiamo nella nostra testa.

Anarchici

Notte pdf

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Le sofferenze del corpo

Non ho mai desiderato nulla di più di quello che desiderano le creature selvagge: un refolo d’aria pulita, qualche momento senza niente da fare per stendermi sull’erba e sfiorare i fili con le dita e magari guardare la volta celeste sopra di me, intervallata da nuvole bianche e tramonti bruciati; partire per un mese e galleggiare sulle creste salate delle onde e nuotare nella spuma, o magari rotolarmi nuda nella sabbia calda; il cibo che desidero mangiare lo prenderei direttamente dalla terra, e desidererei solo il tempo per saggiarne la bontà e un po’ per riposarmi dopo aver mangiato; e dormire soltanto quando necessario e quiete, così che il sonno mi prenda e mi abbandoni a suo piacimento; aria, spazi, un leggero riposo, restare senza vestiti qualche volta, e quando vestita vorrei abiti che non mi imbriglino, la libertà di sentire il contatto con la nostra madre terra, di restare al suo fianco al sole ma anche quando imperversa la tempesta, proprio come fanno le creature selvagge – è questo ciò che vorrei. Questo e rapporti liberi con i miei simili. Non per amare e mentire per poi provare vergogna; ma per amare e dire che ho amato, per poter gioire dell’amore; per sentire la corrente di diecimila anni di passione scorrere in me, corpo a corpo, proprio come fanno le creature selvagge. Non vorrei altro.

Ma non ho ricevuto nulla di tutto questo. Sono stata schiacciata da quel tiranno spietato che è l’Anima e di me non è restato più nulla. Mi ha spinto verso la città, dove l’aria è frenetica e infuocata, e mi ha detto: «Respirala, ti ci abituerai; non c’era nulla in quei campi vuoti; i templi sono qui invece, resta». E quando i miei poveri polmoni ormai soffocanti mi hanno costretta a tossire finché non mi sembrò che il petto volesse esplodermi, l’Anima ha detto: «Ti concederò un’ora o due; e mentre tu andrai in bicicletta e ti godrai la natura, io magari leggerò un libro».

E i miei occhi hanno pianto lacrime di dolore per quella breve visione di libertà che mi sfumava davanti, costretta a lasciare quel verde e quel blu soltanto dopo un’ora per ritrovarmi davanti quei muri rossi terrificanti, e così l’Anima mi ha detto: «Non posso perdere tempo, ho bisogno di conoscenza, ho bisogno di leggere!». E quando le mie orecchie hanno sperato di sentire il canto dei grilli o la musica della notte, la mia Anima ha risposto: «No: a volte i rumori della città, i fischi e le urla possono essere spiacevoli da ascoltare, ma impara a prestare attenzione alla voce spirituale che viene da dentro e non sentire nient’altro».

Quando con occhi bassi sono andata a sbattere contro gli stretti muri di mattoni e cemento, ovunque mattoni e cemento, la mia Anima ha detto: «Schiava miserabile! Perché non sei come me che in un istante posso volare verso universi lontani? Non importa dove sei, io sono libera ovunque».

Quando avrei voluto dormire perché le palpebre calavano pesanti sui miei occhi che non riuscivo più a tenere aperti, l’Anima mi ha colpito con una frusta gridando: «Sveglia! Bevi qualche bevanda stimolante che ravvivi quel tuo cervello debole! Non c’è tempo per dormire, c’è da lavorare». E quella pozione maledetta funzionava, mi teneva sveglia, fino a lavoro ultimato.

Quando avrei voluto temporeggiare a pranzo o a cena per godermi il cibo, la mia Anima mi diceva: «In fretta!, in fretta! Ho per caso tempo da perdere indugiando in questa scena disgustosa? Riempi lo stomaco e ricominciamo!».

Persino quando ho invidiato il cane che sfregava la schiena sul terreno alla luce del sole, l’Anima ha esclamato: «Hai intenzione di umiliarmi a tal punto da metterti allo stesso livello delle bestie?» e così si stringevano le cinghie intorno a me.

Quando ho guardato altri esseri umani e ho desiderato abbracciarli, bramosa del calore di braccia e di labbra, l’Anima mi ha intimato severa: «Smettila, vile creatura dai desideri carnali! Che tu sia dannata in eterno! Hai intenzione di svilirmi con il tuo essere bestia?».

E io ho tenuto duro: muta, infelice, prigioniera, ho percorso la strada indicata dall’Anima, ho servito e non ho mai ricevuto nulla in cambio. E ora mi sono spezzata prima del tempo; esangue, stanca, ansimante, quasi cieca, torturata dal dolore a ogni articolazione, tremante come una foglia al vento.

