Nuovi inserimenti in Biblioteca

  • Ugo Fedeli, Giuseppe Ciancabilla, Autoproduzione Cassa Anti-repressione, s. l., 2022, pp. 82;
  • Dizionario biografico degli anarchici italiani. Volume primo A – G, ed. BFS, Pisa, 2003, pp. XXII + 790;
  • Dizionario biografico degli anarchici italiani. Volume secondo I – Z, ed. BFS, Pisa, 2004, pp. 804;
  • Giorgio Antonucci, Il pregiudizio psichiatrico, ed. Elèuthera, Milano, 2020, pp. 175;
  • Lorenzo Pezzica, Le magnifiche ribelli 1917-1921, ed. Elèuthera, Milano, 2017, pp. 199;
  • Elisée Reclus, Storia di un ruscello, ed. Elèuthera, Milano, 2020, pp. 246;
  • Elisée Reclus, Natura e società. Scritti di geografia sovversiva, ed. Elèuthera, Milano, 2022, pp. 351;
  • Claudio Venza, Anarchia e potere nella guerra civile spagnola (1936-1939), ed. Elèuthera, Milano, 2016, pp. 186;
  • Carlo Capuano, Ecclesia, ed. La Fiaccola, Ragusa, 1990, pp. 78;
  • Alete Dal Canto, Le imposture del prete, ed. La Fiaccola, Ragusa, 1988, pp. 229;
  • Mimmo Franzinelli, Ateismo laicismo anticlericalismo. Guida bibliografica ragionata al libero pensiero ed alla concezione materialistica della storia. Vol. II. Da Cristo a Wojtyla. Contributi per una storia eterodossa della Chiesa, ed. La Fiaccola, Ragusa, 1992, pp. 223;
  • Mimmo Franzinelli, Ateismo laicismo anticlericalismo. Guida bibliografica ragionata al libero pensiero ed alla concezione materialistica della storia. Vol. III. L’intolleranza religiosa e le sue vittime, ed. La Fiaccola, Ragusa, 1994, pp. 202;
  • Nestor Makhno, La rivoluzione russa in Ucraina. Marzo 1917 – Aprile 1918, ed. La Fiaccola, Ragusa, 2022, pp. 242;
  • Errico Malatesta, Opere complete vol. VII. “fronte unico proletario”. Il biennio rosso, Umanità Nova e il fascismo 1919-1923, ed. La Fiaccola / Zero in condotta, Ragusa / Milano, 2021, pp. XXXIII + 713;
  • Carmelo R. Viola, Referendum contro il divorzio premeditato vilipendio all’uomo, ed. La Fiaccola, Ragusa, 1973, pp. 85;
  • Francesco Gaudioso, Calabria ribelle. Brigantaggio e sistemi repressivi nel Cosentino (1860-1870), ed. Franco Angeli, Milano, 1996, pp. 155;
  • George Orwell, Una boccata d’aria, ed. Liberamente, s. l., 2021, pp. 303;
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ADORO IL SOGNO

BREVE RASSEGNA DI FILM DI BUÑUEL

Nessuno di noi manchi alla propria baldoria;
lasciamo dovunque i segni del nostro piacere,
perché è questa la nostra porzione
e parte di eredità.

Lunedì 7 novembre ore 19, IL FASCINO DISCRETO DELLA BORGHESIA, 1972

Caustica e divertentissima satira della società borghese e delle sue molteplici ipocrisie.

Lunedì 14 novembre ore 19, LA VIA LATTEA, 1968

Il surrealismo del regista prende il massimo della forma in questa sarcastica scorribanda attraverso le eresie, tra fede e idea, potere e libertà.

Lunedì 21 novembre ore 19, IL FANTASMA DELLA LIBERTA’, 1974

Fatti paradossali, assurdi che invitano al rovesciamento del senso, che sia buonsenso o senso comune.

Questa rassegna è dedicata a Daniele, amico e compagno, nel senso più fraterno
del termine, con cui abbiamo condiviso chiacchiere e risate, approfondimenti
e scambi, interessi e suggerimenti, stimoli e passioni.
Daniele se ne è andato così, come chi si allontana fino a svanire dalla vista, ma con
lo sguardo rivolto indietro, un sorriso rassicurante e un tenero saluto.
Indipendente e provocatorio, profondo e visionario, non gli era sfuggita l’importanza dell’opera di Buñuel, regista surrealista, appassionato del sogno, dissacratore del senso comune, dell’autorità e della società per bene, narratore della ricerca della verità
che bisogna fuggire appena si crede di averla trovata, dell’implacabile
rituale sociale, della ricerca indispensabile del caso, della morale personale
e del mistero che bisogna rispettare, come egli stesso aveva affermato nella sua
autobiografia. Niente di più adatto.

