Lettera al Senatore Hawley

Caro Signore,*

leggo sul giornale di questa mattina che avreste affermato che sareste disposto ad offrire mille dollari «per sparare un colpo a un anarchico». Desidero verificare la sincerità di questo vostro proposito, oppure farvi ritirare quest’affermazione che è indegna non soltanto di un senatore, ma di un essere umano.

Sono anarchica e lo sono da quattordici anni ed è cosa di pubblico dominio dal momento che ho tenuto conferenze e scritto molto sull’argomento. Sono convinta che il mondo sarebbe un posto assai migliore se non ci fossero né re, né imperatori, né presidenti, né prìncipi, né giudici, né senatori, né deputati, né governatori, né sindaci, né poliziotti. Penso che sarebbe un gran vantaggio per l’intera società se invece di fare leggi voi faceste cappelli, cappotti o magari scarpe, o una qualsiasi cosa che possa essere di una qualche utilità alle persone. Sogno un’organizzazione sociale in cui nessun uomo possa governare sugli altri e ogni uomo si governi da sé. Vi consiglio di consultare l’allegato che vi mando, che bene espone il pensiero e i principi degli anarchici di Filadelfia.

Tuttavia se davvero desideraste sparare a un anarchico, non vi costerà certo mille dollari. Vi sarà sufficiente pagare i costi del viaggio per raggiungermi (il mio indirizzo è indicato qui sotto) e mi potrà sparare senza dover sborsare nulla. Non vi opporrò alcuna resistenza. Resterò in piedi davanti a voi alla distanza che più preferite e potrete spararmi alla presenza di testimoni, se così desiderate.

Il vostro proverbiale fiuto americano non vi suggerisce che si tratta di un vero e proprio affare?

Ma se tuttavia il pagamento dei mille dollari è una condizione non negoziabile, allora dopo avervi consentito di sparare, vorrei devolvere i soldi per la propaganda di idee che divulghi l’avvento di una società libera in cui non ci saranno né assassini, né presidenti, né mendicanti, né senatori.

Voltairine de Cleyre,

807 Fairmount Ave., Filadelfia

21 marzo 1902

A Letter to Senator Hawley. Apparso su Free Society, 13 aprile 1902

Consultabili in Biblioteca: 

Voltairine de Cleyre, Un’anarchica americana, Ed. Eleuthera, 2017;

Voltairine de Cleyre, Una poetessa ribelle, Stampa Alternativa, 2018

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Lettera al Senatore Hawley

Drizziamo le antenne

Un appello contro 5G, digitalizzazione e medicalizzazione delle nostre vite, a cura del gruppo effimero CODA NERA – COntro Digitalizzazione e Automazione Non E’ Ragionevole Attendere

Lettura web     Appello_web_read

Stampa A3     AppelloA3_print

Stampa alternate   AppelloA3_print_imposed

Disponibile presso la Biblioteca

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Drizziamo le antenne

Operazione Ogro

Julen Agirre (Eva Forest)
Operazione Ogro. Come e perché abbiamo ucciso Carrero Blanco

Ed. Anarchismo, 2009, pagine 192, euro 4,00

Carrero Blanco aveva un sogno: volare.
Un giorno l’ETA rese il suo sogno una grande realtà.
Soak

Il 20 dicembre 1973 l’ammiraglio spagnolo Luis Carrero Blanco, numero due del regime falangista, è fatto saltare in aria dall’ETA. Il testo – pubblicato dalla rivista “Anarchismo” nel 1975 – cerca di riproporre l’azione nella sua essenzialità organizzativa e con la massima obiettività possibile. Trattandosi di un argomento che ha affascinato molti compagni, e che ha visto l’attività mistificatrice di cineasti e mestieranti vari, non ci è sembrato inutile rimettere a posto le cose. Eva Forest firmò il libro pubblicato nel 1974 da Ruedo Iberico con uno pseudonimo (Julen Agirre) perché usciva da tre anni di prigionia nelle galere franchiste e non poteva in quel momento correre altri rischi. Speriamo che questi fatti si possano finalmente leggere con una certa distanza critica e che non si cada nell’equivoco di fruirne come di un qualsiasi racconto poliziesco.

