Dialogo tra la Cometa e la Terra

Terra. Eccola qui ancora, la vagabonda!
Cometa. –
Terra. Prudenza perdio! Guarda un po’ dove vai!
Cometa. Meglio non guardare dove si va che andare solo fin dove si vede.
Terra.: Già, ma intanto… no perdio! fa’ attenzione!
Cometa. Meglio non far attenzione che attender sempre ciò che non vien mai.
Terra. Accidenti! Ma proprio addosso a me deve venire! Ora mi spazza! Si può dar di peggio?!
Cometa. Sì, i pianeti!
Terra. Ma guarda che lì vai a batter in Marte – questo si chiama esser ben distratti!
Cometa. Meglio distratti, che attratti, e contratti e rattratti…
Terra. Tu intanto sei ogni volta più stravagante e più nebulosa. Dì’ un po’, quando la finirai di fare la vagabonda? [pianeta (in greco) = vagabondo]
Cometa. Quando tu la finirai di far «la coda».
Terra. Sarebbe ora che mettessi giudizio, – e lo dico pel tuo bene.
Cometa. Già, o per dormir i tuoi sonni tranquilli, – vecchia ipocrita. Tu e Marte e Venere… e quanti vi siete regolate le vostre orbite col centimetro per aver tutta la via comoda e sicura e rotolarvi in santa pace e far la corte…
Terra. Al sole, sicuro…
Cometa. Già, il sole. – Voi fate tutto in nome del sole, anche la notte!
Terra. Il giorno o la notte, io faccio il mio dovere; se faccio la notte, vuol dire che sono solida; se ho una via regolata, vuol dire che non sono eccentrica: quello che devo fare lo so, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno.
Cometa. Che sai e che fai che non sia utile solo alla tua vecchia pelle? a chi giovano i tuoi giri?
Terra. Io non so a chi giovino, faccio il mio dovere e altro non chiedo. – Ma d’altronde, dimmi un po’ a che bene giovi la tua via esorbitante per la quale intanto minacci ed oltraggi la vita dei pacifici ed onesti cittadini – a che bene conduci il codazzo di piccoli vagabondi che raccogli e ti tiri dietro, se non per fartene l’aureola. Oh!
Cometa. S’io non lo so – faccio via per saperlo – né finch’io non lo sappia – però poserò mai ad astro costituito e mi crederò in diritto di chiamar mio dovere senza mia luce dell’altrui luce vivere. Mentre questi che tu chiami vagabondi diventino tali davvero, o peggio – da voi asserviti – tali – quali voi siete. S’essi come tu dici mi fanno aureola, io non lo so – e tali possono sembrare a te perché da me illuminati – ma io – come non la conosco – così non la cerco quest’aureola, se pur a te sembri, né, paga di questa, per questa quelli attraggo. Ma quanti sono io vorrei trarre con me, della mia luce nutrendoli, per la via retta, che a te sembra un arbitrio e agli altri – che per la comoda via e vicina movendovi la luce altrui riflettete ai vostri trabanti perché essi a lor volta alle vostre notti la luce del sole riflettano – mentre voi diffondete l’ombra dietro a voi. E…
Terra. Adagio! oibò! Per carità! che fai?! Noooo!
Cometa. Sta’ tranquilla; non ti tocco – non è ancora la tua ora! Addio!
Terra. Allora, senti, poiché non hai intenzioni cattive… cometa!… lo sai che non ti voglio male… potresti – tanto a te non costa… via… raddrizzami quest’asse!
Cometa. Eccoli i borghesi! tutti uguali! Vorreste e non potete – e perché non potete – questo è il vostro dovere! Ma poi al caso ogni appoggio v’è buono, – o i mesi allora, e gli anni? e la regola?
Terra. Queste son parole, – lo sai, e che se io avessi avuto un punto d’appoggio… da giovane… anch’io chissà… – Via, fammi questo servizio!
Cometa. È tardi – io devo seguir la mia via – tu continua a scaldar le tue ossa al sole assieme agli altri cadaveri. Addio dochmia [in greco, obliqua], addio «Pianeta».
Terra. Addio.

Carlo Michelstaedter [Maggio 1910]

Questa voce è stata pubblicata in General. Contrassegna il permalink.