Consumo permanente

Che i nostri pasti siano pasti ciclici è un segno della nostra umanità. In quanto tra i tempi dei pasti si apre il tempo libero dal consumo e l’ampio orizzonte del mondo non consumabile, il territorio dell’assente, del solo contemplativo, del solo osservabile, del possibile – in breve: il mondo dello spirito. Davvero? Ancora oggi?

Non proprio.

Giacché il trend indica un consumo ininterrotto, un’esistenza in cui noi consumiamo ininterrottamente così come respiriamo: ininterrottamente mastichiamo il chewing gum, ininterrottamente ascoltiamo la radio. E poiché non c’è nulla che non diventi oggetto di consumo, l’avvicendarsi di un oggetto di consumo a un altro garantisce la continuità del consumo.

Una condizione animale. Anzi la condizione degli animali più triviali. Non di quelli che misurano la distanza, scrutando o volando per raggiungere le loro prede. Il loro orizzonte è ancora vasto; il loro tempo in gran parte libero dal consumo. Non la condizione dell’aquila. Bensì quella del pollo, del perennemente beccante.

I polli possono consumare ininterrottamente perché «il bene è sempre così prossimo», perché tutto è sempre presente, perché vivono nel paese della cuccagna dei polli. Poiché per loro c’è sempre tutto, non c’è nulla che manchi verso cui debbano puntare. Poiché non hanno bisogno che qualcos’altro li interessi, sono anche defraudati della possibilità «d’interessarsi a qualcos’altro». Vivendo nel paese della cuccagna restano dunque privi di mondo e ottusi. Se sperimentano lo «spazio» è tutt’al più quando «cercano di scappare» cioè nella fuga: la quale però non è verso l’aperto, ma verso il chiuso; non verso la scoperta, ma verso il coperto. In breve: restano piccoli borghesi.

Ecco: il piccolo borghese è ciò che dobbiamo aspettarci come esito finale dell’avventura «tecnica», poiché la tecnica consegna a domicilio il mondo come piacevole consumo permanente. Il piccolo borghese, sempre che l’umanità non si estingua prima del raggiungimento di questo punto più basso, sarà l’ultimo uomo.

Gunther Anders, Stenogrammi filosofici

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