L’Utopia Nazionale

Il principale strumento dello Stato Nazionale è Megalopoli, la sua città più grande, il posto in cui l’idolo dell’Utopia Nazionale venne da principio creato e da cui viene continuamente la volontà di mantenerlo.

Allo scopo di cogliere la caratteristica essenziale di Megalopoli dobbiamo distogliere lo sguardo dalla realtà della terra, dal suo manto di vegetazione e dalle nuvole che la ricoprono, ed immaginare che cosa potrebbe diventare il paesaggio in cui viviamo se potesse essere interamente fabbricato con la carta; infatti lo scopo ultimo di Megalopoli è di ridurre il complesso della vita umana ad una serie di relazioni che hanno come unico tramite la carta.

Un giovane cittadino di Megalopoli passa i primi anni della sua vita per acquisire gli strumenti con cui si può usare la carta. Gli strumenti si chiamano, saper scrivere, saper leggere e sapere fare il conto ed un tempo essi costituivano i principali elementi dell’educazione di ogni abitante di Megalopoli. Vi era comunque un certo grado di insoddisfazione, sulla carta, per la limitatezza di questo curriculum, e così in un’epoca abbastanza lontana nella storia di Megalopoli vi si aggiunsero varie altre materie come la letteratura, la scienza, la ginnastica e l’addestramento ai lavori manuali, però sempre sulla carta. È infatti possibile per uno studente di Megalopoli conoscere la composizione molecolare del gesso senza averne mai visto un pezzo in natura, o maneggiare un pezzo di legno in laboratorio senza aver mai passeggiato attraverso un bosco di abeti, e addentrarsi attraverso i capolavori della letteratura poetica senza aver mai sperimentato una sola emozione che potesse prepararlo ad apprezzare qualche cosa di diverso dagli influenti giornali di Megalopoli, ma fintanto che le sue ore di presenza possono essere registrate sulla carta, e fintanto che egli può fornire un soddisfacente riassunto dei suoi studi su un foglio d’esame, la sua preparazione alla vita è praticamente completa; così egli viene diplomato con un pezzo di carta che certifica la sua istruzione e introdotto alle industrie di Coketown o nei brulicanti uffici della stessa Megalopoli.

La fine di questo periodo di tutela cartacea non è che il preludio al suo proseguimento in un’altra forma, poiché le religiose attenzioni di cui si circonda la carta costituiscono l’attività vitale di Megalopoli. Il giornale, il libro mastro e lo schedario sono i mezzi attraverso i quali lo studente entra in contatto con la vita, mentre i rotocalchi e le riviste illustrate sono i mezzi attraverso i quali sfugge da essa. Attraverso quel particolare tipo di carta trasparente che è la celluloide è divenuto possibile fare a meno di vedere sulla scena attori in carne ed ossa; perciò il dramma umano, come viene chiamato dagli storici di Megalopoli, può svolgersi a distanza senza che nessuno vi prenda parte. Invece di viaggiare l’abitante di Megalopoli può vedere il mondo muoversi sulla carta verso di lui; invece di avventurarsi sulle strade del mondo può vedere l’avventura venirgli incontro sulla carta; invece di trovarsi un compagno, può esaurire sulla carta tutta la propria felicità. In realtà egli acquista una tale abitudine a sperimentare tutte le proprie emozioni sulla carta che si accontenta di ammirare un vaso di fiori su uno schermo cinematografico; mentre la sua ignoranza della natura è così grande che un attore di avanspettacolo, quando cerca di divertirlo imitando il richiamo degli uccelli e degli altri animali, trova preferibile servirsi di riprese filmate di un gallo, di un cane, di un gatto perché la sua mimica abbia una apparenza di realtà per delle menti che sono incapaci di immagini personali.