Disponibile in Biblioteca

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Operazione Ogro

Protocolli

Che le persone non siano solo numeri da diffondere dovrebbe essere un fatto da tenere bene in mente, tanto più negli ultimi tempi dove vi è un’enorme sovrabbondanza di cifre. Parcellizzata e settorializzata, la vita diventa sempre più un frammento che impedisce di guardare alle cose in maniera più ampia. Questo è il frutto di una vita burocratizzata, trattata in ogni aspetto della quotidianità con la lente di un codice. Basterebbe dare uno sguardo alle regole assurde che costantemente vengono imposte, anche in tempi di pandemia o emergenzialità, conseguenza di una visione asettica. O alle disposizioni che provengono dai vari specialisti, totalmente contraddittorie, perché legate a singoli aspetti che non tengono mai in considerazione tutti gli altri. Così che, nello stupore o nella rabbia di fronte ad alcune norme, viene da pensare che un minimo di cultura generale sarebbe sufficiente ad evitare amenità grossolane (ad esempio l’uso di una mascherina mentre si fa attività fisica).

Ma in fondo e d’altra parte, la questione centrale è quella dell’ordine che si vuole riportare alle cose. Da un lato un ordine economico, in cui continuino a sopravvivere privilegi, proprietà, ricchezze riservate a pochi, dall’altro un ordine sociale che possa garantire tutto questo, con una gestione centralizzata, controllando o reprimendo a seconda delle necessità.

In virtù di quest’ordine le strutture di trasformazione del mondo vengono preparate costantemente e servono a garantire lo scheletro della casa in costruzione.

Se ora si applica il coprifuoco, togliendo la possibilità di circolare dopo una certa ora, e si chiudono piazze e strade che divengono inaccessibili, ufficialmente per evitare assembramenti, da qualche anno i vari decreti sicurezza adottano la stessa ratio, limitando le libertà di alcune categorie di persone per la tutela di un modello di città sempre più escludente. Se il confinamento diviene generalizzato, la diffusione della paura fa introiettare l’autoreclusione e il rispetto delle regole senza grande dispiegamento di forza. Infine, un linguaggio da guerra civile caratterizza il modo in cui viene affrontato il rischio sanitario, facendo dimenticare altri linguaggi e metodi quali la cura e l’attenzione. Non è delegando, che sapremo affrontare meglio le questioni riguardanti la salute, la sopravvivenza, il tempo e gli spazi dell’esistenza.

La non sottomissione quindi è l’antica ricetta che può essere usata per non ridurre la complessità della vita a un protocollo.

Nessun luogo, dicembre 2020

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Protocolli

L’Utopia Nazionale

Il principale strumento dello Stato Nazionale è Megalopoli, la sua città più grande, il posto in cui l’idolo dell’Utopia Nazionale venne da principio creato e da cui viene continuamente la volontà di mantenerlo.

Allo scopo di cogliere la caratteristica essenziale di Megalopoli dobbiamo distogliere lo sguardo dalla realtà della terra, dal suo manto di vegetazione e dalle nuvole che la ricoprono, ed immaginare che cosa potrebbe diventare il paesaggio in cui viviamo se potesse essere interamente fabbricato con la carta; infatti lo scopo ultimo di Megalopoli è di ridurre il complesso della vita umana ad una serie di relazioni che hanno come unico tramite la carta.