«Forse sono stata troppo dura» mi confida ora la mia Anima, «è ora che ti riposi». Ma la manna è arrivata troppo tardi. Crescono rose intorno a me ma il profumo non raggiunge il mio naso; il salice lascia cadere i suoi rami sulle mie guance interagendo con la volta celeste sopra la mia testa, ma i miei occhi sono troppo stanchi per guardare; il vento mi sfiora il viso ma la mia gola è insensibile alle sue carezze; a stento riesco a sentire il canto della notte durante le lunghe veglie, ormai il sonno non arriva e io non mi emoziono più. Le mani che toccano le mie – quanto le ho desiderate una volta – ma ora sono corpo morto. Ricordo che volevo tutte queste cose, ma il potere del desiderio è stato annientato e resta solo il ricordo del rifiuto di tutte queste cose, un ricordo che ancora pulsa forte e il suo dolore non scompare mai. E ancora penso che mi piacerebbe essere sola per un po’, ma poi sento il Tiranno che complotta, è determinato a restare dov’è.

«Si!» continua a ripetere, «Era ora! Non sarò incatenato a una carcassa in putrefazione. Se i miei giorni devono trascorrere in un ozio perpetuo tanto meglio che io venga annientato. Ma chiederò al corpo di farmi un ultimo favore. Hai ripetuto spesso di come ti piacerebbe nuotare in acqua libera e priva di vestiti. Va’ pure, e annega in quell’acqua».

Sì, è proprio questo quello che mi dice di fare e io – com’è bello il mare che si estende laggiù.

Voltairine de Cleyre, The Sorrows of the Body, 1914

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La Lega contro la libertà – La libertà contro la Lega

Qui di seguito i file pdf della mostra sulla Lega esposta in strada a Lecce

1.LegaSud

2.LegaMigranti

3.LegaDonne

4.LegaFascio

5.LegaLibertà

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Ognuno è matto nella sua maniera

“Ognuno è matto nella sua maniera” sentenzia il Giusti; e la mia maniera di esserlo è affatto innocua, passiva. Ho contribuito a rovinar me stesso per la causa comune, e mi tormento in eterno il cervello ed il cuore pel mio nobile ideale. Altri son matti nella maniera diametralmente opposta: rovinano il proprio simile, magari stretto congiunto, per vile e ributtante interesse personale. Chi di noi il pazzo più pernicioso?… Ma l’orgoglio umano non ragiona; guai a chi lo scalza!

E se è vera la scala fabbricata dal prof. Lombroso e compagni, quella cioè che dall’anomalo, dall’esaltato, dall’originale, dall’eccentrico va sino al matto, Lombroso che conosce così bene la materia, sarà di certo a capo di essa scala. Difatti, egli nel corso di sua vita, avrà voluto appagare molti suoi desideri bizzarri, sarà quindi mattoide; avrà avuto qualche momento di mestizia, sarà quindi lipemaniaco; avrà creduto che altri non riconosca i suoi meriti letterari e scientifici, sarà dunque delirante di persecuzione; vorrà scriver sempre e non saranno i suoi scritti tutta farina del suo sacco, sarà dunque kleptografomane; crederà alla propria infallibilità nella sua qualifica di pontefice della scuola psichiatrica, sarà dunque megalomane; sognerà pazzi dappertutto, ed eccolo ancora allucinato. (…)

Io porto il titolo di pazzo come altri quel di cavaliere; ugual merito nell’uno e nell’altro! Purtroppo è più pazzo degli altri e degno di star tappato in un manicomio speciale, segregato cioè, dall’universale, quegli che vola alto, sublime, lasciandosi indietro con un palmo di naso la mediocrità rancida, oltracotante de’ così detti savi che s’impone e vuole il primato ad ogni costo.

Giovanni Antonelli, Il libro di un pazzo, 1893

 

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La libertà contro la Lega

In virtù del contenuto reazionario della sua ideologia, fin dall’inizio la Lega è stata identificata come un nemico da molti individui che hanno intravisto in questo partito lo strumento per far prevalere idee e leggi xenofobe, omofobe, repressive, patriarcali, oscurantiste, escludenti. Con la sua diffusione capillare su tutto il territorio nazionale, è cresciuta anche l’opposizione ai suoi militanti ed alle sue strutture. Non c’è comizio elettorale dei suoi leader che non venga contestato e, quando non viene annullato per il rischio di disordini, questo può essere tenuto solo attraverso un ingente dispiegamento di forze dell’ordine. Nello stesso tempo, le sedi del partito subiscono attacchi, danneggiamenti ed attentati in ogni parte della penisola, da nord a sud: militanti leghisti contestati, gazebo elettorali distrutti. A sottolineare che nessuno spazio di agibilità può esserci per il fascismo nelle sue diverse forme, per chi fomenta l’odio verso il diverso, lo straniero, il povero.

