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ARIA
C’è bisogno di aria per riprendere lucidità dopo più di due mesi di pensiero unico. Questo tempo di interruzione ci ha riportati in un mondo nuovo. Ma non il mondo rovesciato che sognavamo né quello libero cui aspiravamo; ci ha riportati all’inizio di un mondo in cui lo Stato ha centralizzato ancor di più le nostre vite, lo sfruttamento economico diventerà ancor più feroce e le disuguaglianze e contraddizioni saranno ancor più amplificate. È l’inizio di un mondo che realizza ciò che ha progettato per lungo tempo (un esempio: la scuola a distanza, che vede negli studenti non più o non solo contenitori da riempire di nozioni ma con qualche possibilità di confronto e scambio umano, ma solo automi da abituare all’elaborazione di dati, qualunque sia la materia che studiano). Per questo serve aria e la possibilità di incontrarsi, discutere, riflettere su ciò che sta accadendo e su ciò che si può fare.
Giovedì 28 maggio ci incontriamo presso Parco Corvaglia a Lecce alle ore 18, per l’ascolto di un episodio de “La nave dei folli”, la società cibernetica globalizzata che procede verso l’inevitabile naufragio, dal blog: lanavedeifolli.noblogs.org.
Un’occasione per soffermarci sul ruolo della medicina, il controllo sociale, la scienza, la natura e ciò che più ci preme.
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Epidemie!
Gli arresti investivano case e strade intere a mo’ di epidemia. Come la gente si trasmette il contagio, senza saperlo, con una stretta di mano, il respiro, la trasmissione di qualche oggetto, così con una stretta di mano, il respiro, un fortuito incontro per la strada si trasmettevano il contagio di un immancabile arresto.
A. Solženicyn
L’ex deportato che scriveva queste righe una sessantina di anni fa, certo non immaginava quanto si sarebbero rivelate profetiche, seppure a parti capovolte. Nell’associare gli arresti di massa del totalitarismo bolscevico ad una epidemia coglieva perfettamente l’aspetto preponderante del totalitarismo democratico palesatosi in questi mesi, il quale ha approfittato di una epidemia per imporre un arresto di massa di carattere nazionale, sebbene all’interno delle proprie abitazioni, e per di più senza nessuna forma di resistenza che, invece, sempre accompagna gli arresti di massa e i totalitarismi.
Può sembrare azzardato paragonare i regimi totalitari a quelli democratici, e sicuramente i secondi sono privi di buona parte della brutalità che ha accompagnato i totalitarismi del Novecento, ma pur diversi nella forma, numerose similitudini sono invece nella sostanza; una sostanza che è fatta principalmente di controllo pervasivo ed ossessivo, dove le ronde sono state soppiantate dai droni e la propaganda ideologica ha invaso ogni anfratto della vita sociale, o per dir meglio social, tramite una enorme intromissione tecnologica i cui terminali sono nelle mani di ogni essere vivente occidentale. Un reticolato invisibile di migliaia di chilometri di fibra ottica opera senz’altro meglio dei carri armati agli angoli delle strade. Polizia e infamia degli zelanti cittadini, invece, sono rimasti praticamente uguali.
Un altro aspetto comune è la sparizione di alcuni cittadini. Se il totalitarismo bolscevico li faceva sparire nelle segrete delle carceri o nei sotterranei dei conventi, fucilati dalla Ceka e portati via in camion, cosa ricordano i camion militari che trasportano le bare di centinaia di morti, usciti vivi dalle proprie abitazioni e mai più rivisti dai loro cari? Alcuni di loro neanche mai identificati con nome e cognome, ma semplicemente con un numero. E le fosse comuni negli Stati Uniti non richiamano forse orrori che speravamo di non rivedere mai più? Esseri umani senza volto né nome, pura statistica…
L’arrestologia è una branca importante del corso generale di carceronomia e le è stata data un’importante base di teoria sociale.
A. Solženicyn
In un tale contesto, non meraviglia l’arresto di sette anarchici e le restrizioni imposte ad altri cinque, nel corso di un’operazione a Bologna dieci giorni fa. Si incarcerano dei compagni perché hanno solidarizzato con chi si è rivoltato in carcere in periodo di epidemia. All’arrestologia dei Ros dei carabinieri, è la stessa Procura bolognese che ha fornito un’importante base di teoria sociale, affermando che il suo intervento repressivo «assume una strategica valenza preventiva volta a evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare situazione emergenziale [l’epidemia, appunto…] possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato”».