Un giovane cittadino di Megalopoli passa i primi anni della sua vita per acquisire gli strumenti con cui si può usare la carta. Gli strumenti si chiamano, saper scrivere, saper leggere e sapere fare il conto ed un tempo essi costituivano i principali elementi dell’educazione di ogni abitante di Megalopoli. Vi era comunque un certo grado di insoddisfazione, sulla carta, per la limitatezza di questo curriculum, e così in un’epoca abbastanza lontana nella storia di Megalopoli vi si aggiunsero varie altre materie come la letteratura, la scienza, la ginnastica e l’addestramento ai lavori manuali, però sempre sulla carta. È infatti possibile per uno studente di Megalopoli conoscere la composizione molecolare del gesso senza averne mai visto un pezzo in natura, o maneggiare un pezzo di legno in laboratorio senza aver mai passeggiato attraverso un bosco di abeti, e addentrarsi attraverso i capolavori della letteratura poetica senza aver mai sperimentato una sola emozione che potesse prepararlo ad apprezzare qualche cosa di diverso dagli influenti giornali di Megalopoli, ma fintanto che le sue ore di presenza possono essere registrate sulla carta, e fintanto che egli può fornire un soddisfacente riassunto dei suoi studi su un foglio d’esame, la sua preparazione alla vita è praticamente completa; così egli viene diplomato con un pezzo di carta che certifica la sua istruzione e introdotto alle industrie di Coketown o nei brulicanti uffici della stessa Megalopoli.

La fine di questo periodo di tutela cartacea non è che il preludio al suo proseguimento in un’altra forma, poiché le religiose attenzioni di cui si circonda la carta costituiscono l’attività vitale di Megalopoli. Il giornale, il libro mastro e lo schedario sono i mezzi attraverso i quali lo studente entra in contatto con la vita, mentre i rotocalchi e le riviste illustrate sono i mezzi attraverso i quali sfugge da essa. Attraverso quel particolare tipo di carta trasparente che è la celluloide è divenuto possibile fare a meno di vedere sulla scena attori in carne ed ossa; perciò il dramma umano, come viene chiamato dagli storici di Megalopoli, può svolgersi a distanza senza che nessuno vi prenda parte. Invece di viaggiare l’abitante di Megalopoli può vedere il mondo muoversi sulla carta verso di lui; invece di avventurarsi sulle strade del mondo può vedere l’avventura venirgli incontro sulla carta; invece di trovarsi un compagno, può esaurire sulla carta tutta la propria felicità. In realtà egli acquista una tale abitudine a sperimentare tutte le proprie emozioni sulla carta che si accontenta di ammirare un vaso di fiori su uno schermo cinematografico; mentre la sua ignoranza della natura è così grande che un attore di avanspettacolo, quando cerca di divertirlo imitando il richiamo degli uccelli e degli altri animali, trova preferibile servirsi di riprese filmate di un gallo, di un cane, di un gatto perché la sua mimica abbia una apparenza di realtà per delle menti che sono incapaci di immagini personali.

La nozione di azione diretta, di rapporto diretto e di associazione diretta è estranea a Megalopoli. Se l’intera comunità o un qualche gruppo all’interno di essa deve intraprendere una azione, è necessario passare attraverso il Parlamento megalopolitano al fine di deciderla sulla carta dopo che innumerevoli persone, che non hanno nessun vero interesse nella faccenda, hanno fissato il loro punto di vista a proposito della questione sulla carta. Se qualche rapporto deve essere istituito, deve essere svolto quasi completamente sulla carta; e se quel mezzo non è direttamente disponibile vengono usati strumenti sussidiari come il telefono. La principale forma di associazione a Megalopoli è il partito politico ed è attraverso il partito politico che i suoi abitanti esprimono le loro opinioni, sempre sulla carta, per esempio sulla necessità di modificare la costituzione scritta o di promuovere il benessere di questa comunità cartacea; questo benché il cittadino si renda conto che le promesse fatte dai partiti politici vengano scritte su quella che i megalopolitani nei loro momenti di maggior cinismo chiamano «carta non commerciabile» e che probabilmente non entreranno mai in circolazione.

Attraverso il commercio dei molteplici beni di Coketown e attraverso il controllo su un certo tipo di carta conosciuto come ipoteche o assicurazioni, Megalopoli si assicura una fornitura di cibi genuini e di prodotti tipici della campagna. Attraverso una incessante produzione di libri, di riviste, di giornali e di ogni genere di prodotti tipografici, Megalopoli fa in modo che l’idolo dell’Utopia Nazionale si mantenga vivo nelle menti dei sottomessi abitanti della campagna. Infine, con gli artifici «dell’educazione nazionale» e «dell’informazione nazionale» tutti gli abitanti dell’Utopia Nazionale vengono persuasi che la vita felice è quella che essi vivono, sulla carta, nella capitale; e una vita in qualche modo simile a quella si può realizzare mangiando il cibo, vestendo gli abiti, sostenendo le opinioni e procacciandosi i beni che vengono posti in vendita da Megalopoli. Così il principale obiettivo di ciascuna città dell’Utopia Nazionale è di assomigliare a Megalopoli; il suo vanto è di essere un’altra Megalopoli. Quando gli abitanti di Megalopoli sognano un mondo migliore, sognano solo la teorica perfezione di quella Utopia Nazionale a cui Edward Bellamy mirava in Looking Backward.