Il 3 febbraio inizierà a Lecce un processo contro 7 compagni accusati di aver distrutto un gazebo della Lega nel maggio 2019. Le imputazioni sono di danneggiamento, violenza privata aggravata, minacce, rapina e lesioni personali, in seguito alle fantasiose deposizioni dei leghisti, che accusano i compagni di avere aggredito una ragazza. In questo stesso periodo a Treviso si sta svolgendo un processo contro Juan, un compagno anarchico, accusato di aver piazzato due ordigni (uno deflagrato senza danni, l’altro rimasto inesploso) contro la sede della Lega in quella città. Processato per strage, rischia una pena pari all’ergastolo.

Al di là delle responsabilità vere o presunte di chi ha compiuto questi gesti, è necessario ribadire la giustezza di una opposizione ad un partito come quello della Lega e alle politiche reazionarie che porta avanti fin dalla sua nascita. E ribadire la complicità con questi gesti e con ogni altro atto contro uomini e strutture che lo rappresentano. Non è spulciando tra le righe del codice penale che troveremo cosa è giusto o sbagliato fare per opporci a questa politica autoritaria, bensì scrutando nel più profondo dei nostri cuori per cercare ciò che è eticamente corretto.

Sabato 30 gennaio, dalle 18 alle 21

via Trinchese angolo Teatro Apollo – Lecce

presidio e interventi al microfono

mostra: “Una Lega contro la libertà – La libertà contro la Lega”

LegaManifesto

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La stella

Oggi torno a farmi la stessa domanda che ho posto un centinaio di volte a me e alle persone più diverse: quale è stato il giorno più difficile per gli ebrei in quei dodici anni infernali?

Tanto io quanto gli altri abbiamo dato sempre una risposta univoca: il 19 settembre 1941. Da quel giorno ci fu l’obbligo di portare la stella di David a sei punte, il pezzo di stoffa di colore giallo, il colore che tuttora segnala peste e quarantena e che nel Medioevo contraddistingueva gli ebrei, , il colore dell’invidia, della bile, del male da scansare; il cencio giallo con la scritta nera Jude, la parola racchiusa dalle linee intersecantesi nei due triangoli, la parola in caratteri a stampatello che, evidenziati dalla distanza fra l’uno e l’altro e dai tratti orizzontali marcati, simulano la scrittura ebraica.

Troppo lunga questa descrizione? Ma no, al contrario! Semmai mi manca la capacità di darne una descrizione più esatta e penetrante. Quante volte, quando c’era da cucire una nuova stella su un altro indumento (per lo più usato, distribuito dall’apposito magazzino), su una giacca o un cappotto, quante volte con l’ausilio di una lente ho osservato il pezzo di stoffa, le singole particelle del tessuto giallo, le irregolarità della stampa nera: bene, tutti quei quadratini non sarebbero stati sufficienti se avessi voluto collegare a ognuno di essi le torture subite a causa della stella.

Per la strada mi viene incontro un uomo dall’aspetto bonario e mite, che tiene affettuosamente per mano un ragazzino. A un passo da me si ferma e dice: “Guardalo bene, Horstl! È lui il colpevole di tutto!”… Un signore distinto, dai capelli bianchi, fa un cenno di saluto e mi porge la mano: “Lei non mi conosce, volevo solo dirLe che condanno questi metodi”…