La nozione di azione diretta, di rapporto diretto e di associazione diretta è estranea a Megalopoli. Se l’intera comunità o un qualche gruppo all’interno di essa deve intraprendere una azione, è necessario passare attraverso il Parlamento megalopolitano al fine di deciderla sulla carta dopo che innumerevoli persone, che non hanno nessun vero interesse nella faccenda, hanno fissato il loro punto di vista a proposito della questione sulla carta. Se qualche rapporto deve essere istituito, deve essere svolto quasi completamente sulla carta; e se quel mezzo non è direttamente disponibile vengono usati strumenti sussidiari come il telefono. La principale forma di associazione a Megalopoli è il partito politico ed è attraverso il partito politico che i suoi abitanti esprimono le loro opinioni, sempre sulla carta, per esempio sulla necessità di modificare la costituzione scritta o di promuovere il benessere di questa comunità cartacea; questo benché il cittadino si renda conto che le promesse fatte dai partiti politici vengano scritte su quella che i megalopolitani nei loro momenti di maggior cinismo chiamano «carta non commerciabile» e che probabilmente non entreranno mai in circolazione.

Attraverso il commercio dei molteplici beni di Coketown e attraverso il controllo su un certo tipo di carta conosciuto come ipoteche o assicurazioni, Megalopoli si assicura una fornitura di cibi genuini e di prodotti tipici della campagna. Attraverso una incessante produzione di libri, di riviste, di giornali e di ogni genere di prodotti tipografici, Megalopoli fa in modo che l’idolo dell’Utopia Nazionale si mantenga vivo nelle menti dei sottomessi abitanti della campagna. Infine, con gli artifici «dell’educazione nazionale» e «dell’informazione nazionale» tutti gli abitanti dell’Utopia Nazionale vengono persuasi che la vita felice è quella che essi vivono, sulla carta, nella capitale; e una vita in qualche modo simile a quella si può realizzare mangiando il cibo, vestendo gli abiti, sostenendo le opinioni e procacciandosi i beni che vengono posti in vendita da Megalopoli. Così il principale obiettivo di ciascuna città dell’Utopia Nazionale è di assomigliare a Megalopoli; il suo vanto è di essere un’altra Megalopoli. Quando gli abitanti di Megalopoli sognano un mondo migliore, sognano solo la teorica perfezione di quella Utopia Nazionale a cui Edward Bellamy mirava in Looking Backward.

Lavorando parallelamente al «Processo Meccanico» di Coketown, Megalopoli propone uno standard di vita che può essere rappresentato, sulla carta, in termini commerciali anche se non offre nessuna tangibile soddisfazione in materia di beni, di servizi e di raggiungimenti. Il principale vanto di questo standard è la sua uniformità; ciò significa la possibilità di applicarlo indiscriminatamente a ciascun membro della comunità senza riguardi per la sua storia, le sue reali condizioni, i suoi bisogni e i suoi meriti. In conseguenza, Megalopoli crea prodotti che riguardano tutti attrezzature sanitarie e idrauliche, i quali anche se in realtà non aumentano la gioia di vivere rendono comunque meno spaventosa la «routine» della vita megalopolitana.

Il risultato finale di questi standard e di questa uniformità è che quello che originalmente era una convenzione diventa col tempo un fatto. Anche se gli abitanti della Utopia Nazionale potevano originariamente essere stati diversi come gli alberi di una foresta, essi tendono a diventare, sotto l’influenza dell’educazione e della propaganda, simili fra loro come i pali del telegrafo lungo una strada. Non è poco per il credito di Megalopoli il fatto che l’Utopia Nazionale si sia pragmatisticamente auto-giustificata. Essa ha creato quel tipo di predisposizione mentale nei riguardi della carta, che è necessaria per una facile fusione di Coketown e della Country House. Cos’è Megalopoli infatti se non un cartaceo purgatorio che è il tramite attraverso il quale i figli perduti di Coketown, l’inferno dei produttori, possono alla fine raggiungere la beatitudine della Country House, il paradiso dei consumatori?

Lewis Mumford, Storia dell’utopia, [1922]

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Il gioco dell’Otto

Ostinati come tutti i giocatori accaniti, ed ottusamente ottimisti perché la prossima volta potrebbe essere quella  buona. Certo, finora le cose sono andate male, ma proprio per questo la percentuale – secondo il calcolo delle probabilità – è maggiore.