Lavorando parallelamente al «Processo Meccanico» di Coketown, Megalopoli propone uno standard di vita che può essere rappresentato, sulla carta, in termini commerciali anche se non offre nessuna tangibile soddisfazione in materia di beni, di servizi e di raggiungimenti. Il principale vanto di questo standard è la sua uniformità; ciò significa la possibilità di applicarlo indiscriminatamente a ciascun membro della comunità senza riguardi per la sua storia, le sue reali condizioni, i suoi bisogni e i suoi meriti. In conseguenza, Megalopoli crea prodotti che riguardano tutti attrezzature sanitarie e idrauliche, i quali anche se in realtà non aumentano la gioia di vivere rendono comunque meno spaventosa la «routine» della vita megalopolitana.

Il risultato finale di questi standard e di questa uniformità è che quello che originalmente era una convenzione diventa col tempo un fatto. Anche se gli abitanti della Utopia Nazionale potevano originariamente essere stati diversi come gli alberi di una foresta, essi tendono a diventare, sotto l’influenza dell’educazione e della propaganda, simili fra loro come i pali del telegrafo lungo una strada. Non è poco per il credito di Megalopoli il fatto che l’Utopia Nazionale si sia pragmatisticamente auto-giustificata. Essa ha creato quel tipo di predisposizione mentale nei riguardi della carta, che è necessaria per una facile fusione di Coketown e della Country House. Cos’è Megalopoli infatti se non un cartaceo purgatorio che è il tramite attraverso il quale i figli perduti di Coketown, l’inferno dei produttori, possono alla fine raggiungere la beatitudine della Country House, il paradiso dei consumatori?

Lewis Mumford, Storia dell’utopia, [1922]

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su L’Utopia Nazionale

Il gioco dell’Otto

Ostinati come tutti i giocatori accaniti, ed ottusamente ottimisti perché la prossima volta potrebbe essere quella  buona. Certo, finora le cose sono andate male, ma proprio per questo la percentuale – secondo il calcolo delle probabilità – è maggiore.

Non c’è nulla da fare, i giocatori dell’otto sono fatti così: nonostante gli anni sprecati a sperare nella cinquina vincente che non è mai arrivata, continuano a giocare. E non si tratta di tentare la fortuna scegliendo i numeri sbagliati, no: è proprio il gioco in sé ad essere perdente. È stato ideato apposta dallo Stato, il quale ne trae introiti notevolissimi, e il Banco vince sempre. Non è mica un caso se da una estrazione settimanale si è passati a tre. Per dare più opportunità ai giocatori o prenderli in giro tre volte e guadagnare il triplo?

Ricorda un po’ la Giurisprudenza italiana, dove se va male un ricorso al Prefetto puoi sempre appellarti al Tar e, infine, al Consiglio di Stato: ne ricavi la percezione di poter essere tutelato, ma in realtà è lo Stato che ti prende tre volte per il culo…

Eppure, per tornare al gioco dell’otto, è lo stesso Stato a premurarsi di avvisarti, te lo dice esplicitamente che quel gioco può causare dipendenza patologica, tanto lo sa che quell’avvertimento sarà inutile, perché il giocatore dell’otto patologico lo è già, lo è diventato molto tempo prima, quando ha introiettato il concetto che, per tentare di cambiare le sorti della sua esistenza, il gioco dell’otto che gli offriva lo Stato era l’unica possibilità. E quando pensa di aver intravisto un’altra possibilità, non si rende conto che si sofferma a guardare sempre tra quelle offerte allo stesso tavolo e dal medesimo croupier. Quindi, si tratta al massimo di passare dal gioco dell’otto al gratta & vinci ma, ancora una volta, il Banco vince sempre.