Sto per salire sul tram, dove mi è permesso sostare solo sulla piattaforma anteriore, a patto che sia separata dall’interno della carrozza (posso usare questo mezzo solo per andare in fabbrica, purché questa disti più di sei chilometri da casa mia); sto dunque per salire, è tardi e se non arrivo puntuale al lavoro il capo mi può denunciare alla Gestapo. Da dietro qualcuno mi tira giù violentemente. “Ma vai a piedi che ti fa meglio!”. È un ufficiale della Gestapo che sghignazza, senza brutalità, si vede che la cosa lo diverte, un po’ come quando si stuzzica un cane… Mia moglie dice: “È così bello, oggi, eccezionalmente non ho da fare la spesa, non devo fare la fila da nessuna parte, ti accompagno un pezzetto”. “Ma nemmeno per sogno! Devo stare a guardare come per strada ti offendono per causa mia? E poi potresti insospettire chi ancora non sa chi sei, così quando porti fuori casa i miei manoscritti ti arrestano subito!”… Un facchino che mi è rimasto affezionato dal tempo dei miei due traslochi (tutte brave persone, mi sa tanto che siano vicini al partito comunista) mi compare davanti in Freiberger Straße, mi afferra la mano con le sue zampone e “sussurra” (lo sentiranno anche dal marciapiede opposto): “Forza, professore, non si avvilisca! Quei maledetti sono quasi spacciati!”. È una gran consolazione, qualcosa che riscalda il cuore, ma se dall’altro lato della strada lo sentisse la persona giusta, al mio consolatore costerebbe il carcere e a me la vita, via Auschwitz… Nella strada deserta un’auto di passaggio frena, la testa di uno sconosciuto si sporge dal finestrino: “Sei ancora vivo, porco maledetto? Bisognerebbe schiacciarti, passarti sopra la pancia!”…

Davvero, tutti i quadratini non basterebbero ad annotare tutte le amarezze provocate dalla stella gialla.

[…]

Per la maggior parte del tempo il bagliore giallo della stella riluce frammisto ai pensieri più cupi. Ma il bagliore più sinistro e fosforico emana dalla “stella nascosta”. Secondo quanto prescrive la Gestapo la stella dev’essere portata ben visibile sul lato sinistro della giacca, del cappotto normale o di quello da lavoro, e ovunque ci sia la possibilità di incontrare ariani. Quando in certe giornate afose di marzo uno porta il cappotto sbottonato, col il risvolto ribattuto dalla parte del cuore, oppure tiene stretta una cartella sotto il braccio sinistro o, se è una donna, porta un manicotto, in tutti questi casi la stella rimane nascosta, forse inavvertitamente e per pochi secondi, forse però anche volutamente per poter camminare una volta tanto senza quel marchio. Un funzionario della Gestapo penserà sempre che sia stata nascosta intenzionalmente, la conseguenza sarà il campo di concentramento. Se il funzionario vuole dimostrarsi particolarmente zelante e uno ha la sfortuna di incontrarlo, è inutile che il braccio con la cartella o quello col manicotto pendano fino all’altezza dei ginocchi, è inutile che il cappotto sia tutto ben abbottonato: l’ebreo Lesser o l’ebrea Winterstein hanno “occultato la stella” e, al più tardi tre mesi dopo, da Ravensbrück o da Auschwitz arriverà al Comune un regolare certificato di morte. La causa della morte vi sarà indicata con precisione, sarà diversa di volta in volta e persino individuale; sarà, alternativamente, “insufficienza cardiaca” o “fucilato durante un tentativo di fuga”. Ma la causa della morte è in realtà la stella nascosta.

Victor Klemperer, LTI La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo [1946]

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La Comune e lo Stato

[…] Vi fu dunque una morale dello Stato tutta diversa, o piuttosto del tutto
opposta alla morale privata degli uomini. Nella morale privata, se non viziata dai dogmi religiosi, c’è un fondamento eterno, più o meno riconosciuto, compreso, accettato e realizzato in ogni società umana. Questo fondamento non è che il rispetto umano, il rispetto della dignità umana, del diritto e della libertà di tutti gli individui. Rispettarsi reciprocamente, ecco il dovere di
ognuno; amarsi, ecco la virtù; violare tali dettami, ecco il delitto. La morale dello Stato è del tutto opposta a questa morale umana. Lo Stato s’impone a tutti i suoi sudditi come lo scopo supremo. Servire la sua potenza, la sua grandezza con tutti i mezzi possibili e impossibili anche se contrari alle leggi umane e al bene dell’umanità, ecco la virtù, perché tutto ciò che contribuisce alla potenza e all’ingrandimento dello Stato è il bene; ogni cosa contraria, sia pure
l’azione più virtuosa, più nobile dal punto di vista umano, è il male. Perciò
gli uomini di Stato, i diplomatici, i ministri, tutti i funzionari dello Stato
hanno sempre usato delitti, menzogne e tradimenti infami per servire lo Stato.
Dal momento che una cattiva azione è commessa per servire lo Stato, diviene
un’azione meritoria. Tale è la morale dello Stato; cioè la negazione stessa
della morale umana e dell’umanità.

