CONTRO TAP AGITIAMO L’IMMAGINAZIONE

Bloccare Tap non ci basta. Ciò che vogliamo è molto di più. Autogestire i nostri bisogni e i nostri spazi. Farla finita con chi produce profitto, devastazione e sfruttamento. Opporsi radicalmente a chi tutto questo lo impone. In poche parole farla finita con lo Stato e l’Economia.

Costretti nella nostra quotidianità, dalla culla alla bara, trascorriamo la nostra vita incatenati ad un bisogno di sopravvivenza e ad un ordine che irreggimenta. A tutto questo si aggiunge il ricatto e la paura. Infranto il sogno del lavoro che nobilita, la socialità è stata cancellata; il benessere acquisito si è allontanato sempre più e il desiderio delle merci ha reso schiavi di un mondo senza vita. Resta l’incertezza e la paura del diverso, di chi fanno credere essere il nostro nemico, così da distogliere da coloro che giocano a risiko sulle mappe dei luoghi che abitiamo. Si chiamano governi, si chiamano multinazionali e hanno dichiarato guerra a tutti gli esseri viventi, sé stessi esclusi.

E allora a noi non resta che l’immaginazione. Di una vita priva di autorità, di controllo, di sfruttamento, di gabbie. E l’immaginazione, se la si sperimenta, mette in risalto i sensi e fa prendere gusto. Vogliamo assaggiare, vogliamo provare, vogliamo incidere.

Bloccare Tap quindi per rompere molto altro. Per sottrarre linfa a chi vuole continuare a depredare risorse a questo mondo al fine di continuare a produrre merci e scatenare guerre.

Bloccare Tap per ricominciare a organizzarsi da sé e riappropriarsi dei saperi e del tempo.

Bloccare Tap perché siamo individui, unici, singolari, pensanti, consapevoli e vogliamo decidere della nostra esistenza.

Se ci costringessimo sotto un’unica bandiera, un unico slogan, un unico movimento la nostra battaglia sarebbe già stata tradita.

Bloccare Tap perché ciò che ci preme, ci ruba il sonno, ci spinge a lottare, in questa come in altre occasioni, in fondo è sempre lo stesso desiderio di libertà.

Nemici di Tap

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COMUNICATO

Poche sono le certezze nella vita. A parte la morte, per gli anarchici c’è quella di essere costantemente monitorati, spiati, videosorvegliati ed ascoltati. Partendo da questa certezza, ci si comporta di conseguenza, adottando tutte le misure necessarie. Ma ci sono momenti in cui si nota qualcosa di più strano, e si decide di andare più a fondo, per dare concretezza alle proprie certezze. Ecco perché una sera abbiamo deciso di dare una controllata, piuttosto superficiale, alle stanze della nostra sede anarchica, ed abbiamo rinvenuto quella che ha tutta l’aria di essere una microspia, all’interno di una presa elettrica, sebbene non fosse collegata alla rete. Il suo funzionamento preciso non ci è chiaro: o conteneva una scheda sim tramite cui i curiosi potevano mettersi in collegamento ed ascoltare i discorsi di qualcun altro, oppure una batteria di alimentazione. Su una estremità era leggibile la sigla ABG. In allegato le foto dell’oggetto in questione.

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Lettera aperta al dr. Giuseppe Serravezza

Egregio Dottor Serravezza [*],

questa nostra non è una lettera per elogiarLa, ma siamo certi che vorrà scusarci e capirà, avendo già schiere di ammiratori ed essendo riuscito a conquistare ulteriori simpatie per il suo impegno contro il gasdotto Tap che si vorrebbe realizzare nel Salento.

In effetti è proprio in merito a questo suo impegno che abbiamo deciso di scriverLe, ed in particolare in riferimento ad un Suo appello pubblico, in cui chiedeva a tutti i partiti e movimenti – da Casapound agli anarchici – di fare un piccolo passo indietro, nel nome di una battaglia comune contro Tap. Ora, a parte il fatto che in una lotta i passi da fare sono, secondo noi, sempre in avanti e mai indietro, la questione è anche un’altra, ben più importante. Perché a nostro avviso la lotta contro Tap non è, come Lei afferma, una lotta per la salvezza del territorio, dell’ambiente e della salute delle persone, bensì una lotta di libertà e per la libertà, e come tale non può essere portata avanti con coloro che della libertà sono nemici, come i fascisti di Casapound che Lei forse ammira e con i quali si è già trovato a collaborare in pubbliche iniziative, e come i democratici che Lei stesso rappresenta.