Per fortuna, in Italia, il totalitarismo è solo un ricordo lontano…
Epidemie pdf
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Lettera aperta di un corona virus agli abitanti della terra
Mi rendo conto che può sembrare strampalato ricevere la lettera di un virus, ma dal momento che continuate a nominarmi, ho pensato anche io di dire la mia. Me ne stavo tranquillo per conto mio in una bella foresta, convivevo con altri animali e non avevo creato alcuna pandemia. Certo in natura le cose non sono così regolari, la natura è profondamente selvaggia, però vi è un certo equilibrio di fondo secondo cui le cose procedono. Poi, voi umani, anzi alcuni di voi, hanno iniziato a deforestare, a tagliare alberi, in maniera disastrosa. Non potevo crederci. Veder buttare giù tutti quegli alberi! Così sono entrato in contatto con animali a voi più vicini. Li tenete ammassati, rinchiusi, li trattate come fossero scarpe. Li ingozzate di medicinali e poi li mangiate a chili. Che strana civiltà che siete! Avrei preferito non entrare in contatto con loro, ma voi, o alcuni di voi, gli specialisti, da alcuni decenni, più o meno dagli anni ’70, con quella che avete chiamato “rivoluzione verde” hanno convinto molti che bisognava allevare gli animali e la terra in maniera intensiva. Industrie vere e proprie che si espandono sempre più. Per poter far mangiare tutti questi animali che ormai sono più degli umani, dovete sottrarre terre agli altri esseri viventi e a voi stessi e così deforestate. Perverso! Inoltre questi allevamenti inquinano tantissimo e questo peggiora la vostra vita e vi fa ammalare. Che strana civiltà che siete!
Così, probabilmente, attraverso gli animali, sono entrato in contatto anche con gli esseri umani, che se la menano tanto ma poi non è che siano tanto diversi dai virus! Molta gente è morta! Anche in questo caso, non potevo crederci. Ho visto metropoli ammassate e inquinate, e la mia circolazione è stata più veloce. E nonostante ciò, chi vi comanda, ha continuato a tenere le fabbriche aperte comprese quelle di armi! E allo stesso tempo vi impediva di fare una passeggiata al parco, o in montagna, o al mare anche da soli. Vi impediva di prendere sole, di prendere aria, di rinforzare le vostre difese immunitarie. E molti di voi gli hanno dato pure ragione. Che strana civiltà che siete!
Vi hanno fatti stare in casa, a trangugiare paura e numeri, a terrorizzarvi facendovi vedere solo morte e malattia. Vi hanno vietato di incontrare le persone a cui tenevate. Qualcuno è rimasto da solo e ha preferito andarsene via da questo mondo assurdo senza più contatti umani. Vi hanno riempito la testa sulla mia pericolosità e poi hanno “dimenticato” di fornire tutte le protezioni adeguate a chi entrava in contatto con me. Li conoscete no? Medici, infermieri, ecc. Hanno continuato a dire che ad ammalarsi erano soprattutto gli anziani e anziché proteggerli, soprattutto quelli che si trovavano nelle strutture residenziali, li hanno abbandonati o non sono riusciti a tutelarli. Hanno trasformato un problema sanitario in una guerra con tanto di sceriffi , militari, check point, repressione; vi hanno colpevolizzati e criminalizzati e considerati degli inetti.
