Sul nazionalismo

Per «nazionalismo» intendo soprattutto quell’abitudine a pensare che gli esseri umani possano essere classificati come insetti, e che milioni o decine di milioni di persone possano tranquillamente essere etichettati come «buoni» o «cattivi». Ma intendo anche – aspetto molto più importante – quell’abitudine a identificare se stessi in una singola nazione o in un’unità di altro tipo, collocandola al di là del bene e del male e non riconoscendo altro dovere che la promozione dei suoi interessi.[…]

Il nazionalismo è inseparabile dal desiderio di potere. L’obiettivo costante di ogni nazionalista è quello di assicurarsi maggior potere e maggior prestigio, non per se stesso ma per la nazione o quell’altra unità nella quale ha deciso di dissolvere la propria individualità. […]

Uso la parola «nazionalismo» solo in mancanza di un termine più appropriato. Il nazionalismo, in questo significato esteso, include movimenti e tendenze come il comunismo, il cattolicesimo politico, il sionismo, l’antisemitismo, il trockismo e il pacifismo. Non comporta necessariamente la lealtà a un governo o a una nazione (ancor meno alla propria), e non è neanche necessario che la realtà alla quale è riferito esista davvero. […]

Il nazionalista è colui che pensa esclusivamente – o principalmente – in termini di prestigio competitivo. Può essere un nazionalista in senso positivo o negativo – ossia usare la propria energia mentale per sostenere o denigrare –, ma i suoi pensieri saranno sempre di vittorie, sconfitte, trionfi e umiliazioni. Concepisce la storia – soprattutto quella contemporanea – come un continuo sorgere e tramontare di grandi unità di potere, e interpreta ogni evento come la dimostrazione dell’avanzamento della sua parte e della retrocessione di qualche odiato rivale. Ma è importante non confondere il nazionalismo con il culto del successo. Il nazionalista non segue il principio per cui ci si unisce semplicemente al più forte. Al contrario, dopo aver scelto da che parte stare, si persuade che è la più forte, e rimane saldo nelle proprie credenze anche quando i fatti le contraddicono palesemente. Il nazionalismo è pertanto sete di potere unita all’autoinganno. Ogni nazionalista è capace della massima disonestà, ma è anche fermamente convinto – credendo di servire qualcosa più grande di lui – di essere nel giusto. […]

Affermare che tutte le forme di nazionalismo siano uguali, anche nella disposizione mentale, sarebbe semplificare esageratamente, ma è certo che tutte condividono una serie di caratteristiche. Ecco le principali.

Ossessione

Per quanto è possibile, nessun nazionalista pensa a qualcosa, parla o scrive di qualcosa che non riguardi la superiorità dell’unità di potere con cui si identifica. Gli è difficile, se non impossibile, nascondere la propria lealtà. La minima offesa nei confronti della sua parte, o un qualsiasi apprezzamento implicito di un’organizzazione rivale, lo riempiono di un senso di disagio che può alleviare soltanto con una risposta tagliente. Se la parte scelta è una nazione reale, come l’Irlanda o l’India, ne rivendicherà la superiorità non soltanto in termini di potere militare e virtù politica, ma anche nell’arte, nella letteratura, nello sport, nella struttura della lingua, nella bellezza fisica dei suoi abitanti, e forse addirittura nel clima, nel paesaggio e nella cucina. […]

Instabilità

L’intensità con cui viene sostenuta non rende la lealtà nazionalistica intrasferibile. […] Molto spesso i grandi leader nazionali, o i fondatori di movimenti nazionalistici, non appartengono neanche alla nazione che hanno glorificato. A volte sono stranieri, altre volte provengono da aree periferiche dove la nazionalità è incerta. […] Ma ciò che risulta stranamente interessante è che un ri-trasferimento è altrettanto possibile. Una nazione o altra unità venerata per anni può improvvisamente diventare detestabile, e le proprie simpatie possono spostarsi su un altro oggetto senza soluzione di continuità. […] Il comunista bigotto che diventa, nel corso di poche settimane – o addirittura di pochi giorni –, un trockista ugualmente bigotto, è uno spettacolo comune. In Europa continentale i membri dei movimenti fascisti vennero in gran parte reclutati tra i comunisti, ed è probabile che nei prossimi anni si verifichi il processo opposto. Ciò che rimane costante in un nazionalista è lo stato mentale: l’oggetto dei suoi sentimenti può cambiare e può anche essere immaginario.

[…] Dio, il re, l’impero, la bandiera britannica: tutti questi idoli deposti possono riapparire con nomi differenti e, dal momento che non vengono riconosciuti per quello che sono, possono essere venerati in buona coscienza. Il nazionalismo trasferito, come il capro espiatorio, è un modo per raggiungere la salvezza senza cambiare la propria condotta.