Non c’è nulla da fare, i giocatori dell’otto sono fatti così: nonostante gli anni sprecati a sperare nella cinquina vincente che non è mai arrivata, continuano a giocare. E non si tratta di tentare la fortuna scegliendo i numeri sbagliati, no: è proprio il gioco in sé ad essere perdente. È stato ideato apposta dallo Stato, il quale ne trae introiti notevolissimi, e il Banco vince sempre. Non è mica un caso se da una estrazione settimanale si è passati a tre. Per dare più opportunità ai giocatori o prenderli in giro tre volte e guadagnare il triplo?

Ricorda un po’ la Giurisprudenza italiana, dove se va male un ricorso al Prefetto puoi sempre appellarti al Tar e, infine, al Consiglio di Stato: ne ricavi la percezione di poter essere tutelato, ma in realtà è lo Stato che ti prende tre volte per il culo…

Eppure, per tornare al gioco dell’otto, è lo stesso Stato a premurarsi di avvisarti, te lo dice esplicitamente che quel gioco può causare dipendenza patologica, tanto lo sa che quell’avvertimento sarà inutile, perché il giocatore dell’otto patologico lo è già, lo è diventato molto tempo prima, quando ha introiettato il concetto che, per tentare di cambiare le sorti della sua esistenza, il gioco dell’otto che gli offriva lo Stato era l’unica possibilità. E quando pensa di aver intravisto un’altra possibilità, non si rende conto che si sofferma a guardare sempre tra quelle offerte allo stesso tavolo e dal medesimo croupier. Quindi, si tratta al massimo di passare dal gioco dell’otto al gratta & vinci ma, ancora una volta, il Banco vince sempre.

Eh – dirà qualcuno – ma allora cosa bisogna fare?

Semplice. Smettere di giocare. Sfasciare l’urna in cui si mischiano i numeri dell’otto, bruciare tutti i gratta & vinci, prendere a martellate le slot machine… Chissà , il giocatore dell’otto, quante delusioni eviterebbe e quante false aspettative, in cui per primo non crede, si risparmierebbe. E chissà quale gioia potrebbe ricavare una volta scoperto che non ha bisogno di nessun gioco predeterminato, ma potrebbe inventarne uno completamente nuovo.

Alcuni nemici della ludopatia

(dicembre 2018, per la giornata “Io l’otto, contro Tap e le grandi opere inutili”)

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Per il mio bene

Potrà mai esserci qualcuno più adatto di me medesimo a decidere del mio benessere personale? Secondo lo stato, i suoi manutengoli, gli esperti di ogni alloro, i religiosi e la massa sempre più acritica, si. Data tale premessa, sostenuta dalla quasi totalità dei contemporanei, la vita di ognuno diviene sempre più etero-diretta e sempre più simile a quella degli altri. Anzi, se si aggiunge la mondializzazione della religione Scienza, la iper-invasività della tecnologia ed il sospetto di una pandemia, si può parlare di sopravvivenza standardizzata. Ne consegue che, seppur con minime, a volte ridicole differenze geografiche, dobbiamo tutti seguire i regolamenti e le restrizioni dei deputati a decidere sul nostro bene e se questi dovessero diventare gravosi, tanto meglio, si potrà fare della retorica sull’eroismo collettivo per compattare sempre più la popolazione sotto l’enorme cappello del pensiero unico.

Così per il mio bene devo uscire solo quando anche tutti gli altri escono e rinchiudermi in casa quando per strada non c’è nessuno.

Per il mio bene non posso passare delle serate di svago, ma devo lavorare in fabbriche, supermercati, mezzi pubblici, etc…

Per il mio bene i negozi chiudono prima restringendo il tempo disponibile per gli acquisti e affollandoli.

Per il mio bene ci sono soldati armati di fucili d’assalto in tante piazze, probabilmente per polverizzare infidi virus.

Per il mio bene devo fare file all’esterno di vari uffici pubblici alle intemperie e accalcandomi per non perdere il posto in coda.

Per il mio bene devo prender un caffè al bar, allontanandomi il prima possibile e gustandolo per strada insieme al retrogusto che il bicchiere di plastica regala alla mia salute.