E i bambini e i ragazzi! Quanta tristezza ho provato nel vederli rinchiusi in casa, i bambini che sono argento vivo, per fortuna! Neanche una parola per loro, sacrificati con disprezzo, anzi un po’ vi stavano pure sulle palle, perché li credevate subdoli portatori di contagio. In fondo, non ho capito tutta la vostra paura di morire. Come se la morte prima non ci fosse, come se non ci siano cause di morte ancor più letali di me (vi dice qualcosa l’inquinamento?). Non ho capito perché secondo voi, per paura di morire, bisogna rinunciare a vivere. Mi sembra che così morirete due volte! Forse perché accumulare merci, in fondo non vi rende felici, e se non è la felicità il vostro scopo, che tipo di vita conducete? Che strana civiltà che siete! Vi ricordate la bomba atomica? Ha annientato migliaia di persone con effetti devastanti. È stata realizzata da un progetto di ricerca. Qualcuno ha pensato che quella sia stata la fine dell’umanità. Che in quel modo l’essere umano si sia dato la zappa sui piedi per sempre, non essendo più in grado di prevedere gli effetti di tutte le sue azioni. Oggi qualcuno dice che io possa essere uscito da un laboratorio. Vi ho detto all’inizio come è andata secondo me, ma mi preme dirvi che ci sono uomini e donne che lavorano per distruggere l’umanità e gli altri esseri viventi, non per favorirla, né per proteggerla, né per farla stare bene. Agiscono per indebolirla, sottometterla, renderla schiava, farla ammalare e poi curarla, all’infinito. Agiscono solo per ricavare un profitto, da ogni cosa, da ogni aspetto della vita, della morte, della natura. Si chiamano Economia, Finanza, Stato, Tecnocrazia o Scientocrazia e nonostante sembrano invincibili, perché protetti da un gran numero di guardiani, compresi quelli che vi hanno fermato in questi mesi, non lo sono affatto. Ci sono stati periodi nella storia, in cui hanno tenuto completamente in scacco l’umanità, altri in cui il terrore che hanno seminato gli è stato restituito. Vorrebbero che voi foste solo carne da macello, pezzi di ricambio. Altro che siamo tutti sulla stessa barca! Ma voi siete esseri viventi, come gli animali, le piante, non robot, come vorrebbero farvi diventare e fortunatamente non siete del tutto prevedibili come algoritmi. Forse, una possibilità che avete è quella di non ammalarvi più. Ma non di corona virus; credo che se non si correrà ai ripari, smettendo di inquinare, devastare la natura, accatastare le città, spostarsi con velocità da una parte all’altra del mondo, costruire macchine, macchine, macchine, altri virus, come me torneranno. E non ci sarà vaccino che tenga. Quando avrete riconosciuto il virus dell’autorità e del profitto, e lo avrete isolato e debellato, allora si, forse avrete ancora la possibilità di abitare questa terra e, chissà, anche di essere felici!
Covid – 19
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Interruzioni
Che la vita sociale si svolga a distanza, in fondo, non è una novità. Ormai da tempo le persone vengono persuase che il modo migliore per comunicare e avere relazioni sia quello che utilizza un dispositivo. Protesi dell’essere umano, lo smartphone e i suoi affini, hanno trasformato i modi di stare assieme, di informarsi, imparare, comunicare, scrivere, leggere. Il passo successivo è una robotizzazione del vivente, la tecnica che pervade ogni luogo, ogni aspetto della vita quotidiana. Un superamento della natura e del naturale a favore di esseri e luoghi artificiali. Uno scenario simile non ha bisogno di vita sociale, non ha bisogno di relazioni, emozioni, pensieri, ha bisogno solo di ordine, disciplina, regolamentazione, macchine. Forse ora il Dominio prova a fare un passo in avanti e utilizza un problema sanitario, la diffusione di un virus, per arrivare quanto meno ad un’irreggimentazione generalizzata, il resto poi andrà da sé. Viene in mente la fantascienza, ma gli Stati hanno strumenti ormai lontani secoli a cui attingere senza dover ricorrere all’ignoto. Il distanziamento sociale imposto per legge che prevede il divieto di baci e abbracci e la soppressione della gran parte delle attività sociali, ricorda gli stati d’emergenza, in cui si impongono regole di vita sociale da rispettare per non incappare in denunce e arresti. E in effetti la istituzione di zone rosse e di postazioni di controllo, la limitazione della libertà di circolazione, l’obbligo dell’isolamento domiciliare per chi provenga da zone considerate infette con possibilità di controllo da parte delle forze dell’ordine, ma soprattutto il divieto di assembramenti, cioè di riunioni pubbliche, è la gestione poliziesca di una problematica sanitaria. Non a caso nelle dieci regole consigliate dallo Stato italiano per evitare la diffusione del virus, si prevede che in caso di febbre si debbano contattare prima i carabinieri. Ma gli stati d’emergenza sono le misure previste anche in situazioni di conflitto o insurrezionali, come accaduto di recente in Cile. Lo Stato decreta per legge che i cittadini sono sua proprietà e può disporne come meglio crede. Non è per questioni sanitarie, né di benessere della popolazione che si impongono gli stati d’emergenza, ma per far introiettare regole, infondere disciplina. E in effetti, per ottenere obbedienza, il modo più sicuro è quello di spargere terrore, diffondere paura. Creare ansia e panico, divulgare continuamente dati, rendere tutto sensazionalistico ed eccezionale. Incutere paura è una pratica di guerra e di tortura, nonché di governo e anche in questo gli Stati sono specializzati. E la guerra è ritornata prepotentemente in auge dopo essere stata allontanata e cancellata per lunghi anni. Oggi la guerra è qui, anzi ovunque. I capi di Stato si dichiarano in guerra contro un nemico alquanto singolare, un virus, ma non è lui il loro avversario né il loro obiettivo, ma i loro stessi sudditi.
