Le sofferenze del corpo

Non ho mai desiderato nulla di più di quello che desiderano le creature selvagge: un refolo d’aria pulita, qualche momento senza niente da fare per stendermi sull’erba e sfiorare i fili con le dita e magari guardare la volta celeste sopra di me, intervallata da nuvole bianche e tramonti bruciati; partire per un mese e galleggiare sulle creste salate delle onde e nuotare nella spuma, o magari rotolarmi nuda nella sabbia calda; il cibo che desidero mangiare lo prenderei direttamente dalla terra, e desidererei solo il tempo per saggiarne la bontà e un po’ per riposarmi dopo aver mangiato; e dormire soltanto quando necessario e quiete, così che il sonno mi prenda e mi abbandoni a suo piacimento; aria, spazi, un leggero riposo, restare senza vestiti qualche volta, e quando vestita vorrei abiti che non mi imbriglino, la libertà di sentire il contatto con la nostra madre terra, di restare al suo fianco al sole ma anche quando imperversa la tempesta, proprio come fanno le creature selvagge – è questo ciò che vorrei. Questo e rapporti liberi con i miei simili. Non per amare e mentire per poi provare vergogna; ma per amare e dire che ho amato, per poter gioire dell’amore; per sentire la corrente di diecimila anni di passione scorrere in me, corpo a corpo, proprio come fanno le creature selvagge. Non vorrei altro.

Ma non ho ricevuto nulla di tutto questo. Sono stata schiacciata da quel tiranno spietato che è l’Anima e di me non è restato più nulla. Mi ha spinto verso la città, dove l’aria è frenetica e infuocata, e mi ha detto: «Respirala, ti ci abituerai; non c’era nulla in quei campi vuoti; i templi sono qui invece, resta». E quando i miei poveri polmoni ormai soffocanti mi hanno costretta a tossire finché non mi sembrò che il petto volesse esplodermi, l’Anima ha detto: «Ti concederò un’ora o due; e mentre tu andrai in bicicletta e ti godrai la natura, io magari leggerò un libro».

E i miei occhi hanno pianto lacrime di dolore per quella breve visione di libertà che mi sfumava davanti, costretta a lasciare quel verde e quel blu soltanto dopo un’ora per ritrovarmi davanti quei muri rossi terrificanti, e così l’Anima mi ha detto: «Non posso perdere tempo, ho bisogno di conoscenza, ho bisogno di leggere!». E quando le mie orecchie hanno sperato di sentire il canto dei grilli o la musica della notte, la mia Anima ha risposto: «No: a volte i rumori della città, i fischi e le urla possono essere spiacevoli da ascoltare, ma impara a prestare attenzione alla voce spirituale che viene da dentro e non sentire nient’altro».

Quando con occhi bassi sono andata a sbattere contro gli stretti muri di mattoni e cemento, ovunque mattoni e cemento, la mia Anima ha detto: «Schiava miserabile! Perché non sei come me che in un istante posso volare verso universi lontani? Non importa dove sei, io sono libera ovunque».

Quando avrei voluto dormire perché le palpebre calavano pesanti sui miei occhi che non riuscivo più a tenere aperti, l’Anima mi ha colpito con una frusta gridando: «Sveglia! Bevi qualche bevanda stimolante che ravvivi quel tuo cervello debole! Non c’è tempo per dormire, c’è da lavorare». E quella pozione maledetta funzionava, mi teneva sveglia, fino a lavoro ultimato.

Quando avrei voluto temporeggiare a pranzo o a cena per godermi il cibo, la mia Anima mi diceva: «In fretta!, in fretta! Ho per caso tempo da perdere indugiando in questa scena disgustosa? Riempi lo stomaco e ricominciamo!».

Persino quando ho invidiato il cane che sfregava la schiena sul terreno alla luce del sole, l’Anima ha esclamato: «Hai intenzione di umiliarmi a tal punto da metterti allo stesso livello delle bestie?» e così si stringevano le cinghie intorno a me.

Quando ho guardato altri esseri umani e ho desiderato abbracciarli, bramosa del calore di braccia e di labbra, l’Anima mi ha intimato severa: «Smettila, vile creatura dai desideri carnali! Che tu sia dannata in eterno! Hai intenzione di svilirmi con il tuo essere bestia?».

E io ho tenuto duro: muta, infelice, prigioniera, ho percorso la strada indicata dall’Anima, ho servito e non ho mai ricevuto nulla in cambio. E ora mi sono spezzata prima del tempo; esangue, stanca, ansimante, quasi cieca, torturata dal dolore a ogni articolazione, tremante come una foglia al vento.

«Forse sono stata troppo dura» mi confida ora la mia Anima, «è ora che ti riposi». Ma la manna è arrivata troppo tardi. Crescono rose intorno a me ma il profumo non raggiunge il mio naso; il salice lascia cadere i suoi rami sulle mie guance interagendo con la volta celeste sopra la mia testa, ma i miei occhi sono troppo stanchi per guardare; il vento mi sfiora il viso ma la mia gola è insensibile alle sue carezze; a stento riesco a sentire il canto della notte durante le lunghe veglie, ormai il sonno non arriva e io non mi emoziono più. Le mani che toccano le mie – quanto le ho desiderate una volta – ma ora sono corpo morto. Ricordo che volevo tutte queste cose, ma il potere del desiderio è stato annientato e resta solo il ricordo del rifiuto di tutte queste cose, un ricordo che ancora pulsa forte e il suo dolore non scompare mai. E ancora penso che mi piacerebbe essere sola per un po’, ma poi sento il Tiranno che complotta, è determinato a restare dov’è.

«Si!» continua a ripetere, «Era ora! Non sarò incatenato a una carcassa in putrefazione. Se i miei giorni devono trascorrere in un ozio perpetuo tanto meglio che io venga annientato. Ma chiederò al corpo di farmi un ultimo favore. Hai ripetuto spesso di come ti piacerebbe nuotare in acqua libera e priva di vestiti. Va’ pure, e annega in quell’acqua».

Sì, è proprio questo quello che mi dice di fare e io – com’è bello il mare che si estende laggiù.

Voltairine de Cleyre, The Sorrows of the Body, 1914

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