SPUTIAMO SU DIOr

Chissà se Mons. Seccia sia stato informato che tra le luminarie di p.za Duomo, che hanno fatto da cornice alla pomposa sfilata di Dior a Lecce vi era, tra le altre, una frase di Carla Lonzi, la nota femminista degli anni ’70 che, nel criticare radicalmente il patriarcato e la società maschilista, auspicava la distruzione del matrimonio, la liberazione totale della donna, soprattutto nella sfera sessuale, dominata da un immaginario completamente maschile ed eterosessuale. Insomma tutto ciò di cui la Chiesa (e le varie religioni) è responsabile, avendo contribuito fortemente, nei secoli, a rendere la donna sottomessa. D’altra parte la figura della modella in passerella, anoressica e dalla bellezza omologata, continua a produrre l’esempio di una donna schiava, in serie, usata solo per il suo aspetto fisico, quindi senza individualità e identità. Del resto è ormai da tempo che con questa storia della bellezza, viene distrutta qualsiasi diversità. Non esiste più bellezza perché esiste solo ciò che il Capitalismo fagocita e cancella. Che siano i paesaggi, le città, la natura, la cultura, l’arte, persino il sacro. Il Dio più importante in effetti sembra essere proprio il denaro accumulato nella pancia dei ricchi a scapito di tutti gli altri. Hanno ragione coloro che dicono che nei territori rimangono solo le briciole e che laddove il Capitale mette le sue radici rimangono solo esclusione, sfruttamento ed emigrazione perché alla gente del posto non rimarrà più niente se non la scelta obbligata di cercare fortuna da un’altra parte.

La sfilata di Dior è probabilmente una vetrina per il Salento che contribuirà a renderlo ancor più luogo esclusivo per cannibali di ogni tipo. Dalle coste all’entroterra sarà bomboniera privatizzata, militarizzata e intoccabile, accessibile solo ad élite danarose. Processo già in atto con una gentrificazione che ha trasformato il centro storico ormai da tempo, e con una espropriazione delle coste e delle campagne che diventeranno sempre più proprietà privata di pochi colossi imprenditoriali, come accaduto con Tap, il rinnovabile e il turismo. Ed è imbarazzante come un mediocre burocrate e un giornalaio, di fronte alle telecamere di una specie di regista, sbavino davanti ad una griffe dell’alta moda, espressione del più becero Capitalismo, quello che rivende a migliaia di euro i suoi capi dopo averli prodotti per pochi spiccioli in condizioni di sfruttamento, blaterando di salentinità e amenità simili. Così come è imbarazzante la mercificazione della tradizione musicale, quella che apparteneva ai contadini. Si sarà rivoltata nella tomba, Carla Lonzi, a vedere il suo pensiero svenduto, lei che aveva scritto pagine radicali anche contro il sistema dell’arte, corrotto, patriarcale e in balìa di logiche capitaliste. Ed è proprio questo il punto. Riportando le sue parole “la differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. Approfittiamo della differenza…”, non si può non pensare che quella differenza sovversiva non può appartenere all’omologazione borghese e aristocratica alla Dior e al lusso ostentato che vilipende la povertà, ma a coloro che aprono possibilità e rotture reali e liberatorie che, in effetti, solo le rivoluzioni hanno fornito.

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