Per tale motivo la questione in gioco, forse più importante, è quella di tenere vivo il pensiero critico, senza minimizzare nulla. Dopo aver, a braccetto con l’Economia, industrializzato e devastato la natura, desertificato il pensiero, ora si annullano le emozioni. Niente baci, niente abbracci.
Tuttavia, se il Dominio ci vuole totalmente dipendenti da sé, se lo Stato cancella la vita sociale e in parte anche economica, ciò significa che non abbiamo bisogno dello Stato. Che possiamo autorganizzare le nostre iniziative, le nostre forme di educazione, le nostre economie, i nostri svaghi. E anche in questo caso non abbiamo bisogno di ricorrere alla fantascienza ma all’esperienza, alla memoria, alla volontà e al coraggio.
Uno dei modi ce lo stanno suggerendo i detenuti in lotta nelle carceri italiane che questo stato d’emergenza vorrebbe sepolti vivi. E che la normalità sia interrotta si, ma dalla rivolta.
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Il tempo che viviamo
L’infamia è il tratto distintivo del tempo che viviamo. Rendersene conto non è difficile: basta sollevare gli occhi dallo smartphone e guardarsi attorno, gettando uno sguardo sulla realtà che ci circonda e in cui siamo immersi.
Restare indifferenti di fronte ai conflitti che divampano nel mondo, con tutto il loro carico di migliaia di morti e milioni di sfollati, credendo che la faccenda non ci riguardi, perché viviamo nella parte “non belligerante” del pianeta, per esempio, è segno d’infamia. Perché la guerra in corso investe ormai da molti anni l’intero pianeta, e la parte non colpita dalle bombe è quella in cui queste si fabbricano, gli eserciti si addestrano per andare a massacrare o insegnare a farlo ad altri eserciti, e negli aeroporti vicino a noi si addestrano i piloti dei bombardieri di quelle guerre…
Non vedere la sofferenza di quei milioni di profughi, costretti a vagare per il pianeta in cerca della propria sopravvivenza, disposti a rischiare la vita nell’attraversamento di deserti e mari, in balìa di chi specula su quella sofferenza è anch’esso segno di infamia. Perché le condizioni di questa sofferenza sono state create nell’Occidente che viviamo, e le barriere che gli Stati apparentemente lontani da noi hanno eretto – come Libia o Turchia – sono state finanziate dai governanti che noi abbiamo eletto.
Gioire quando la gente muore nei mari o nei deserti, o quando arriva in Europa ma viene espulsa per la mancanza dei giusti documenti – conseguenza della sua condizione di povertà –, così come quando viene rinchiusa nei lager italiani chiamati CPR, è anch’esso segno d’infamia, così come infami sono tutti i discorsi reazionari e xenofobi sulla bocca di molti di quegli italiani brava gente, riflesso del pensiero infame dei loro governanti e delle loro politiche di esclusione e di discriminazione verso stranieri, poveri, omosessuali, donne e “diversi” in genere.
Ecco allora che non meraviglia che un infame come il defunto monsignor Ruppi, arcivescovo di Lecce per due decenni e gestore, per mano del suo degno scagnozzo don Cesare Lodeserto, di uno dei più infami lager per stranieri poveri d’Italia, il CPT “Regina Pacis”, venga seppellito nel Duomo di Lecce, così come aveva chiesto prima della sua tardiva morte nel 2011, e le sue spoglie siano state traslate proprio in questi giorni nella cattedrale leccese.