Vede, Dottore, i fascisti saranno anche disponibili a manifestare per la difesa dell’ambiente e del territorio, nel nome della loro lurida ideologia fondata su «sangue e suolo», ma si tratta delle stesse spregevoli persone che inneggiano all’eliminazione del diverso, alla caccia all’«uomo di colore», alle guerre nel nome di una presunta superiorità occidentale… Lei è disposto ad accettare tutto questo? Lei crede che le cose possano essere separate e si possano portare avanti delle lotte dividendole in compartimenti stagni? Noi crediamo di no.

Noi crediamo anzi che il suo pensiero, caro Dottore, sia dannoso, perché affermando che la lotta contro Tap è una lotta per la difesa del territorio, dell’ambiente e della salute, spalanca le porte ai fascisti che forse saranno suoi amici, ma di cui noi siamo irriducibili nemici.

Non solo; Lei spalanca la porta ad altri – come Lei – eminenti scienziati, che confutano le sue tesi sulla cancerogenicità delle emissioni del gasdotto, avallandone di fatto la costruzione. Lei ha permesso, caro Dottore, con i suoi scioperi della fame e della sete, il riaffermarsi della politica all’interno della protesta, una politica che era stata scavalcata dalla rabbia spontanea di centinaia di persone comuni; lo ha permesso incontrando sindaci, governatore di Puglia ed esponenti di Governo coi quali ha dialogato amorevolmente. Lei ha espresso l’idea di spostare altrove l’approdo del gasdotto, intendendo quindi devastare in un altro luogo il territorio e l’ambiente, e compromettere la salute di altre persone un po’ più in là. Lei, caro Dottore, ha assunto in una parola il ruolo del recuperatore, provando a mediare con la politica ciò che per noi non è mediabile: la nostra libertà.

Una libertà che non andrebbe sminuita e contenuta, bensì difesa e aumentata; una libertà che affonda le sue radici nei motivi profondi per cui opporsi al gasdotto, ad un’opera di colonialismo energetico che non si limita solo a devastare il giardino fuori dalle nostre case, ma è causa ed effetto di guerre sparse in giro per il mondo con tutto il loro corollario di morti, devastazioni, esodo di milioni di persone, annegamenti nei mari…

Opporsi al gasdotto Tap, egregio Dottore, significa volersi opporre a tutto ciò, e significa anche volersi opporre agli Stati che queste condizioni creano ed alimentano, agli Stati che impongono e difendono, manu militari, opere come Tap. Agli Stati che, proprio come i fascisti, sono nemici della libertà.

Per questo, caro Dottor Serravezza, se vuole collabori pure coi fascisti e con la politica, ma lo faccia sempre a titolo strettamente personale, e sia anche disposto ad affrontarne le conseguenze. Ad alcuni può anche bastare l’autorevolezza o il digiuno di un uomo per considerarlo proprio complice.

A noi no.

Cordiali saluti,

Nemici di Tap

[volantino distribuito a Melendugno in occasione di una iniziativa organizzata da Lega Italiana Lotta Tumori, Comitato No Tap e Terra Mia]

* Giuseppe Serravezza, oncologo, responsabile scientifico della LILT di Lecce, salito alla ribalta delle cronache per lo sciopero della fame e della sete intrapreso in segno di protesta contro la costruzione del gasdotto Tap.

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Autorganizziamoci contro Tap

Vorremmo dar vita a un momento assembleare e d’incontro settimanale per confrontarsi, discutere e organizzare iniziative concrete contro Tap e contro le nocività che stanno soffocando le nostre esistenze. Tap è solo l’ultima in ordine di arrivo ma l’elenco è purtroppo lungo.

Di sicuro c’è la voglia e la necessità di dirci contro poiché non ne possiamo più di vedere la natura devastata e sfruttata e non ne possiamo più di assistere a guerre per il gas e per l’energia. Non possiamo più sopportare morti in mare e sulla terra, in fuga dalla guerra o dalla miseria. Non abbiamo bisogno di più merci e nuovi dispositivi di controllo ma abbiamo bisogno di più dignità e libertà.