BIBLIOTECA ANARCHICA DISORDINE, VIA DELLE ANIME 2/B LECCE

versione colore

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The mountain and the little mouse

At dawn on Thursday, September 29, a dozen or more policemen showed up at a comrade’s home with a search warrant for the crime of defacement, which a public prosecutor of the Lecce court had no shame in signing. Having ascertained that only the suspect was present, they decided to send the flying squad officers away to stay only six of the DIGOS, looking for clothing and spray cans. In addition to the house, they also searched his car, a moped and a house in another municipality to which the comrade had easy access. In fact, in addition to a helmet, a jacket and the latest copy of ‘Vetriolo’, which were returned to the owner at the police headquarters, they decided to seize a pair of boots and three stickers in solidarity with Alfredo Cospito, because, according to them, they were very much related to the wall writings they were investigating. This is how we begin to unravel the skein of so much investigative diligence for such a crime; a DIGOS inspector, in fact, informed the suspect that the investigation concerns the wall writings that appeared in Calimera (in the province of Lecce) on September 8 (we learn this from journalistic sources because the report says September 18) during the organized ‘week of legality’ on the occasion of the commemorations for the anniversary of the Capaci massacre, in which a Calimera citizen who was part of the escort also lost his life. The affair is beginning to make more sense: someone, irritated by the doggedness of the State towards Alfredo and perhaps indignant at the sanctification of judges and policemen, must have penned those wall writings to prevent them from sing alone their own praises. It is therefore clear that the state, with or without the government, persists in trying to make Alfredo and the infamous prison conditions to which he is subjected invisible. Having recalled him, claiming him free, during the celebrations of those events that led to the ‘temporary’ institution of the nefarious article 41 bis, must have annoyed them not a little and made them descend into ridicule.

We reiterate our utmost solidarity with Alfredo and all comrades imprisoned in various prisons around the world for love of freedom and hatred of those who deny it!

Note of “La Nemesi”: DIGOS stands for Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali, “General Investigations and Special Operations Division”, the political police. The Capaci massacre is a bombing by the Sicilian mafia that took place on May 23, 1992, on highway A29, close to the junction of Capaci, Sicily; magistrate Giovanni Falcone, his wife and three police escort agents were killed.

Published in english by: https://lanemesi.noblogs.org/post/2022/10/10/the-mountain-and-the-little-mouse-lecce-italy/]

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La montagna e il topolino

All’alba di giovedì 29 settembre una decina e più di poliziotti si sono presentati all’abitazione di un compagno con un mandato di perquisizione per il reato di imbrattamento che un pm del tribunale di Lecce non ha avuto vergogna a firmare. Accertatisi della sola presenza dell’indagato, hanno deciso di mandare via gli agenti delle volanti per rimanere solo in sei della Digos, alla ricerca di indumenti e bombolette spray. Oltre all’abitazione hanno perquisito anche l’auto, un ciclomotore e un’abitazione in un altro comune cui aveva facile accesso il compagno; il verbale di perquisizione ha avuto esito positivo. Infatti oltre ad un casco, una giacchetta e l’ultima copia di Vetriolo, che sono stati resi al proprietario in questura, hanno deciso di sequestrare un paio di anfibi e tre adesivi in solidarietà ad Alfredo Cospito, perché, a detta loro, molto inerenti alle scritte su cui indagano. Così si inizia a dipanare la matassa su tanta solerzia investigativa per cotanto reato, un ispettore della Digos, infatti, ha comunicato all’indagato che le indagini riguardano delle scritte apparse a Calimera (LE) l’8 settembre (lo si apprende da fonti giornalistiche perché il verbale dice 18 settembre) durante l’indetta “settimana della legalità” in occasione delle commemorazioni per l’anniversario della strage di Capaci, in cui perse la vita anche un calimerese che faceva parte della scorta. Comincia ad avere più senso la vicenda: qualcuno, irritato per l’accanimento dello Stato nei confronti di Alfredo e magari indignato per l’opera di santificazione di giudici e poliziotti, deve aver vergato quelle scritte per evitare che se la suonassero e cantassero da soli. È dunque evidente che lo Stato, con o senza Governo, si ostina nel cercare di rendere invisibile Alfredo e le infami condizioni detentive a cui lo sottopone. Averlo ricordato, pretendendolo libero, durante le celebrazioni di quelle vicende che portarono all’istituzione “temporanea” del nefasto articolo 41 bis, deve aver infastidito non poco e li ha fatti precipitare nel ridicolo.