Eh – dirà qualcuno – ma allora cosa bisogna fare?

Semplice. Smettere di giocare. Sfasciare l’urna in cui si mischiano i numeri dell’otto, bruciare tutti i gratta & vinci, prendere a martellate le slot machine… Chissà , il giocatore dell’otto, quante delusioni eviterebbe e quante false aspettative, in cui per primo non crede, si risparmierebbe. E chissà quale gioia potrebbe ricavare una volta scoperto che non ha bisogno di nessun gioco predeterminato, ma potrebbe inventarne uno completamente nuovo.

Alcuni nemici della ludopatia

(dicembre 2018, per la giornata “Io l’otto, contro Tap e le grandi opere inutili”)

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Il gioco dell’Otto

Per il mio bene

Potrà mai esserci qualcuno più adatto di me medesimo a decidere del mio benessere personale? Secondo lo stato, i suoi manutengoli, gli esperti di ogni alloro, i religiosi e la massa sempre più acritica, si. Data tale premessa, sostenuta dalla quasi totalità dei contemporanei, la vita di ognuno diviene sempre più etero-diretta e sempre più simile a quella degli altri. Anzi, se si aggiunge la mondializzazione della religione Scienza, la iper-invasività della tecnologia ed il sospetto di una pandemia, si può parlare di sopravvivenza standardizzata. Ne consegue che, seppur con minime, a volte ridicole differenze geografiche, dobbiamo tutti seguire i regolamenti e le restrizioni dei deputati a decidere sul nostro bene e se questi dovessero diventare gravosi, tanto meglio, si potrà fare della retorica sull’eroismo collettivo per compattare sempre più la popolazione sotto l’enorme cappello del pensiero unico.

Così per il mio bene devo uscire solo quando anche tutti gli altri escono e rinchiudermi in casa quando per strada non c’è nessuno.

Per il mio bene non posso passare delle serate di svago, ma devo lavorare in fabbriche, supermercati, mezzi pubblici, etc…

Per il mio bene i negozi chiudono prima restringendo il tempo disponibile per gli acquisti e affollandoli.

Per il mio bene ci sono soldati armati di fucili d’assalto in tante piazze, probabilmente per polverizzare infidi virus.

Per il mio bene devo fare file all’esterno di vari uffici pubblici alle intemperie e accalcandomi per non perdere il posto in coda.

Per il mio bene devo prender un caffè al bar, allontanandomi il prima possibile e gustandolo per strada insieme al retrogusto che il bicchiere di plastica regala alla mia salute.

Per il mio bene mi richiamano al lavoro anche se sono un medico in pensione mentre sconsigliano agli over 65 anni di uscire di casa.

Per il mio bene se perdo la mascherina per strada mi viene comminata una sanzione di 400€.

Per il mio bene viaggio in uno scuolabus con i finestrini costantemente aperti per tutto l’inverno.

Per il mio bene le fabbriche di morte (armi, inquinanti, mortali per gli operai) restano aperte.

Per il mio bene gli ospedali rimasti dopo i tanti tagli e privatizzazioni, non curano più altre malattie che non sia la famigerata pandemia.

Per il mio bene i tabacchi e gli alcolici, monopoli di stato, anche se mortali, restano in vendita.

Per il mio bene le scuole rimaste in piedi vengono chiuse (non certo per il concreto rischio di crolli) togliendomi l’unica occasione che ho di socializzare coi miei coetanei, visto che di sport neanche a parlarne e dalla strada ci avete tolti ormai tanti anni fa.

Per il mio bene devo tenere mio figlio davanti ad uno schermo per almeno quattro ore al giorno quando avevo lottato tanto con lui per cercare di tenercelo lontano.

Per il mio bene guardie carcerarie entrano ed escono quotidianamente dai vari luoghi di detenzione, mentre chi è rinchiuso non può avere colloqui o contatti.