Indifferenza verso la realtà

Tutti i nazionalisti hanno la capacità di ignorare le rassomiglianze tra i fatti. Un tory inglese difenderà l’autodeterminazione della Gran Bretagna in Europa, ma si opporrà a quella indiana senza avvertire la minima incoerenza. Un’azione è considerata buona o cattiva non per ciò che è in sé, ma per chi la compie, e non esiste quasi atrocità – la tortura, l’uso degli ostaggi, il lavoro forzato, la deportazione di massa, l’imprigionamento senza processo, la falsificazione, l’assassinio, il bombardamento dei civili – che non cambi colorazione morale quando è compiuta dalla «nostra» parte. […] È lo stesso con gli eventi storici. La storia viene letta in gran parte in termini nazionalistici, e fatti come l’Inquisizione, le torture della Star Chamber, le imprese dei bucanieri inglesi (Sir Francis Drake, per esempio, che aveva l’abitudine di buttare in mare vivi i prigionieri spagnoli), il regime del Terrore, gli eroi delle ribellioni in India che uccidevano centinaia di indiani a colpi di pistola, o i soldati di Cromwell che sfregiavano il viso delle donne irlandesi con il rasoio, diventano moralmente neutri o addirittura meritori se compiuti nel nome della «giusta» causa. […]

Il nazionalista non solo non disapprova le atrocità commesse dalla parte che sostiene, ma ha anche la sorprendente capacità di non averne notizia. Per quasi sei anni gli ammiratori inglesi di Hitler trovarono il modo di non venire a conoscenza dell’esistenza di Dachau e Buchenwald. D’altra parte, quelli che più convintamente denunciano i campi di concentramento tedeschi non sono al corrente – o lo sono pochissimo – dell’esistenza dei campi di concentramento anche in Russia. Grandi eventi come la carestia del 1933 in Ucraina, che causò la morte di milioni di persone, sono di fatto sfuggiti all’attenzione della maggioranza dei russofili inglesi. Molti non hanno mai sentito parlare dello sterminio degli ebrei tedeschi e polacchi durante l’ultima guerra. Il loro antisemitismo ha fatto sì che questo enorme crimine restasse fuori dalla loro coscienza. Nel pensiero nazionalistico esistono fatti che sono allo stesso tempo veri e falsi, conosciuti e sconosciuti. Un fatto può risultare così insopportabile da venire messo da parte e tenuto lontano da ogni riflessione logica; oppure può diventare oggetto di riflessione senza però mai essere ammesso come un fatto, neppure nella mente di chi lo pensa.

[…] Molti scritti propagandistici del nostro tempo non sono che semplice contraffazione. Vengono occultati i fatti reali, le date sono alterate e le citazioni sono estrapolate dal loro contesto e aggiustate in modo tale da assumere un altro significato. Gli eventi che non sarebbero dovuti accadere non vengono citati e sono fondamentalmente negati. […] Il primo obiettivo della propaganda è, ovviamente, quello di influenzare l’opinione dei contemporanei, ma è probabile che coloro che riscrivono la storia siano davvero convinti, perlomeno con una parte della loro testa, di star realmente inserendo fatti nel passato. […]

L’indifferenza verso la verità oggettiva è incoraggiata dall’isolamento di una parte del mondo rispetto all’altra, una situazione che rende sempre più difficile scoprire cosa stia succedendo realmente. Spesso è lecito nutrire qualche dubbio di fronte a eventi di enorme portata. Per esempio, è impossibile calcolare quanti milioni – forse anche decine di milioni – siano morti in questa guerra. I disastri di cui viene data costantemente notizia – battaglie, massacri, carestie, rivoluzioni – tendono a ispirare nelle persone comuni un sentimento di irrealtà. Non c’è modo di verificare i fatti, non si è mai del tutto sicuri che siano accaduti, e ci si trova di fronte a interpretazioni totalmente discordanti provenienti da fonti diverse. […] I fatti vengono presentati in modo così disonesto da tutti i giornali che il lettore comune può essere perdonato se crede alle bugie o se non riesce a formarsi un’opinione. L’incertezza generale riguardo a ciò che succede realmente rende più facile aggrapparsi a credenze stravaganti. Dal momento che nulla viene mai completamente provato o confutato, anche fatti più incontestabili possono essere sfacciatamente rifiutati. Inoltre, nonostante il suo rimuginare continuo sul potere, la vittoria, la sconfitta e la vendetta, il nazionalista è ben poco interessato al mondo reale. Ciò che vuole è sentire che la sua parte sta avendo la meglio su qualche altra, e può farlo con più facilità cercando di prevalere sull’avversario piuttosto che esaminando i fatti per vedere se gli danno ragione. Tutte le controversie nazionalistiche sono dibattiti inconcludenti in cui i partecipanti sono sempre invariabilmente convinti di essersi guadagnati la vittoria. Alcuni nazionalisti non sono lontani da una forma di schizofrenia, vivendo piuttosto felicemente tra sogni di potere e conquista che non hanno relazione col mondo materiale.

George Orwell, Notes on Nationalism, 1945

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