Si ribadisce la massima solidarietà ad Alfredo e a tutti i compagni imprigionati nelle varie carceri del mondo per amore di libertà ed odio verso chi la nega!

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Realismo o utopia

Le informazioni e le conoscenze sullo stato di salute del pianeta di cui dispongono i Governi, certo più approfondite e allarmanti di quanto comunichino alla massa, hanno spinto il Parlamento europeo ad adottare la recente risoluzione che imporrebbe, a partire dal 2035, lo stop alla produzione di auto con motore a scoppio – benzina, diesel, metano, gpl e perfino ibride – per concentrarla esclusivamente sulle auto elettriche, nel vano tentativo di ridimensionare, o quantomeno contenere, l’inquinamento e l’innalzamento della temperatura globale della biosfera.

Subito si sono levate le dichiarazioni di giubilo dei politici della sinistra progressista, che vedono nel progresso scientifico e nell’avanzamento tecnologico la panacea di tutti i mali che scienza e tecnologia hanno causato, a cui hanno fatto da controcanto le affermazioni dell’ala più reazionaria della politica, preoccupate invece della scelta del Parlamento europeo.

Un giornale di destra, che non citiamo per decenza, è arrivato a pubblicare un articolo dal titolo tanto emblematico quanto paradossale: “Moriremo di utopia”.

Magari, verrebbe da pensare…

Se “utopia” da un punto di vista etimologico significa “non luogo”, sotto il profilo ideale rappresenta qualcosa non solo di sconosciuto, ma anche di inconoscibile, ovverosia un qualcosa verso cui tendere – la tensione utopica – ma che non si è in grado di conoscere, di immaginare e prefigurarsi. In un certo senso si tratta di una possibilità, di una salto nel buio non perché si conosce cosa si andrà ad incontrare, ma per una sorta di visione del mondo al negativo, ovvero perché si odia e si detesta ciò che già si conosce. Un’occasione aperta sul nulla, all’interno della quale tutto distruggere e tutto provare a ricostruire, abbandonando gli schemi mentali che ci hanno fino a quel punto accompagnato, per provare a realizzare i più folli e fantastici sogni da bambini che custodiamo negli angoli più reconditi del cuore.

Nel corso dei secoli milioni di uomini e donne hanno lottato per provare a realizzare questi loro sogni, per concretizzare le loro utopie, e la prospettiva di morire non li ha mai fermati, benché sapessero che nel momento in cui sceglievano di battersi, la morte sarebbe stata una possibilità reale; eppure questo li rendeva addirittura felici, audaci e coraggiosi, perché si sarebbe potuto – finalmente! – morire per l’utopia, non certo di utopia, che essendo per l’appunto un non luogo è, come tale, irraggiungibile. Un cammino senza fine, sempre perfettibile, che lascia inevitabilmente insoddisfatti e come tale spinge ad una lotta sempre maggiore; non l’eden promesso da tutte le religioni, ma la concezione e la concrezione mentale di un mondo realmente altro

La questione è quindi esattamente opposta a come la stampa vorrebbe presentarla. Non si tratta di tentare soluzioni che evitino all’umanità di finire nel baratro, bensì di stabilire tra quanto tempo essa si schianterà nel fondo di quel baratro in cui sta già precipitando.

Stiamo morendo di realismo. In esso ci sta facendo annegare un capitalismo che continua a proporre come soluzione delle toppe peggiori del buco, il cui unico modo per continuare a stare in piedi è rincorrere se stesso. Correre sempre più veloce per evitare di cadere. Ma fino a quando?