Per il mio bene mi richiamano al lavoro anche se sono un medico in pensione mentre sconsigliano agli over 65 anni di uscire di casa.

Per il mio bene se perdo la mascherina per strada mi viene comminata una sanzione di 400€.

Per il mio bene viaggio in uno scuolabus con i finestrini costantemente aperti per tutto l’inverno.

Per il mio bene le fabbriche di morte (armi, inquinanti, mortali per gli operai) restano aperte.

Per il mio bene gli ospedali rimasti dopo i tanti tagli e privatizzazioni, non curano più altre malattie che non sia la famigerata pandemia.

Per il mio bene i tabacchi e gli alcolici, monopoli di stato, anche se mortali, restano in vendita.

Per il mio bene le scuole rimaste in piedi vengono chiuse (non certo per il concreto rischio di crolli) togliendomi l’unica occasione che ho di socializzare coi miei coetanei, visto che di sport neanche a parlarne e dalla strada ci avete tolti ormai tanti anni fa.

Per il mio bene devo tenere mio figlio davanti ad uno schermo per almeno quattro ore al giorno quando avevo lottato tanto con lui per cercare di tenercelo lontano.

Per il mio bene guardie carcerarie entrano ed escono quotidianamente dai vari luoghi di detenzione, mentre chi è rinchiuso non può avere colloqui o contatti.

Per il mio bene devo comprare uno smartphone e scaricare applicazioni che mi controllano costantemente e mi rendono un prodotto per aziende.

Questo “mio bene” è così ben tutelato da tanti altri esempi, ma si dimostra ancor più con l’innegabile aumento di suicidi, violenze domestiche e consumo di psicofarmaci durante i periodi di reclusione, confinamento, lock-down o dir si voglia, cioè quando è più attiva l’attenzione di chi vuole il mio bene.

Responsabilità collettiva è il richiamo dei capi dello Stato, del governo e della Chiesa. Certo, nel mondo alla rovescia si può dire questo ed essere presi sul serio. Se non si tratta di una subdola trovata per spingere tutti a diventare sbirri del proprio vicino, prima ancora che di se stessi, allora quelle due parole non possono realmente stare insieme: responsabilità collettiva significa merito collettivo o colpa collettiva, ma se il merito o la colpa sono di tutti allora non lo sono di nessuno. Possono essere tutti eroi o tutti vigliacchi? La popolazione civile di Londra durante la seconda guerra mondiale è stata definita eroica nella resistenza ai bombardamenti tedeschi, ma avevano una qualche scelta per cui hanno preso la decisione eroica?Quanto c’è di responsabilità nel seguire pedissequamente i dettami di chi è gerarchicamente superiore? Quanto c’è di eroico nel vivere in una campana di vetro? Si può definire vita quella passata in un enorme laboratorio come una cavia?

Se si è arrivati al punto di avere così tanta paura di morire da rinunciare a vivere, allora, visto che la morte è faccenda che attiene a tutti coloro che nascono, è meglio evitare di nascere per non ritrovarsi nella società della morte, perché fintanto che il mio bene verrà deciso da qualcuno differente da me l’equazione permane:

“altri” x “il mio bene” = 0

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E io dico no

Io dico NO ai miasmi e ai marasmi e a tutto
   ciò che striscia e scivola e si decompone.
   Io dico NO alle parole di burro con tutti
   gli onori, premi dei premi, medaglie,
   promozioni, nomenclature, carriere varie
   e di sabbia. Dico NO ai panzoni piedi di
   porco, agli archivolti, a codati e portali, a
   giarrettiere e reggicalze e collant integrali.
   E dico NO all’ingrosso, al dettaglio, alle
   tariffe, ai clienti, al debito, al credito, alle
   fatture e allo sconto. Dico No a tutto ciò
   che si sottrae clandestinamente alla follia
   naturale. Dico NO alla cenere, allo strutto e
   alla cotenna e alla colla e al lardo e all’ano
   e agli scoli-escrementi e alle carneficine di
   animali innocenti. Dico NO al cortile, all’Alta
   Corte, ai bombici, alle bombature. Dico NO
   ai concubinaggi e ai matrimoni e alle leggi
   contro i trigami, agli adulteri in babbucce,
   con mutande troppo strette per le gravide.
Dico NO agli sguardi sfuggenti e alle bocche
   suggenti.
Dico NO alle strategie amorose, alle ogive
   nucleari, ai missili e ai razzi mortuari. Dico
   NO ai duplicati. Dico NO allo Stato.
Cultura o spazzatura? Sono contro. Dico NO
   alle manie cerebrali, ai volti distolti, ai fiumi
   prosciugati.
Dico NO agli scuoiatori, ai procuratori, ai
   professori, ai computer, ai musei e alle
   greppie. C’è un SI’ per il NO. C’è poesia e
   poesia. C’è acqua minerale e acqua minerale.
   Ci sono cerimonie. C’è totale confusione.
   C’è puzza di bruciato. C’è follia.
Poeta maledetto dal mondo, cammino su
   questa terra, sulla mia terra, umiliata,
   mutilata, condannata, e le mie gambe
   tremano di spavento.
Paul Valet (Georges Schwartz) dalla raccolta Vertiges, 1987
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Edizioni La Fiaccola: nuovi arrivi

  • Augusto Agabiti, Ipazia. La prima martire della libertà di pensiero, 2006, pag. 45, € 4
  • David Bernardini, Il barometro degna tempesta. Le Schiere Nere contro il nazismo, 2014, pag. 76, € 5
  • Paolo Finzi, La nota persona. Errico Malatesta in Italia. Dicembre 1919 – luglio 1920, 2008, pag. 270, € 18 (allegato dvd con un filmato della manifestazione del Primo Maggio 1920 a Savona)
  • Pamela Galassi, La donna più pericolosa d’America. Il femminismo anarchico nella vita e nel pensiero di Emma Goldman, 2014, pag. 113, € 12
  • Vittorio Giorgini, Le religioni plagiano, 2004, pag. 54, € 4
  • Emma Goldman, Amore emancipazione. Tre saggi sulla questione della donna, 1976, pag. 61, € 4
  • Thierry Guilabert, Le veridiche avventure di Jean Meslier (1664-1729). Curato, ateo e rivoluzionario, 2013, pag. 158, € 13Lorenzo Micheli, Una comunità proletaria. Barcellona 1931-1936, 2018, pag. 89, € 10
  • Petr Kropotkin, Ai giovani, 1997, pag. 39, € 4
  • Petr Kropotkin, La morale anarchica, 2017, pag. 63, € 4
  • Errico Malatesta, Fra contadini. Dialogo sull’anarchia, 1972, pag. 55, € 4
  • Errico Malatesta, L’anarchia & Il nostro programma, 2014, pag. 76, € 5
  • Errico Malatesta /Francesco Saverio Merlino, Anarchismo e democrazia. Soluzione anarchica e soluzione democratica del problema della libertà in una società socialista, 2015, pag. 190, € 8
  • Cipriano Mera, La rivoluzione armata in Spagna. Memorie di un anarco-sindacalista, 1978, pag. 496, € 16
  • Giuseppe Rensi, Apologia dell’ateismo, 2012, pag. 80, € 6
  • Sergio Rossi, Venga un giorno meraviglioso come oggi. Il Movimento 2 Giugno e la lotta armata nella Germania Federale 1972-1980, 2009, pag. 173, € 12
  • Anne Sizaire, Louise Michel. La «viro major». Breve storia (1830-1905), 2012, pag. 76, € 5
  • Andrea Staid, Gli Arditi del popolo. La prima lotta armata contro il fascismo 1921-1922, 2017, pag. 81, € 5
  • Alberto Toninello, Sindacalismo rivoluzionario, anarco-sindacalismo, anarchismo. Marxismo e anarchismo a confronto sul terreno dei fatti, 1978, pag. 85, € 4
  • Oscar Wilde, L’individuo nella società socialista, 2006, pag. 61, € 5
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… e ancora, in Biblioteca…