La contraddizione sta nell’idea stessa di Stato. Lo Stato universale non avendo
mai potuto realizzarsi, ogni Stato è un’entità ristretta comprendente un
territorio limitato e un numero più o meno ristretto di sudditi. L’immensa
maggioranza della specie umana resta dunque al di fuori di ogni Stato, e
l’umanità intera è divisa in una pleiade di Stati grandi, medi o piccoli, ognuno
dei quali, sebbene non comprenda che una ristrettissima parte della specie
umana, si proclama e si pone come rappresentante dell’intera umanità e come
qualche cosa di assoluto. […] Così basta che uno Stato dichiari la guerra a un
altro perché permetta, anzi, comandi ai sudditi di commettere contro i sudditi
dello Stato nemico tutti i delitti possibili: l’assassinio, lo stupro, il furto,
la distruzione, l’incendio, il saccheggio. E tutti questi delitti sono
considerati come benedetti dal Dio dei cristiani, che ognuno degli Stati
belligeranti considera e proclama suo partigiano e non dell’altro; ciò che
naturalmente deve mettere in serio imbarazzo questo povero buon Dio, in nome del
quale i più orribili delitti sono stati e continuano ad essere commessi sulla
terra. È per questo che siamo nemici del buon Dio, e consideriamo questa
finzione, questo fantoccio divino, una delle principali sorgenti dei mali che
tormentano gli uomini.

E allo stesso modo siamo avversari accaniti dello Stato, di tutti gli Stati,
poiché fino a quando ci saranno Stati non ci sarà l’umanità, e finché ci saranno
Stati, la guerra e gli orribili delitti della guerra, la rovina, la miseria dei
popoli, che ne sono le inevitabili conseguenze, saranno permanenti.

Finché ci saranno Stati, le masse popolari, anche nelle repubbliche più
democratiche, saranno schiave di fatto, perché non lavoreranno in vista della
propria felicità e ricchezza, ma per la potenza e la ricchezza dello Stato. E
che cosa è lo Stato? Si pretende che sia l’espressione e la realizzazione delle
utilità, del bene, del diritto, della libertà di tutti. Ebbene, chi lo pretende
mente come mentono coloro che considerano il buon Dio protettore di tutti. Da
quando la fantasia di un essere divino si è formata nell’immaginazione degli
uomini, Dio, tutti gli dèi, e fra loro soprattutto il Dio dei cristiani, hanno
sempre preso la parte dei forti e dei ricchi contro le masse misere e ignoranti
e hanno benedetto, a mezzo dei preti, i privilegi più rivoltanti, le oppressioni
e gli sfruttamenti più infami.
Allo stesso modo lo Stato non è altro che la garanzia di tutti gli sfruttamenti
a profitto di un piccolo numero di felici privilegiati e a detrimento delle
masse popolari; esso adopera la forza collettiva e il lavoro di tutti per
assicurare la felicità, la prosperità e i privilegi di pochi, a danno del
diritto umano di tutti. È una fabbrica nella quale la minoranza fa l’azione del
martello e la maggioranza dell’incudine.

Michail Bakunin, La Comune e lo Stato, ed. Anarchismo, 2015, pag. 80, € 4

Disponibile in Biblioteca in vendita e in consultazione

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Nuovi inserimenti in Biblioteca