Ognuno a suo modo, ognuno secondo la sua sensibilità ma con l’unico obiettivo di non far passare Tap e tutto il modello economico e sociale che rappresenta.

Non in qualsiasi modo però. Vogliamo costruire uno spazio d’incontro autorganizzato e orizzontale, fuori dalle istituzioni, anche le più basse nel gradino della rappresentanza che fanno comunque parte (e ne devono rispettare i limiti) di uno Stato che si è schierato a fianco di Tap e ne è una sua costola.

Lontani mille miglia da autoritari di ogni risma che dividono il mondo in categorie da selezionare o da escludere (fascisti in primis) vogliamo agire in prima persona senza portavoce o rappresentanti vari.

Fuori da una logica mediatica per cui ciò che importa è ciò che dicono giornali e televisioni o addirittura Tap. Ciò che ci preme è relazionarci con esseri umani in carne ed ossa, parlarsi e agire insieme laddove è possibile.

Vogliamo essere uniti da un obiettivo comune senza dover rinunciare alle nostre differenze, alle nostre idee, alle nostre sensibilità, alle nostre pratiche. Ciò che ci incuriosisce in questo mondo è la pluralità e non l’omologazione.

Pensiamo che Tap non si trovi solo presso il cantiere di Melendugno ma che sempre più sarà ramificata in tutto il Salento e in tutto il mondo, avendo stretto contratti e collaborazioni con numerose ditte locali e non. Diffondere quindi un’opposizione e contrastare Tap ovunque si trovi, pensiamo possa essere una delle strade utili da perseguire senza perdere di vista ciò che accade nei luoghi maggiormente interessati dalla costruzione del gasdotto.

Non resta che incontrarsi e sperimentare.

Proponiamo una prima iniziativa per

Venerdì 19 maggio ore 21, area cantiere Tap

Proiezione di “La messa delle cinque”

Film-documentario su una lotta antinucleare in Francia

CONTROTAP 1

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LA GUERRA IN CASA

“Noi dobbiamo sgomberare l’area in ogni modo”. Queste le parole di un dirigente di polizia soprannominato “sicario”, di fronte a dei manifestanti seduti per terra che tentano di impedire ai camion di una subappaltata di Tap di uscire dal cantiere e portare via degli alberi d’ulivo, preludio di un inizio dei lavori per la realizzazione del gasdotto sulla sponda italiana. In questi giorni il vero volto dello Stato lo stanno conoscendo in tanti: manifestanti, singoli, addirittura sindaci con le fasce tricolori. Lo Stato, il suo Governo e il suo Parlamento passano sopra tutti quanti, non risparmiano proprio nessuno: la terra, gli alberi, le persone, le idee, il cuore, i corpi. Ciò che importa è tutelare la multinazionale Tap, di cui anche lo Stato italiano è parte, tramite Saipem e Snam, e consentirle di eseguire i lavori utili a costruire un’opera che nel Salento nessuno vuole e per le più svariate ragioni. E così lo Stato e lEconomia fanno vedere che cosa vuol dire essere in guerra, agire contro le popolazioni e i territori, ed è ciò che accade in ogni parte del mondo laddove gli interessi economici, il denaro, il profitto, lo sfruttamento delle risorse, della natura e delle persone sono la quotidianità.

In questi giorni ci sentiamo più vicini all’Iraq, all’Afghanistan, all’Azerbaijan, alla Nigeria, al North Dakota dove le risorse vengono depredate e i luoghi colonizzati. Ed è questo che è diventato il Salento ormai da decenni. Le nocività ambientali si aggiungono una a una, dall’affare Xylella che vuole favorire la trasformazione dell’agricoltura tradizionale in industriale, alle cosiddette energie rinnovabili, passando per Ilva e Cerano fino ai rifiuti tossici interrati da decenni nelle campagne salentine. Ora si aggiunge il gasdotto Tap il cui responsabile per la sicurezza, presente nel cantiere, è un contractor, un ex parà al soldo delle multinazionali in giro per il mondo. Un altro pezzo di guerra che ci deve far aprire gli occhi. L’autodeterminazione e la rabbia dimostrata in questi giorni da tanti individui che tentano di bloccare i mezzi di Tap, accerchiati da centinaia di uomini di forze di polizia, per impedire di espiantare gli alberi è una delle risposte che si potevano mettere in campo. Insieme al forte vento di tramontana, anche aneliti di vita e di sogno continuano a soffiare e le scintille attizzano il fuoco. No Tap no Stato no Capitalismo.