Lo svolgersi della Storia in senso sempre più orwelliano vorrebbe cancellare le nefandezze, le violenze, gli abusi e le botte che nel “Regina Pacis” sono stati perpetrati per anni, e trasformare un infame in un santo. Noi, per quanto ci riguarda, non siamo disposti a dimenticare.
Ma in fondo la sua sepoltura nel Duomo leccese non può neanche infastidirci. Anzi.
Sarà più agevole, per noi, sputare sulla sua tomba.
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Abbattiamo i muri del potere
Sembra ormai norma che “Lecce città del turismo” non tolleri più alcun dissenso. Una città ormai del tutto gentrificata sinonimo di una città controllata. I muri eretti in seguito allo sgombero della nuova occupazione anarchica nel centro storico, in un edificio di proprietà comunale, parlano da soli. Al di fuori del consumo, nulla è concesso. E il centro storico di Lecce è ormai totalmente luogo di consumo, tra bar e ristoranti, locali alla moda e negozi di lusso, alberghi e B&B. Per i residenti di un tempo, additati perché abitanti del centro storico, non c’è più posto. Per i refrattari, di qualsiasi tipo, non c’è più posto.
I muri si ergono per chi non si adegua o è diverso: che sia un immigrato vissuto occupando alle Giravolte per più di vent’anni, o chi vuole prendersi uno spazio per esprimere le sue idee e i suoi desideri. Quei muri sono l’esatta espressione del potere. Che si chiami Noi con Salvini o si chiami Noi con Salvemini (sindaco di Lecce), di fatto i processi portati avanti sono gli stessi. Con brutalità il primo, con il sorriso il secondo, sicurezza e decoro sono la parte centrale dell’agenda del potere. Agenda che significa sempre più polizia nelle strade, TSO, annientamento della vita sociale, espulsione degli indesiderati, controllo totale, omologazione. Perché tutto è collegato e non è possibile sentirsi estranei. Soltanto chi ha gli occhi chiusi non può accorgersi di quanto e come stia cambiando questo territorio, di quanto e come le persone che lo abitano siano sempre più spossessate della loro esistenza. Si eradicano alberi e si cancella il paesaggio, sostituito con impianti, centrali e cemento. Si chiudono spazi per eradicare il pensiero critico, il dissenso, la ribellione. Per via poliziesca o per via burocratica, l’Autorità vuole solo affermare se stessa e il suo totalitarismo. Questo concetto base di uno Stato di polizia è, in fondo, anche il concetto base di uno Stato democratico e di chi lo amministra. Il resto sono chiacchiere da bar.
Ma se i muri vengono eretti la cosa più semplice e più urgente da fare è abbatterli, qualsiasi cosa essi rappresentino. Confini, morale, annientamento del pensiero critico. Eradicare la refrattarietà della natura selvaggia, così come di quella antiautoritaria, non è poi impresa facile.
“Abbattete, abbattete sempre, perché tanti più abusi eliminate al presente, tante soluzioni egualitarie preparate per l’avvenire”.
E. Cœurderoy
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Una Lega contro la libertà
UNA LEGA CONTRO LA LIBERTÀ
Parlare in maniera estesa del fenomeno LEGA significa affrontare le diverse facce di cui si compone. La comunicazione fatta di slogan brevi spacciati per verità, che tentano di parlare subito alla pancia delle persone, dà l’idea del populismo insito nel suo progetto e che l’ha portato a raggiungere, attualmente, più del 30% dei consensi nei sondaggi; questo fenomeno tuttavia ha ormai una storia abbastanza lunga che risale alla fine degli anni ’80 e che lo conduce in una parabola ascendente fino ad oggi.
Di fatto, provando ad approfondire la provenienza e la direzione di questo partito politico vengono fuori molti elementi che permettono di affermare che la Lega ha riempito spesso un vuoto nella posizione dell’estrema destra italiana attraverso i suoi contenuti; altri che chiarificano la sua esistenza all’interno di un progetto più ampio di una estrema destra europea, più moderna, antieuropeista, nazionalista, sovranista.