Per il mio bene devo comprare uno smartphone e scaricare applicazioni che mi controllano costantemente e mi rendono un prodotto per aziende.

Questo “mio bene” è così ben tutelato da tanti altri esempi, ma si dimostra ancor più con l’innegabile aumento di suicidi, violenze domestiche e consumo di psicofarmaci durante i periodi di reclusione, confinamento, lock-down o dir si voglia, cioè quando è più attiva l’attenzione di chi vuole il mio bene.

Responsabilità collettiva è il richiamo dei capi dello Stato, del governo e della Chiesa. Certo, nel mondo alla rovescia si può dire questo ed essere presi sul serio. Se non si tratta di una subdola trovata per spingere tutti a diventare sbirri del proprio vicino, prima ancora che di se stessi, allora quelle due parole non possono realmente stare insieme: responsabilità collettiva significa merito collettivo o colpa collettiva, ma se il merito o la colpa sono di tutti allora non lo sono di nessuno. Possono essere tutti eroi o tutti vigliacchi? La popolazione civile di Londra durante la seconda guerra mondiale è stata definita eroica nella resistenza ai bombardamenti tedeschi, ma avevano una qualche scelta per cui hanno preso la decisione eroica?Quanto c’è di responsabilità nel seguire pedissequamente i dettami di chi è gerarchicamente superiore? Quanto c’è di eroico nel vivere in una campana di vetro? Si può definire vita quella passata in un enorme laboratorio come una cavia?

Se si è arrivati al punto di avere così tanta paura di morire da rinunciare a vivere, allora, visto che la morte è faccenda che attiene a tutti coloro che nascono, è meglio evitare di nascere per non ritrovarsi nella società della morte, perché fintanto che il mio bene verrà deciso da qualcuno differente da me l’equazione permane:

“altri” x “il mio bene” = 0

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Per il mio bene

E io dico no

Io dico NO ai miasmi e ai marasmi e a tutto
   ciò che striscia e scivola e si decompone.
   Io dico NO alle parole di burro con tutti
   gli onori, premi dei premi, medaglie,
   promozioni, nomenclature, carriere varie
   e di sabbia. Dico NO ai panzoni piedi di
   porco, agli archivolti, a codati e portali, a
   giarrettiere e reggicalze e collant integrali.
   E dico NO all’ingrosso, al dettaglio, alle
   tariffe, ai clienti, al debito, al credito, alle
   fatture e allo sconto. Dico No a tutto ciò
   che si sottrae clandestinamente alla follia
   naturale. Dico NO alla cenere, allo strutto e
   alla cotenna e alla colla e al lardo e all’ano
   e agli scoli-escrementi e alle carneficine di
   animali innocenti. Dico NO al cortile, all’Alta
   Corte, ai bombici, alle bombature. Dico NO
   ai concubinaggi e ai matrimoni e alle leggi
   contro i trigami, agli adulteri in babbucce,
   con mutande troppo strette per le gravide.
Dico NO agli sguardi sfuggenti e alle bocche
   suggenti.
Dico NO alle strategie amorose, alle ogive
   nucleari, ai missili e ai razzi mortuari. Dico
   NO ai duplicati. Dico NO allo Stato.
Cultura o spazzatura? Sono contro. Dico NO
   alle manie cerebrali, ai volti distolti, ai fiumi
   prosciugati.
Dico NO agli scuoiatori, ai procuratori, ai
   professori, ai computer, ai musei e alle
   greppie. C’è un SI’ per il NO. C’è poesia e
   poesia. C’è acqua minerale e acqua minerale.
   Ci sono cerimonie. C’è totale confusione.
   C’è puzza di bruciato. C’è follia.
Poeta maledetto dal mondo, cammino su
   questa terra, sulla mia terra, umiliata,
   mutilata, condannata, e le mie gambe
   tremano di spavento.
Paul Valet (Georges Schwartz) dalla raccolta Vertiges, 1987
Pubblicato in General | Commenti disabilitati su E io dico no