Eppure non occorre essere scienziati per capire che quando ci saranno miliardi di auto a motore elettrico sarà necessaria una quantità abnorme di energia per permetterne la circolazione, o per sapere che per costruire una sola batteria per auto elettriche occorrono le cosiddette “terre rare”, per la cui estrazione si combattono guerre, si devastano aree del mondo, si inquina e si sfrutta la manodopera dei più disgraziati nelle zone più povere del pianeta. E quanta energia, quanto carburante fossile consuma un macchinario impegnato a sventrare e scavare la Terra per estrarre queste “terre rare”? Siamo di fronte a un non-senso che solo il realismo assassino di chi crede di risolvere un problema creandone uno più grande può far finta di ignorare, demandando le soluzioni ad un futuro lontano in cui confidano che Scienza e Progresso porteranno soluzioni definitive.

Di fronte a tutto ciò, l’utopia è la sola possibilità che abbiamo. In ogni caso, meglio morire per essa che attendere stancamente lo schianto sul fondo mentre ci raccontano che volteggiamo liberi e leggeri nel cielo.

Se le fondamenta sono marce, inutile pensare di continuare a costruire piani per edificare un grattacielo, nella speranza che in alto l’aria sia più pulita. Unica possibile soluzione: abbattere l’edificio, e provare a ripartire da zero.

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Non esistono catastrofi naturali

Migliaia e migliaia di morti e dispersi, milioni di sfollati. Fino ad ora. Intere città spazzate via. Come se a colpire il Giappone non fosse stato un terremoto, ma bombe nucleari. Come se a devastare le case non fosse stato uno tsunami, ma una guerra.

In effetti, così è stato. Solo che i nemici che colpiscono così duramente non sono la terra o il mare. Questi non sono affatto strumenti della vendetta di una natura che siamo abituati a considerare ostile.

La guerra in corso ormai da secoli non è quella tra umanità e ambiente naturale, come molti vorrebbero farci credere per assicurarsi la nostra disciplina. Il nostro nemico siamo noi stessi.

Noi siamo la guerra. L’umanità è la guerra.

La natura è solo il suo principale campo di battaglia. Noi abbiamo causato le alluvioni, trasformando il clima atmosferico con la nostra attività industriale. Noi abbiamo rotto gli argini dei fiumi, cementificando il loro letto e disboscando le rive. Noi abbiamo fatto crollare i ponti, erigendoli con materiali di scarto scelti per vincere gli appalti. Noi abbiamo spazzato via interi borghi, edificando case in zone a rischio. Noi abbiamo contaminato il pianeta, costruendo centrali atomiche. Noi abbiamo allevato gli sciacalli, mirando al profitto in ogni circostanza. Noi abbiamo trascurato di prendere misure precauzionali contro simili eventi, preoccupati solo di aprire nuovi centri commerciali, nuove linee ferroviarie e metropolitane, nuovi stadi. Noi abbiamo permesso che tutto ciò avvenisse e si ripetesse, delegando ad altri le decisioni che invece riguardano la nostra vita.

Ed ora, dopo che abbiamo devastato il mondo per spostarci più velocemente, per mangiare più velocemente, per lavorare più velocemente, per guadagnare più velocemente, per guardare la Tv più velocemente, per vivere più velocemente, osiamo pure lamentarci quando scopriamo che moriamo anche più velocemente?

Non esistono catastrofi naturali, esistono solo catastrofi sociali.

Se non vogliamo continuare a rimanere vittime di terremoti imprevisti, di inondazioni eccezionali, di virus sconosciuti o quant’altro, non ci rimane che agire contro il nostro autentico nemico: il nostro modo di vita, i nostri valori, le nostre abitudini, la nostra cultura, la nostra indifferenza.

Non è alla natura che occorre urgentemente dichiarare guerra, ma a questa società e a tutte le sue istituzioni.

Se non siamo capaci di inventare un’altra esistenza e di batterci per realizzarla, prepariamoci a morire in quella che altri ci hanno destinato e imposto. E a morire in silenzio, così come abbiamo sempre vissuto.

[Testo di un manifesto affisso in Italia nel 2011]

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In viaggio

“All’orizzonte del tempo
Dove il mio sguardo si perde
Comincia la terra ardente
Degli uomini indomiti

È là che sono cresciuto
Come un albero selvaggio
Con gli occhi bagnati di lacrime
Coi pugni stretti di rabbia

Nella brutta stagione
Mi hanno staccato dal tronco

Trasformandomi in moncone”

CIAO DANIELE

Le compagne e i compagni della Biblioteca Anarchica Disordine

 