Un po’ di nuovi testi disponibili per la consultazione…

  • Maurice Brinton, L’irrazionale in politica, ed. Anarchismo, 1977, pag. 72
  • Ratgeb, Contributi alla lotta rivoluzionaria destinati a essere discussi, corretti e principalmente messi in pratica senza perdere tempo, ed. Anarchismo, 1978, pag. 54
  • I nuovi padroni. Atti del convegno internazionale di studi sui nuovi padroni, ed. Antistato, 1978, pag. 510
  • Armando Borghi, La rivoluzione mancata, ed. Azione Comune, 1964, pag. 182
  • Ettore Zoccoli, L’anarchia. Gli agitatori – Le idee – I fatti, Ed. Fratelli Bocca, 1949, pag. 470
  • Vernon Richards (a cura di), Malatesta. Vita e idee, ed. «Collana Porro», 1968, pag. 362
  • Marco Rossi, Correnti di guerra. Psichiatria militare e faradizzazione durante la Prima guerra mondiale, Autoproduzione del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, 2018
  • Collettivo Carceri Ticino / Croce Nera Anarchica, Il carcere in Svizzera: il caso Petra Krause, ed. Cooperativa Editoriale Libertaria, 1977, pag. 48
  • Edgar Rodrigues, Lavoratori italiani in Brasile, ed. Galzerano, 1985, pag. 258
  • Emilio Lussu, Teoria dell’insurrezione, ed. Gwynplaine, 2008, pag. 253
  • Augusto Agabiti, Ipazia. La prima martire della libertà di pensiero, ed. Ipazia, 1979, pag. 48
  • Mimmo Franzinelli, Ateismo – Laicismo – Anticlericalismo, ed. La Fiaccola, 1990, pag. 183
  • AA. VV., L’intelligenza. Teorie e modelli, ed. Laterza, 2011, pag. 182
  • AA. VV., Lo spazio della storia, ed. Laterza, 2013, pag. 557
  • Alberto Mario Banti, Le questioni dell’età contemporanea, ed. Laterza, 2011, pag. 360
  • Paolo Cammarosano, Guida allo studio della storia medievale, ed. Laterza, 2014, pag. 188
  • Roberta Maeran, Psicologia e turismo, ed. Laterza, 2013, pag. 201
  • Michele Mancino / Giovanni Romeo, Clero criminale, ed. Laterza, 2013, pag. 237
  • Andrea Miconi, Reti. Origini e struttura della network society, ed. Laterza, 2012, pag. 182
  • Daniel Stern, Storia della rivoluzione del 1848, ed. Laterza, 2012, pag. 803
  • Alberto Voci, Processi psicosociali nei gruppi, ed. Laterza, 2012, pag. 143
  • Loris Zanatta, Storia dell’America Latina contemporanea, ed. Laterza, 2011, pag. 260
  • Federazione Anarchica Italiana, Congressi e convegni 1944-1962, ed. della Libreria della F.A.I., 1963, pag. 242
  • Rosellina Gosi, Il socialismo utopistico. Giovanni Rossi e la colonia anarchica Cecilia, ed. Moizzi, 1977, pag. 179
  • Alcuni nemici delle nocività, Dall’altra parte. Contro il gasdotto Tap e i suoi sostenitori, ed. Ned Ludd, 2014, pag. 52
  • Pëtr Arsinov, La rivoluzione anarchica in Ucraina, ed. Pgreco, 2013, pag. 332
  • Israel Getzler, L’epopea di Kronstadt 1917-1921, ed. Pgreco, 2019, pag. 259
  • La terra trema lo Stato avanza. Il terremoto di Messina del 1908, l’ingegneria sociale dei terremoti passati e futuri, ed. ‘U Piscistoccu, 2011, pag. 47
  • Ugo Fedeli, Errico Malatesta. Bibliografia, ed. RL, s. d., pag. 48
  • Valentino De Luca / Enzo Bianco, Quei morti per “pane e lavoro”. Lecce, 25 settembre 1945, ed. Salentina, 2006, ed. 94
  • Salvatore Coppola, Leghe contadine del basso Salento agli inizi del secolo, ed. Salentodomani, 1977, pag. 246
  • Emanuele Amodio, Oppressione e cultura. Sulla produzione culturale subalterna, ed Sicilia Punto L, 1980, pag. 56
  • Franco Di Gioia, Storie nostre, ed. Underground, 1991, pag. 176
  • Mario Albertini, Proudhon, ed. Vallecchi, 1974, pag. 186
  • Giovanni Stepanow, Storia della Russia dalle origini ai nostri giorni, ed. Vallecchi, 1923, pag. 142
  • Augusto Castrucci, Battaglie e vittorie dei Ferrovieri italiani. Cenni storici dal 1877 al 1944, ed. Zero in condotta, 1988, pag. 111
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Cuori ardenti

Come dice il poeta:

Datemi cuori ardenti,
che mai si perdano nel dubbio,
ma nella vittoria e nella sconfitta
conservino invulnerabile il sorriso.*

Cuori ardenti. A chi interessano più i cuori, ormai? E i poeti? Sì, certo, ha bisogno di un cuore sano e ben allenato l’efficiente pilota di bombardieri che si inerpica lassù nel cielo con il suo carico di morte, ed è evidente che chi si appresta, con il gentile supporto della mitragliatrice, a infilare piccole pallottole di piombo nel petto e nello stomaco altrui, non può essere dotato di uno strumento debole, lì in alto a sinistra, nel suo corpo. Ma ardente? No, amico mio, in tal caso saresti stato scartato alla visita medica come un mezzo cadavere e poi solo per sentito dire avresti conosciuto dall’interno il cratere aperto da una granata, la crudele realtà di bombardieri dentro alle nuvole spumose, o il piccolo – o forse non tanto piccolo – inferno sul ponte di una nave quando l’acciaio di mostri nemici gioca alla falce della morte, sbreccia le silhouette e si avvicina sempre più a tutto ciò che vive a bordo.