Edizioni La Fiaccola: nuovi arrivi

  • Augusto Agabiti, Ipazia. La prima martire della libertà di pensiero, 2006, pag. 45, € 4
  • David Bernardini, Il barometro degna tempesta. Le Schiere Nere contro il nazismo, 2014, pag. 76, € 5
  • Paolo Finzi, La nota persona. Errico Malatesta in Italia. Dicembre 1919 – luglio 1920, 2008, pag. 270, € 18 (allegato dvd con un filmato della manifestazione del Primo Maggio 1920 a Savona)
  • Pamela Galassi, La donna più pericolosa d’America. Il femminismo anarchico nella vita e nel pensiero di Emma Goldman, 2014, pag. 113, € 12
  • Vittorio Giorgini, Le religioni plagiano, 2004, pag. 54, € 4
  • Emma Goldman, Amore emancipazione. Tre saggi sulla questione della donna, 1976, pag. 61, € 4
  • Thierry Guilabert, Le veridiche avventure di Jean Meslier (1664-1729). Curato, ateo e rivoluzionario, 2013, pag. 158, € 13Lorenzo Micheli, Una comunità proletaria. Barcellona 1931-1936, 2018, pag. 89, € 10
  • Petr Kropotkin, Ai giovani, 1997, pag. 39, € 4
  • Petr Kropotkin, La morale anarchica, 2017, pag. 63, € 4
  • Errico Malatesta, Fra contadini. Dialogo sull’anarchia, 1972, pag. 55, € 4
  • Errico Malatesta, L’anarchia & Il nostro programma, 2014, pag. 76, € 5
  • Errico Malatesta /Francesco Saverio Merlino, Anarchismo e democrazia. Soluzione anarchica e soluzione democratica del problema della libertà in una società socialista, 2015, pag. 190, € 8
  • Cipriano Mera, La rivoluzione armata in Spagna. Memorie di un anarco-sindacalista, 1978, pag. 496, € 16
  • Giuseppe Rensi, Apologia dell’ateismo, 2012, pag. 80, € 6
  • Sergio Rossi, Venga un giorno meraviglioso come oggi. Il Movimento 2 Giugno e la lotta armata nella Germania Federale 1972-1980, 2009, pag. 173, € 12
  • Anne Sizaire, Louise Michel. La «viro major». Breve storia (1830-1905), 2012, pag. 76, € 5
  • Andrea Staid, Gli Arditi del popolo. La prima lotta armata contro il fascismo 1921-1922, 2017, pag. 81, € 5
  • Alberto Toninello, Sindacalismo rivoluzionario, anarco-sindacalismo, anarchismo. Marxismo e anarchismo a confronto sul terreno dei fatti, 1978, pag. 85, € 4
  • Oscar Wilde, L’individuo nella società socialista, 2006, pag. 61, € 5
Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Edizioni La Fiaccola: nuovi arrivi

… e ancora, in Biblioteca…

  • Silvia Federici, Genere e Capitale. Per una lettura femminista di Marx, ed. Derive Approdi, 2020, pag. 104;
  • Umberto Eco, Migrazioni e intolleranza, ed. La Repubblica, 2020, pag. 45;
  • Marc Tibaldi (a cura di), Giorgio Bertani editore ribelle + dvd Verona city lights, ed. Milieu, 2020, pag. 143;
  • Veronika Bennholdt-Thomsen, Il denaro o la vita. Cosa ci rende veramente ricchi, ed. Asterios, 2020, pag. 62;
  • Daniela Danna, Sesso e genere, ed. Asterios, 2020, pag. 46;
  • Valerie Solanas, S.C.U.M. Manifesto per l’eliminazione dei maschi, ed. SE, 2016, pag. 68;
  • Morton Deutsch / Robert M. Krauss, La psicologia sociale contemporanea, ed. Il Mulino, 1976, pag. 313;
  • Luciano M. Consoli, Appunti per una rivoluzione morale, ed. La Fiaccola, 1971, pag. 56;
  • Ahmad Sa’dat, L’eco delle catene. La detenzione dei prigionieri politici nelle carceri israeliane, ed. Clandestine, 2020, pag. 172;
  • Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, ed. Pgreco, 2012, pag. XVI + 608
Pubblicato in General | Commenti disabilitati su … e ancora, in Biblioteca…