Nemici di Tap

 Volantino diffuso a Lecce durante una manifestazione no tap     2/4/2017

la guerra in casa pdf

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NATURA MORTA – PROIEZIONE

Dalla questione Xylella e il disseccamento degli ulivi in Puglia alla questione Tap e il gasdotto che si vorrebbe far passare dal Salento partendo dall’Azerbaigian, ci troviamo costantemente a dover fare i conti con i piani del potere sulle nostre teste e quelle di chi abita i luoghi interessati. Un po’ in sordina dopo il terrorismo mediatico di due anni fa, continua a prendere forma l’affare Xylella con il tentativo di sostituire un modello di agricoltura industriale e largo uso di pesticidi ad un modello di agricoltura tradizionale. Dall’altra parte con il gasdotto Tap si vuole trasportare metano per far fronte alla crescente sete di energia e di merci e alla necessità di un sistema economico e sociale di riprodurre se stesso. Progetti che vengono ovviamente imposti e che nessun tavolo di concertazione democratico potrà fermare poiché le istituzioni e l’economia sul piatto della bilancia siedono dalla stessa parte. Vorremmo fare il punto su queste nocività e capire come diffondere un’opposizione che al di fuori della politica di ogni tipo, tenti di mettere i bastoni tra le ruote a chi considera luoghi e persone numeri da contabilizzare. Il gasdotto Tap è ormai presente nel Salento e le varie ditte incaricate lavorano silenziosamente alla sua realizzazione. Le cose da fare non mancano, le cose da dirsi neppure.

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CERTI GESTI PARLANO DA SOLI!

Pensare che il Fascismo sia ormai il passato può essere un errore grossolano se si guarda invece all’espandersi di gruppi neofascisti e neo xenofobi che alimentano e soffiano sulla paura nei confronti del diverso e dello straniero.

Sostenuti in questo dai media che, quotidianamente, colonizzano le menti, associando ai problemi di casa e lavoro le questioni riguardanti l’immigrazione e facendo passare l’idea che la causa di tutto siano proprio gli stranieri. Omettono naturalmente di dire che il problema sono coloro che innalzano muri e frontiere e sfruttano e devastano in giro per il mondo. E per far ciò non si fanno problemi di razza o di lingua, poiché l’unica che riconoscono è quella del denaro e del profitto.

Utili pedine a fomentare la guerra tra poveri, i neofascisti appartenenti a gruppi vari, Casapound o Forza Nuova, continuano a parlare di cadaveri: patria, identità, razza, suolo, proponendo modelli autoritari e gerarchici. Niente di più insopportabile e vetusto, se non fosse che tali concetti servono appunto all’Economia e alla politica che l’amministra per alimentare paura e terrore. A quanto pare alcuni di questi neofascisti, locali e non, se ne andavano in giro, quest’estate, per le strade di Lecce, molestando ragazze, sentendosi in branco maschi e virili, terrorizzando chi portava una maglietta di sinistra o chi, straniero, dormiva su una panchina e cercando in giro, i nemici dei fascisti.

E a quanto pare i nemici dei fascisti si sono presentati!

Come sempre accade, subito dopo è intervenuta la repressione e ha avuto la meglio, riuscendo a trasformare in docili agnellini quei neofascisti che tentavano di incutere paura e terrore in strada.

La repressione ha toccato anche gli antifascisti con misure cautelari che vietano la permanenza in città.

Poiché il nostro assillo è la libertà, non possiamo che dirci ancora una volta contro il fascismo ed esprimere la nostra solidarietà a chi resiste e si batte contro esso e per questo subisce la repressione; ma poiché il nostro assillo è anche l’etica, il nostro disprezzo va a chi infama gli altri, a qualsiasi colore appartenga.

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Democrazia o libertà!

Molto spesso si sente dire in giro: “Questa non è Democrazia!”.