E pensi come sarebbe andata, cara signorina Johansson, se lei, sì, proprio lei, avesse avuto un piccolo cuore ardente lì, sotto il fresco rigonfiamento della camicetta. Forse non sarebbe riuscita a starsene seduta com’è adesso, con la fronte graziosamente corrugata, intenta a stenografare così impeccabilmente sul suo block notes a quadretti quanto le dice il Signor Direttore. Forse non sarebbe nemmeno qui, signorina Johansson. Forse le cose sarebbero andate altrimenti. Chissà, chissà. I cuori ardenti sono talmente imprevedibili. Forse è meglio così. Forse è meglio che il suo cuore si sia raffreddato per tempo, signor bombardiere, signor soldato tuttofare, e anche il suo, piccola signorina con la cartella. Del resto ci sono tante altre cose che bruciano, anche se il cuore si è spento.

Eppure, eppure una piccola obiezione tenta con cautela di emergere dall’oscurità compiaciuta, eppure un orologio ticchetta, o forse non è un orologio: un battito deciso e regolare nel silenzio urlante. Zitto, hai sentito? Mitragliatrici? No, qualcosa di più forte del loro rullo crepitante. No, niente di simile. Rombi di cannoni, macchine da scrivere, slogan di altoparlanti, sirene di ambulanza? No. E allora non restano altre possibilità. Ma no, pensaci bene, pensaci: se fosse quello, sì proprio quella bizzarria di cui parlano i poeti e tacciono tutti gli altri. Pensi, signorina Johansson, e tutti quanti voi, se tra il frastuono della guerra e il chiasso delle piazze si levasse un giorno un piccolo suono argentino, flautato, con un messaggio proprio per le vostre orecchie, le vostre piccole orecchie, sì, proprio per voi, voi, te. Già, tutto può succedere, forse una notte la malconcia luna della poesia, fissando con il suo occhio freddo le Fiandre smarrite, illuminerà un fuoco che non scalderà solo dita intorpidite, piedi congelati nei rigidi stivali e corpi intirizziti nelle giubbe militari. No, non un fuoco da campo acceso da partigiani infreddoliti in una delle grandi foreste della guerra, non un falò alimentato da pali spezzati di un recinto o di una staccionata, ma un fuoco di fiamme impetuose e costanti, destinato a durare e capace di ridare il calore della vita ai corpi congelati come ai cuori freddi. Forse un giorno il primo cuore si accenderà, anzi, forse si è già acceso, forse i cuori ardono già nel gelo dei fronti, nella corazza di un sottomarino o dietro il filo spinato di un campo di prigionia, sotto una solitaria luna fiamminga. Già, chissà. Forse un giorno il poeta li avrà i suoi cuori ardenti. Forse li avrà il mondo. Sì, il mondo avrà bisogno di cuori ardenti come di stelle luminose e di giovani corpi vigorosi e intatti, quando il tempo della guerra sarà finito e verrà la pace. Giovani cuori, giovani menti, giovani corpi renderanno di nuovo giovane il mondo.

«I teologi parlano e cercano di farsi capire nel frastuono del fuoco di sbarramento, tra i cingoli della guerra che avanzano inesorabili. E noi, i giovani, ascoltiamo, e cerchiamo di salvaguardare quei valori che consideravamo i più alti, li difendiamo con le nostre parole, ci mettono in mano armi perché possiamo batterci per essi. E ci ritroviamo con il nostro amore per il prossimo e per tutto ciò che è vivo, il cielo è azzurro e alto, la rugiada brilla sull’erba dei prati. Ma la nostra vista è annebbiata dal bordo di un elmetto, grigio come una tempesta d’autunno, non vediamo i fiori dei prati né gli uccelli, perché cerchiamo di individuare il nostro prossimo attraverso un mirino, per poter aprire un foro in quella meraviglia che è un petto vivo, un cuore pulsante». Questo scriveva tempo fa un ragazzo, un amico, su una rivista giovanile. Era un liceale svedese cui erano stati risparmiati, se non l’elmetto d’acciaio, almeno gli esercizi con la baionetta e le raffiche di spari contro bersagli umani vivi.