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Lo stalin

I miei, contadini, operai, che nulla inganna, né può ingannare,
m’hanno detto: «Su ogni paese c’è odor di merda;
Tutti i giorni c’è un po’ più odor di merda;
Ogni giorno si uccide un popolo per aumentare la merda;
Giorni di merda, radio di merda, manifesti di merda
Con grandi parole di merda annunciano progressi di merda;
I giudici non somministrano più che sentenze di merda;
Persino noi, lavoratori, si vuole che siamo di merda;
Tu che conosci dei nomi, facci il nome dell’inedita bestia,
La bestia più bestia che non è altro che merda,
Che si concepisce merda e non vuole essere che merda,
La bestia che si vuole merda, piedi, ventre, spalle, testa,
La bestia di merda che nella sua testa di merda ebbe questo pensiero di merda:
L’uomo viene ucciso ovunque; finalmente la merda può regnare! 
La merda, di merda in merda, vi smerderà tutti; 
tutto vi verrà tolto, cuore, anima, spirito, 
pane, vino, tutto, tranne la merda;
vedrete quel che può creare la merda; 
vedrete troni di merda e diamanti di merda; 
sapremo offrirvi festival di merda; 
tutti voi sfilerete, onoratissimi, davanti alla merda; 
quindi verrà la grande rivelazione della merda, 
la bibbia della merda: in principio fu la merda,
in mezzo fu la merda, alla fine sarà la merda, 
così ha scritto il Geova della merda».
— «Contadini, operai, miei immacolati, o meglio che niente può sporcare,
Trionfante a piene narici: “tutto è ben smerdato;
a mia immagine e mia merda, smerdo il mondo intero! 
persino i lavoratori hanno la mia merda nei loro pensieri!”
La bestia gigantesca distesa in questi palazzi,
Regnante di merda in merda nell’epoca della merda
Con specchi di merda in cui riflettere la propria merda
E dei letterati in fila per venti che cantano: “gloria alla merda!”
La gran bestia che è inizio, centro e fine della merda;
La bestia talmente merda che ogni terra ne diviene merda,
La bestia che ovunque predica: “la felicità è la mia merda!”
E che condanna l’umanità per delitto di lesa merda,
Il mostro tutto di merda, lavoratori, è lo stalin».
Lo chiamo lo stalin, perché non esiste uno Stalin:
Infatti la merda non può essere una merda;
Per poco che si sia di merda si è tutto di merda;
O si è per intero merda o non si è merda.
Incontestabilmente, è lo smerdatore delle popolazioni;
È, dita pelose, l’ipnotizzatore che inebetisce le nazioni;
È l’uccisore che esige dai suoi cadaveri: «Bisogna amarmi!»
È l’enorme insozzatore da cui ogni uomo deve lavarsi.
Se non è proclamato sole, si crede criticato;
Se non viene definito il più sapiente, uccide tutti i sapienti;
Se non viene definito grande permanente, uccide «prima», «dopo», «durante»;
Se potesse creare Dio, lo creerebbe per ucciderlo.
Se tra il popolo rimane un singolo non prono,
Questo Tartarino degli assassinii si mette a tremare:
«Buu, buu! hu! mi minacciano!
questo singolo, più è solo, più, buu buu, è il pericolo!
Buu, buu, buu! Presto! ho abbastanza eserciti?
Abbastanza duri poliziotti? un cremlino abbastanza spesso?
Letterati abbastanza ammaestrati? Buu, buu, buu, letterati,
Presto proclamate: “Allarmi, popolo! Un ultimo singolo è sfuggito!”
La caccia all’ultimo singolo nei miei stati è aperta!
Per catturare l’ultimo singolo si spostino mari e monti!
Per sloggiare l’ultimo singolo venga sfollata ogni città!
Per disgustare l’ultimo singolo vengano popolati tutti i deserti!
Attaccandolo, milioni contro uno, forse lo abbatteremo?
Se ogni luogo diventa prigione, rimarrà senza la sua prigione?
Uccidendo tutti ovunque, forse uccideremo anche lui?
Chiamandolo grande ultimo singolo, forse lo attireremo?»
Sul suo popolo rincretinito, regna come un bue
Contro ogni pensiero egli si difende, con le corna e le froge;
Rumina grossolanamente sotto la sua pelle enorme
Le sue gigantesche, pesanti, laide leggi di bue.
Quando il bue vuol muggire, ogni cervello deve fermarsi,
Ogni filosofo deve gridare: «Il bue ha detto giusto!»
Ogni lavoratore danzare: «Che fortuna avere il bue!»
Ogni povero proclamare: «Che onore avere il bue!»
Chiunque in ogni istante deve spaventarsi dinanzi al bue,
Chiedersi: «Avrò mica disturbato un pelo del bue?
O commesso delitto di essere umano sotto il regno del bue?
Ho peccato, ho peccato! Che io venga immolato subito al bue!»
Dallo sterco del bue deve ispirarsi ogni poesia;
Tutti i rutti del bue sono decretati sublimi;
Api non è parente di questo bovino divinizzato;
Tutto ciò che fa il bue è primo e ultimo.
Chiedo scusa ai buoni buoi, ai buoi veri,
Ai buoi, fratelli umani, che si vedono nei pascoli:
Non hanno fatto nulla perché l’ultimo degli ultimi
Sottouomini di questi tempi sia loro paragonato.
In verità l’ultimo singolo è già qui;
I passi che faccio, non li faccio che sui suoi passi;
Egli mi dà per annunciarlo un po’ della sua voce;
Ogni tiranno che decreta il silenzio alza la sua voce.
Nessuno può trattenerlo, nessuno può ucciderlo:
Gli assassini capi possono fare di tutto, non potranno mai
Fare in modo che lui non sia nato, inassassinabilmente nato, lui che è,
Essenzialmente, colui che gli assassinati generano.
In realtà l’ultimo singolo non è solo, egli è
L’incontro di milioni di assassinati;
Tutti i popoli massacrati giungono a popolarlo;
Più gli assassini sembrano re, più egli è re su di loro.
Ogni innocente ucciso resuscita in lui;
Ogni paese che piange è pianto venti volte nella sua carne;
Egli grida in pieno deserto: «che ogni deserto sia rifiutato!»
Sulle anime scacciate egli dice: «che nessuna anima sia abbandonata!»
Dal cielo, dai ruscelli, dai contadini, dagli operai
L’ultimo singolo viene incoraggiato nella sua opera;
Tutte le piante in segreto gli parlano;
Tutti i rami agitano in lui i loro rumori per aiutarlo.
La luna, la bianca immutabile, col suo frammento
Rubato dalla fronte di un bianco toro addormentato
Mette la sua testa sotto di lui quando diventa troppo malfermo,
Lo spinge più avanti sui suoi passi incerti.
Per tentare di cancellare lo Spirito che l’ha chiamato
Col suo vero nome, incancellabile per l’eternità,
Lo stalin ormai può agitarsi di merda in merda,
Mobilitare da un capo all’altro della terra tutte le merde,
La merda che è difesa da tutte le merde diventa più merda,
Perché questo è l’implacabile destino della merda:
Non v’è alleluia per la merda che nella merda
E la merda che si adula è la peggiore delle merde;
La merda aveva creduto che il poeta avrebbe tremato,
Perché ogni paese sudava di paura davanti alla merda,
Ogni paese in fretta e furia diventava merda
E ogni uomo consultava i maghi della merda.
Ma il poeta di fronte alla merda non ha ceduto
E di fronte al poeta è la merda che cederà;
Lo stalin che ordina: «Morte allo Spirito!» morirà,
Lo Spirito che gli trovò il suo giusto nome non morirà.
Armand Robin [1945]
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In consultazione