Eppure, dalle guerre allo sfruttamento dei territori, fino allo spossessamento di milioni di individui nel mondo, sembra che tutto venga realizzato grazie anche alle regole democratiche che si adattano o si conformano alle necessità di cui l’Economia, di volta in volta ha bisogno. Prendiamo l’esempio dei diritti umani. Senza fare digressioni storiche o filosofiche che ci porterebbero a parlare, inevitabilmente, di inclusione ed esclusione, e prendendo per buona la loro essenza, essi – si dice a ragione – vengono calpestati in Paesi come Turchia o Israele che rappresentano delle perfette democrazie. Funge da esempio la più grande democrazia del mondo, gli USA dove, periodicamente, i neri vengono assassinati in strada dalla polizia. Fino ad arrivare all’elenco lunghissimo dei morti ammazzati nel Bel Paese per mano, anche qui, delle forze dell’ordine.

Certo, sono argomenti facili se vogliamo, ma il problema è che questi episodi non sono affatto errori o eccezioni opera di mele marce, sono parte intrinseca di un sistema di diritto in cui coloro che hanno il potere hanno il monopolio della violenza e governano sul resto dei sudditi, imponendo loro qualsiasi decisione: economica, ambientale, militare, sociale ecc.

La farsa della partecipazione serve solo a consolidare il sistema.

Altre volte capita di sentire: “Questa non è Democrazia, ma Fascismo”. In effetti un controllo sempre più asfissiante, un azzeramento delle conoscenze e delle esperienze e una rappresentazione che sempre più si sostituisce alla realtà, sembra paventare un totalitarismo altrettanto insidioso e invadente. Eppure il Fascismo, almeno in Italia, lo si è conosciuto per quello che era: un regime autoritario, gerarchico e monopolizzante che non consentiva alcuno spazio al di fuori di esso e reprimeva il dissenso con la censura, la tortura e la morte. Le similitudini possono anche farsi, ma è bene considerare anche le differenze e grazie a ciò riconoscere coloro che, come i gruppi neo fascisti, vorrebbero ritornare a quell’epoca. Ad un certo punto, molti anni fa in Italia, alcuni decisero che quel monopolio della violenza doveva cessare e impugnarono le armi contro il regime fascista. E ciò avvenne da subito e oltre la fine di quell’esperienza. Proclamata la Repubblica, molti partigiani rimasero in carcere anche alcuni decenni oltre la fine della guerra, mentre tutti i fascisti vennero liberati e tornarono a riprendere il posto che avevano occupato prima. La Costituzione che si dice nata dalla Resistenza, non ha difeso allora coloro che si erano battuti per eliminare la sopraffazione fascista; non è servita poi quando lo Stato ha messo le bombe sui treni e nelle piazze, non ha funzionato quando l’Italia è andata in giro per il mondo a esportare guerra e democrazia con torture e massacri come in Libia, non serve oggi, quando il Mediterraneo si riempie di morti. Il Si al Referendum vorrebbe accentrare il potere in mano al governo e rendere più difficile la partecipazione di altri poteri, il No vorrebbe difendere o aumentare la Democrazia.

Ma per aumentare la libertà non servono né l’uno né l’altro.

Serve l’autodeterminazione a spazzare via questo modello da sempre iniquo e totalizzante.

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CONTRO LE GUERRE, CONTRO LE FRONTIERE

L’esercito combatte”, è il titolo delle giornate in ricordo della prima guerra mondiale che partono da Lecce il 21 maggio per spostarsi poi in altre città italiane.

Questo ennesimo tentativo di presentare guerra, soldati e armi da guerra come innocui e tutto sommato divertenti, impressiona e disturba profondamente.

La prima guerra mondiale che si intende ricordare è stata un massacro terrificante di generazioni intere di cui non c’è davvero nulla da esaltare, anzi, l’unico suggerimento che può dare è quanto faccia schifo combattere per la patria e quanto la patria, o l’economia ai nostri tempi, consideri meri numeri coloro che manda al fronte e mere variabili le conseguenze che possono derivare: case, ospedali, civili bombardati: i cosiddetti effetti collaterali. Oggi le guerre sono sempre più tecnologiche, ma allo stesso modo producono morti e distruzione. Non esiste alcun valore positivo da attribuire ad una macchina di morte o ad un soldato: sono solo strumenti nelle mani di chi intende accaparrarsi risorse, gestire un’area nel mondo, accrescere la propria egemonia. La patria e il nazionalismo sono, a volte, gli appigli ideologici per far nascere conflitti. Ma è di fatto l’Economia a utilizzare la guerra come mezzo di ristrutturazione o profitto. Se il crescente nazionalismo dei primi del Novecento ha portato ad una guerra mondiale, tragica e sanguinosa, oggi, allo stesso modo, si innalzano muri e barriere e si militarizzano le frontiere. La guerra dichiarata è contro i più poveri, gli erranti, coloro per i quali l’Economia e gli Stati hanno deciso che non esiste più un posto nel mondo.