Molte altre cose ci sono state risparmiate. A noi non è capitato che di colpo sulle scale risuonassero passi di stivali, e pugni di ferro bussassero con violenza alla nostra porta e soldati stranieri dalla voce dura ci tirassero giù dal letto per trascinarci alle camionette in attesa. E non ci è capitato che mani brutali ci spingessero in celle anguste dalle porte pesanti e i muri spessi, né ci obbligassero a passare nelle camere di tortura, abbiamo ancora tutte le nostre unghie e nessun segno di frustate ci lacera la schiena. E non uno di noi, neppure uno, è stato portato via nell’ora nebbiosa dell’alba, messo di fronte al plotone d’esecuzione e riempito di piombo. No, noi siamo fortunati, o per lo meno ci è andata bene, forse troppo bene. Forse non siamo neppure in grado di apprezzare il nostro destino tranquillo. Forse abbiamo addirittura appreso con una certa freddezza i resoconti delle sofferenze altrui, abbiamo scorso con sguardo indifferente le notizie e pensato: Sì, certo, è orribile, ma non mi riguarda, non è a me che tocca.

No, non è a te che tocca, e tuttavia tocca anche a te. Sei tu a essere stato inseguito per le vie di Oslo da poliziotti armati, è alla tua vita che mirano ed è la tua casa che sorvegliano. Tu e la tua esistenza perché… Perché? Be’, perché hai un cuore, certo che ce l’hai. E perché sei giovane, certo che lo sei. E perché presto tornerà la luce, sicuro che tornerà. Ecco, per tutte queste ragioni, il cuore, la giovinezza e la luce, viviamo nella nostra sicurezza la vita dei perseguitati e aspettiamo con tutto l’ardore della nostra anima il giorno in cui i cuori si infiammeranno, in cui saranno gli stessi cuori ad ardere al di là di tutte le frontiere. Quel giorno il poeta li avrà i suoi cuori ardenti, su cui il dubbio non avrà alcun potere, e che affronteranno la sconfitta con lo stesso invulnerabile sorriso della vittoria finale. Quel giorno verrà, verrà presto. Lo sappiamo. Lo sentiamo nei nostri cuori. I nostri cuori ardenti.

Stig Dagerman, Storm, dicembre 1943

* Rudolf Nilsen (1901-1929), Revolusjonens røst (La voce della rivoluzione)

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Occorreva il disordine

Riscoprire oggi, nella Rivoluzione francese, un filone di pensiero anarchico, insieme alle riflessioni fatte a suo tempo da Kropotkin, chiarificatrici sull’argomento, significa legare il processo di sviluppo dell’anarchismo a un processo ben più ampio: quello della lotta dell’uomo contro il potere, una lotta che scorre attraverso tutta la storia e che la contrassegna dalla parte dei vinti. Fermarsi su questi problemi significa, in sostanza, chiedersi: che fare, oggi, di fronte alle responsabilità che ci attendono?   Dall’introduzione di Alfredo M. Bonanno

Occorreva il disordine, perché un’opera vitale uscisse dai decreti dell’Assemblea. Occorreva che in ogni piccola località ci fossero degli uomini d’azione, dei patrioti aventi l’odio dell’antico regime, pronti a impadronirsi della municipalità; capaci di fare una rivoluzione in ogni casolare per capovolgere l’ordine della vita, ignorando tutte le autorità; occorreva, perché si potesse compiere la rivoluzione politica, che la rivoluzione stessa diventasse sociale.

Occorreva che il contadino si fosse impadronito della terra e l’avesse solcata coll’aratro senza aspettare l’ordine dell’autorità, che certamente non sarebbe mai venuto. Occorreva insomma che una vita nuova cominciasse nel casolare. Ma questo non poteva accadere senza disordine, senza molto disordine sociale.

E i legislatori vollero per l’appunto impedire questo disordine!…

[…]

I borghesi comprendevano inoltre che i beni dei signori stavano per passare nelle loro mani; ed essi volevano conservare intatti questi beni, con tutti i redditi addizionali annessi alle antiche servitù, convertite in pagamenti in denaro. Più tardi si sarebbe esaminato, se non fosse più vantaggioso abolire i residui di queste servitù, e allora lo si farebbe legalmente, con «metodo», con «ordine». Poiché, se si tollerava il disordine, chi sa dove si sarebbe fermato il popolo? Non si parlava già di «eguaglianza», di «pareggiamento delle fortune», di «poderi non più vasti di centoventi jugeri»?

Pëtr Kropotkin, La Grande Rivoluzione 1789-1793, ed. Anarchismo, 1987, pag. 400, € 8

Disponibile in Biblioteca per l’acquisto e la consultazione

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