Un po’ di nuovi testi disponibili per la consultazione…

  • Tomasz Parczewski (Foma Jakovlevic Parcevskij), Kronstadt nella rivoluzione russa, ed. Colibrì / Candilita, 2013, pp. 311;
  • Victor Serge, Terremoti (San Juan Parangaricùtiro), ed. e/o, 2021, pp. 87;
  • AA. VV., Chi ha paura del consultorio, Editori Riuniti, 1981, pp. 148;
  • Camillo Daneo, La politica economica della ricostruzione 1945-1949, ed. Einaudi, 1975, pp. 337;
  • Oskar Panizza, L’Immacolata Concezione dei Papi, ed. L’Affranchi, 1991, pp. 157;
  • Armand Robin, La falsa parola e altri scritti, ed. L’Affranchi, 1995, pp. 169;
  • Georges Sorel, Considerazioni sulla violenza, ed. Laterza, 1974, pp. 381;
  • Marco Rossi, Il rovescio della guerra. Psichiatria militare e “terapia elettrica” durante il Primo conflitto mondiale, ed. Malamente, 2022, pp. 126;
  • Ursula K. Le Guin, I sogni si spiegano da soli. Immaginazione, utopia, femminismo, ed. Sur, 2022, pp. 249;
  • Cosimo Scarinzi, L’enigma della transizione. Conflitto sociale e progetto sovversivo, ed. Zero in condotta, 2000, pp. 103;
  • Malamente n°25. Rivista di lotta e critica del territorio, ed. Malamente, giugno 2022, pp. 108;
  • Nefasto n°1. Fanzine autoprodotta, Chiassobuio edizioni, marzo 2021, pp. 16;
  • Nefasto n°2. La fuga. Fanzine autoprodotta, Chiassobuio edizioni, giugno 2021, pp. 36;
  • Nefasto n°3. Il dubbio. Fanzine autoprodotta, Chiassobuio edizioni, settembre 2021, pp. 32;
  • Nefasto n°4. Assuefazione. Fanzine autoprodotta, Chiassobuio edizioni, dicembre 2021, pp. 32;
  • Nefasto n°5. Ostile. Fanzine autoprodotta, Chiassobuio edizioni, maggio 2022, pp. 32;
  • Nunatak n°64. Rivista di storie, culture, lotte della montagna, maggio 2022, pp. 64;
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Deportazione