Le giornate come quelle in programma vogliono insinuare la normalità della presenza militare, nelle città come nelle strade. Una logica militare gerarchica e oppressiva viene presentata come un modello eroico da ammirare. Si diffonde l’idea che il mestiere del soldato non sia fare la guerra, e quindi ammazzare, ma aiutare la gente. Un aiuto che si è potuto vedere all’opera sempre più spesso, dalle torture e gli stupri in Somalia nel ’93, alle sevizie ad Abu Ghraib, all’“annichilimento” di Falluja, dove si massacravano uomini e donne ridendo e divertendosi. E mentre si prepara un’imminente operazione in Libia, cercano di far passare il messaggio che questa sia indispensabile per combattere lo Stato Islamico che commette attentati in Europa. Ma quegli attentati e quei morti sono il frutto di un ennesimo esercito e di un ennesimo Stato – seppure islamici –, oltreché l’effetto nefasto di una guerra che torna indietro; la conseguenza velenosa delle innumerevoli guerre che l’Occidente ha combattuto in tutto il mondo nell’ultimo quarto di secolo, fomentando l’odio nel cuore di molti che le hanno subite.

Disertare questo genere di manifestazioni è il primo passo per disertare una mentalità militarista che sempre più vogliono inculcarci, per tornare a gridare con forza: soldati assassini, guerre infami.

                                           Antimilitaristi

(Volantino diffuso a Lecce)

Contro le guerre pdf

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IL DISORDINE DEI SOGNI

Lo cantavano, secondo le belle parole di Fabrizio De André, gli insorti del Maggio francese, e con essi una intera generazione, composta da individui che affermavano “siamo realisti, chiediamo l’impossibile”, che “non chiedevano niente, volevano tutto”, e che avevano capito che “non si può ragionare liberamente all’ombra di una chiesa”.

Per alcuni sono cose lontane, passate, consegnate allo sguardo rivolto all’indietro degli storici o agli scaffali ammuffiti dell’Accademia. Ma non per tutti. A quasi cinquant’anni di distanza c’è ancora chi ha voglia di cantare il Disordine dei sogni.

Biblioteca Anarchica Disordine è il nome che abbiamo deciso di dare ad uno stabile che abbiamo occupato in via delle Giravolte, 19 a Lecce, di proprietà della Chiesa.

Biblioteca, perché vi troveranno sede volumi del movimento anarchico internazionale e di movimenti di lotta in generale; crediamo ancora che in un mondo dominato da idee virtuali, espressione di una vita senza vita consumata davanti agli schermi alla ricerca di “amici” mai visti e conosciuti e nella spasmodica ricerca di un numero sempre maggiore di “Mi piace”, nei volumi strappati alla polvere sia ancora possibile trovare i germi di un’idea che faccia battere i cuori e uno stimolo alla voglia di cambiare il mondo.

Anarchica, perché in questa Idea vediamo la prospettiva per la realizzazione di quel Disordine così urgente da riportare alla luce, e perché le idee contenute in quei volumi non restino solo nei cuori di chi legge, ma si rovescino nell’azione quotidiana, secondo il principio anarchico che teoria e azione non debbano mai essere separate.

Disordine, perché non è questo a farci paura, ma il suo opposto. Quell’Ordine quotidiano fatto di polizia, regole, imposizioni, leggi, politica. Un Disordine che esprima la vita contro un Ordine mortifero fatto di guerre, massacri, frontiere, economia. Un Disordine vitale fatto di gioia, lotta, rivolta contro un Ordine annichilente fatto di lavoro, consumo, divertimento imposto in un tempo libero mercificato.

Uno spazio in cui discussione, approfondimento e critica servano ad affilare le armi per tentare la scalata dei propri sogni, lontano da ogni forma di autorità e di gerarchia.

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