  • Silvia Federici, Genere e Capitale. Per una lettura femminista di Marx, ed. Derive Approdi, 2020, pag. 104;
  • Umberto Eco, Migrazioni e intolleranza, ed. La Repubblica, 2020, pag. 45;
  • Marc Tibaldi (a cura di), Giorgio Bertani editore ribelle + dvd Verona city lights, ed. Milieu, 2020, pag. 143;
  • Veronika Bennholdt-Thomsen, Il denaro o la vita. Cosa ci rende veramente ricchi, ed. Asterios, 2020, pag. 62;
  • Daniela Danna, Sesso e genere, ed. Asterios, 2020, pag. 46;
  • Valerie Solanas, S.C.U.M. Manifesto per l’eliminazione dei maschi, ed. SE, 2016, pag. 68;
  • Morton Deutsch / Robert M. Krauss, La psicologia sociale contemporanea, ed. Il Mulino, 1976, pag. 313;
  • Luciano M. Consoli, Appunti per una rivoluzione morale, ed. La Fiaccola, 1971, pag. 56;
  • Ahmad Sa’dat, L’eco delle catene. La detenzione dei prigionieri politici nelle carceri israeliane, ed. Clandestine, 2020, pag. 172;
  • Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, ed. Pgreco, 2012, pag. XVI + 608
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Nuovi inserimenti in Biblioteca

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Nuovi inserimenti in biblioteca

Alcuni dei nuovi titoli disponibili per il prestito e la consultazione:

Voltairine De Cleyre, Un’anarchica americana, ed. Elèuthera, 2017, pag. 183

Secondo Emma Goldman “Voltairine De Cleyre è la più dotata e brillante donna anarchica che gli Stati Uniti abbiano mai partorito”. Il libro raccoglie saggi e conferenze, in cui spesso esprime le sue riflessioni, e le sue battaglie, sulla condizione della donna.

 

 

Paolo Pasi, Ho ucciso un principio. Vita e morte di Gaetano Bresci, l’anarchico che sparò al re, ed. Elèuthera, 2014, pag. 175

29 luglio 1900: tre colpi di rivoltella colpiscono Umberto I, re d’Italia, il cosiddetto “re buono”, ma che il popolo chiama “re mitraglia” per le sue complicità nei morti dei moti della Lunigiana, di Sicilia, e per i cannoneggiamenti e la strage di Milano. A Monza, quel giorno, la mano vendicatrice dell’anarchico non trema.

 

David Gilbert, Amore e lotta. Autobiografia di un rivoluzionario negli Stati Uniti, Mimesis, 2016, pag. 395

“Il governo che ha rovesciato napalm sul Vietnam, che fornisce le bombe a grappolo che uccidono civili in Libano, che addestra torturatori in Salvador ci chiama ‘terroristi’. I governanti che si sono arricchiti con generazioni di schiavi che lavoravano e lavoratori resi schiavi… ci etichettano come ‘criminali’. Le forze di polizia dell’Amerika che hanno ucciso 2000 persone di colore negli ultimi cinque anni e che imbottiscono di droga le comunità ci dicono che ‘non abbiamo rispetto per la vita umana’. Noi non siamo né terroristi né criminali. È proprio perché amiamo la vita, perché gioiamo di fronte allo spirito umano, che siamo diventati combattenti per la libertà contro questo sistema razzista, imperialista e mortifero”.                                                                                                                           Dichiarazione in tribunale, 13 settembre 1982

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Nuovo titolo in distribuzione

LO SPILLOVER DEL PROFITTO.

Capitalismo, guerre ed epidemie, Calusca City Lights (a cura di), Edizioni Colibrì, 2020, 144 pp. Euro 14,00

Un libro che pone una domanda cruciale: “Il 2020 sarà l’anno della seconda (e ultima) grande crisi del capitalismo, dopo quella del 1929, che annuncerà un ‘Ottobre 1917’ a livello mondiale?”. E lo fa, dopo avere tratteggiato i nessi stringenti fra “capitalismo, guerre ed epidemie”, avere proposto alcuni approfondimenti sul carattere duale (civile e militare) delle tecno-scienze contemporanee e avere ragionato intorno alla “economia di guerra”.