Caro signore e amico,

essendo stato deportato dall’Irlanda, internato a Le Havre, trasferito da Le Havre a Rouen, da Rouen al manicomio Sainte-Anne a Parigi, dal manicomio Sainte-Anne a Parigi al manicomio di Ville-Évrard nel dipartimento della Senna al manicomio di Rodez, conosco le deportazioni, poiché la medicina si conosce con i dolori e per curare i dolori bisogna averli sofferti, e io non mi sarei azzardato a parlare della sua deportazione in Germania nel 1942, come lei stesso mi ha chiesto, se le circostanze non mi avessero posto come lei in stato di deportazione. Essere deportato è in effetti un fatto e uno stato che non studierò dal punto di vista medico o scientifico perché odio la medicina quanto la scienza, ma di cui posso parlarle come uno che ne ha lungamente e oserò dire: meticolosamente sofferto. Meticolosamente vuol dire che mi sono visto obbligato come lei a non perdere niente dei tormenti della mia deportazione, in quanto deportato, inoltre mi sono visto internato, e in effetti ho avuto il tempo in anni di pagliericci e di celle, coricato su pagliericci dentro celle, di pensare alla mia situazione di trapiantato e di esule. – Alla fine, caro Sig. Pierre Bousquet, abbiamo un corpo. (…)

Comunque sia un certo giorno lei si è visto portato via dal suo domicilio non dalla forza della bufera, del mistral, dei tornado, della burrasca, di una tempesta elettrica o dei venti altani, ma da quella specie di forza senza nome, e che ha sempre avuto soltanto le facce meschine, degli indifferenti che la rappresentano e vanno avanti solo perché sono comandati o pagati per farlo, e questa forza da altro non viene che dalla decisione unilaterale di un certo numero di furfanti in combutta che rappresentano il governo, la polizia, l’amministrazione, e nel suo caso la carenza di un esercito. – Essere buttato fuori brutalmente dal proprio paese, per essere trapiantato in un altro come una pianta per prevenire la carie è tremendo ed è tremendo essere di colpo spaesato brutalmente e per ordine di qualcuno. Tuffatore che perdesse l’asse di un paesaggio e nel paesaggio un brandello del suo corpo, come se vedesse di colpo il suo corpo passare nel paesaggio come il rullo di un caleidoscopio girevole. È un’immagine, una metafora di stilista ma che esprime una mostruosa e offensiva realtà. Il fatto è che non siamo i padroni dei nostri corpi. – I nostri padre-madre ne hanno disposto per la scuola, quando l’amministrazione non ne dispone per le carceri minorili o le case di correzione professionale, o la società per le prigioni e gli asili per alienati, poi la società ne dispone per il consiglio di leva, i preti per il “viatico” e l’estrema unzione della bara; e la società ne dispone per la guerra mentre lei rimane indietro a trafficare per il mercato nero. – Ma l’orribile della cosa, Sig. Pierre Bousquet, non è per me l’essere trapiantato, non consiste neppure nel fatto di non essere padrone di se stesso, è nell’insolito potere di questa cosa che non ha nome, e che in superficie ma in superficie soltanto si chiama società, governo, polizia, amministrazione e contro la quale non ci fu nemmeno il rimedio, nella storia, delle rivoluzioni. Perché le rivoluzioni sono sparite, ma la società, il governo, la polizia, l’amministrazione, le scuole, voglio dire le trasmissioni e i trasferimenti di credenze attraverso i totem dell’istruzione, sono sempre rimasti in piedi.