Come le società di classe precedenti, fondate sugli scambi e sul commercio, il capitalismo è incapace di fermare la diffusione delle epidemie. Anzi la favorisce distruggendo l’ambiente naturale, ricercando spasmodicamente un profitto immediato, affondando inesorabilmente a colpi di “tagli di bilancio” l’intero sistema sanitario e trasformando gli alloggi in gabbie per polli dove sono ammassati miliardi di esseri umani.

La guerra è da tempi immemorabili un moltiplicatore di epidemie, in quanto ne favorisce la diffusione. Dopo avere dimostrato la sua totale incapacità di anticipare e gestire l’“emergenza coronavirus”, il sistema farà di tutto per farne pagare il conto a coloro senza di cui non può raccogliere i suoi profitti: i proletari. E le voci di tale conto saranno: aumento della disoccupazione (stimata a 25 milioni per il 2020), riduzione del salario reale, progressiva militarizzazione della società. La posta in gioco è, indubbiamente, di portata storica.

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La salute, signorsì!

Nessun popolo, per quanto docile sia per natura e per quanto abituato possa essere ad obbedire alle autorità, si rassegnerà volentieri a sottomettersi; perciò, è necessaria una coercizione permanente; ciò vuol dire che sono necessarie la sorveglianza poliziesca e la forza militare.

Michail Bakunin

 

Se è vero che il linguaggio crea il mondo in cui viviamo, ed aiuta a comprenderlo, allora quello che si sta prospettando è un mondo terribile, come terribile può essere un mondo in cui il militarismo – e di conseguenza la guerra – sono gli aspetti preponderanti.

Se non bastasse il perdurare di uno stato di emergenza che si prolunga di decreto in decreto, e che tende a diventare perenne, è arrivato oggi il coprifuoco governativo.

La storia di questo termine richiama chiaramente tragici scenari, essendo di solito utilizzato in contesti di guerra oppure dittatoriali; entrambi casi in cui il ruolo repressivo svolto dai militari è comunque lampante. Ciò che sta accadendo è esattamente questo, un’impennatarepressiva e di limitazione delle libertà personali in senso sempre più militaresco.

Dopo aver militarizzato le nostre menti con mesi di propaganda, durante i quali ci hanno bombardato con slogan quali “siamo in guerra” contro “un nemico invisibile”, ecco che il militarismo scende in campo nella sua più classica versione fisica. Se già nelle grandi città esso è presente e ben visibile da diversi anni, col pretesto delle “Strade sicure”, oggi si materializza in ogni più recondito angolo della Penisola, come succede in questi giorni a Taurisano, in provincia di Lecce, col pretesto dell’alta percentuale di popolazione positiva al Covid, e con l’ipotesi molto concreta di schierare l’esercito per evitare assembramenti o controllare le possibili manifestazioni di piazza. E se, come nel caso di Taurisano, essi tenderanno a presentarsi nelle più rassicuranti vesti del camice bianco indossato sopra la più brutale tuta mimetica, ciò non deve servire a rassicurarci, quanto piuttosto a farci riflettere sul ruolo della scienza – medica ma non solo – e sul suo sempre più stretto rapporto col militarismo, la guerra e la repressione. Col suo ruolo di governo, insomma, intendendo per governo il controllo e la sottomissione delle popolazioni.

Non è certo un caso che, da quando l’epidemia di Covid ha colpito l’Italia, le decisioni della Politica sul da farsi siano state sempre subordinate ad un Consiglio di scienziati: il Comitato Tecnico Scientifico, che annovera, tra i suoi membri, consiglieri di fabbriche di armamenti quali Leonardo – Finmeccanica. Sono gli stessi scienziati che portano avanti progetti di morte all’interno di numerosissime università italiane, guarda caso anch’esse sempre più a stretto contatto con gli eserciti, con varie collaborazioni.

È sempre più evidente quindi, la militarizzazione non solo delle nostre menti e delle nostre vite, ma dell’intera società in cui viviamo.

Ma quando la vita che ci prospettano è fatta di militarismo, e di conseguenza di guerra, i primi passi per opporsi sono la diserzione e la resistenza, quantomeno per non essere tacciati di collaborazionismo.

salut-DEF

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