E si potrebbe credere che non ci sia nulla da fare.

Il giorno della sua deportazione in Germania, in mezzo a quella piccola angoscia che la prese per essere condotto dove non sapeva, e trasportato fuori di casa sua, si è trovato inquadrato. Passato si può dire di mano in mano da uomini che, per la parte che in quel momento a loro toccava, rappresentavano questo indefinibile potere. Che la polizia venga a sedersi davanti a lei in un caffè come a me è capitato, o che della gente al soldo del governo le fissi un appuntamento un certo giorno, anzi una certa mattina, a una certa ora, in un certo posto per condurla con sé in Germania, è uno di quegli obblighi immorali, una di quelle costrizioni, di quelle rassicuranti oppressive costrizioni contro le quali non c’è niente da fare. E ci si può chiedere da dove viene una cosa simile? (…)

Mi sono sempre chiesto cosa provoca nella storia la nostra sottomissione di individui a questa specie di coercizione disarmata, cosa fa sì che quando si mette in moto l’apparato sociale, amministrativo o poliziesco non pensiamo di primo acchito a protestare. – Ci sono certo qua e là delle rivolte, ma sempre la vecchia cornice ritorna come se fosse inteso che la rivolta c’è solo in vista di un accomodamento della cornice, mentre è la cornice stessa: la società, che deve sparire perché la gente possa vivere in pace. La società ha contro di noi la forza, d’accordo. Ma da cosa proviene se non dall’adesione di noi tutti alla forza della società, e non si tratta di un fatto, ma di un’idea. – È una semplice, falsa idea dei nostri corpi che da tanto tempo ci opprime, e che aspettiamo a farla saltare?

Lei dunque è stato portato di forza in Germania. – Si è trovato costretto a entrare in un convoglio di giovani Francesi deportati, e il suo corpo che usciva da casa sua, andava nelle librerie, alle mostre di pittura, nei teatri, nei cinema, nei caffè, che andava a pranzo o a cena da amici, che andava nelle biblioteche o nei musei, che si comprava liberamente i vestiti che gli piacevano, si faceva tagliare dal suo barbiere i capelli secondo il taglio che gli piaceva, e sceglieva la lozione di shampoo dal vasetto che gli piaceva (poiché è humour la libertà), questo corpo, dice, si è visto vestito da fuochista, l’hanno messo su una locomotiva, e non c’erano più né vasetto, né shampoo, non più il completo ben stirato, non più la camicia fresca tutti i giorni (la capisco poiché la camicia che ho avuto dopo sei anni di internamento, fu quella che mi venne data dalla signora Régis per ordine del Dr. Ferdière. Una camicia da città con un collo e una cravatta, poiché il Dr Ferdière non volle che qui fossi vestito da internato).

Come camicia e completo non ebbe dunque altro che una bombardamento di ceneri di carbone a palate nel ventre di una macchina che avrebbe mandato volentieri a farsi tamponare da qualche parte. E alla sofferenza della deportazione si univa in lei la sofferenza dell’esilio.

C’è nell’esilio una possessione, quella dello spirito straniero che ricopre notte e giorno un uomo e gli chiede di trasudare la propria coscienza nel suo senso, è un modellare per operazione. – Lei mi ha detto che non era stato malmenato. – Si malmenano infatti solo i recalcitranti, non è il metodo o la maniera, voglio dire il procedimento segreto, il comportamento profondo dell’oppressore di fronte all’oppresso quello di rovinargli in primo luogo il corpo. Il conquistatore non distrugge il vinto, non ha interesse a sbarazzarsi del vinto bensì a penetrarlo con un veleno proprio finché in lui il simile si assimili al simile, e non ci sia più il vinto ma il suo corpo solo con la coscienza del solo vincitore; questa operazione è comune in tutto il mondo, ma non si sa che è volontaria e concertata e viene fatta, voglio dire vissuta da un certo numero di individui che hanno l’unica funzione di pensare alle individualità interessanti, e far di tutto per trasmettere loro il virus della deportazione, dell’internamento, della carcerazione, della schiavitù, e quello della nazionalità. (…)

Antonin Artaud, Rodez, 16 maggio 1946, Al signor Pierre Bousquet

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