Questi sono forse, i nodi centrali che riguardano questa organizzazione politica che in questi decenni ha mutato maschera molte volte, destreggiandosi (non a caso) al fine di trovare consenso e usando spudoratamente un opportunismo politico che la facesse riemergere da ogni situazione critica. Come tutti o quasi tutti i partiti politici o coalizioni, la Lega vuole prendere il potere, e questo la rende disprezzabile allo stesso modo degli altri. Ciò che le attribuisce un pericolo in più è questa capacità camaleontica di adattarsi, trasformarsi, inserirsi con contenuti che vengano immediatamente digeriti dai più. Per questo il cavallo di battaglia, da alcuni anni a questa parte, è quello dell’immigrazione, al fine di fomentare l’odio contro gli stranieri, senza distinzione, con slogan, mistificazioni, menzogne, per seminare paura, xenofobia, sentimenti di appartenenza che si considerano minacciati, identitarismo e conseguente gregarismo.
Come affermato in un libro di alcuni antiautoritari, di qualche anno fa, la Destra si distingue perché nel prendere il potere, vuole essere essa stessa il potere, essa cioè si incarna nell’Autorità. Se la Lega sia da definire fascista o meno, lo si può stabilire avendo in mente questo criterio. E negli ultimi tempi sembra andare proprio in questa direzione.
I testi che seguono, traggono spunto da altri approfondimenti che in questi anni hanno tentato di descrivere e analizzare questo fenomeno politico e deficitano sicuramente di completezza. Essi sono semplicemente una bozza per capire meglio chi si ha di fronte.
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Le Giravolte di Lecce: una città frantumata
Un filo rosso sembra attraversare le storie vissute nel quartiere delle Giravolte di Lecce. Un luogo ormai quasi frantumato dopo l’arrivo di una palazzinara affarista, dal nome Beatrice Baldisser, che ne trasformerà il volto e il tessuto sociale in maniera irreversibile. E dopo la morte di questo quartiere, Lecce potrà dirsi una città completamente trasformata. In cambio ci sarà tanta movida e locali alla moda, ristoranti e alberghi e i diffusissimi B&B. E tanti tanti turisti. In molti saranno contenti di un turismo che consuma la città, ma pochi rifletteranno sul fatto che questo fenomeno, conosciuto ormai anche in tante città del mondo è di fatto un processo violento, disumano e omologante. Violento e disumano perché dà vita ad un assioma: caccia i poveri per fare spazio ai ricchi. O meglio caccia tutto ciò che è indesiderabile e stonato rispetto a un quadro omologato di turismo, per fare spazio al denaro con il quale tutto diventa fruibile e senza il quale tutto diventa vietato. Basti pensare alle varie norme che vietano di sedersi sui gradini di una qualche chiesa o di
una qualche palazzo storico per mangiare un panino. Ordinanze cosiddette antidegrado che man mano diventano la regola e vengono accettate. Dal centro di Lecce, ormai diventato vetrina intoccabile, questo processo si estenderà ai quartieri limitrofi: San Pio, Leuca, …
DIO, DENARO, LUCRO
Spietata e affarista, la signora Baldisser, che per ripulire i posti in cui speculare, murerebbe anche la gente dentro, come ha affermato lei stessa, in fondo non ha tutte le colpe. Ovvio che economia e politica fanno il paio: l’una, che conosce solo il linguaggio del denaro, tenta di far profitto in ogni modo, l’altra consente, in maniera legale o meno – in questi casi non vengono usate tante sottigliezze su questo concetto, urlato invece in altri contesti – regalando permessi, agevolando amici e parenti o semplicemente chi è disposto a pagare di più. E la signora Baldisser, tenutaria di un centro benessere all’interno dell’hotel Tiziano di cui è proprietario l’ex sindaco Perrone, nonché tenutaria in passato di un centro benessere per dipendenti comunali all’interno del Comune di Lecce durante la giunta Poli Bortone, (quando si dice la politica dalla parte della gente…), nel 2016 riusciva infatti ad acquistare dal comune di Lecce, un immobile proprio in via delle Giravolte per farne un luogo di lusso. Tale immobile tuttavia risultava destinato a fini sociali così come molti immobili del quartiere. Per evitare di sprecare tempo con troppa burocrazia la signora Baldisser, ottenuto comunque un cavallo di Troia per inserirsi in un contesto sociale a lei estraneo e trarne profitto, si è rivolta al monastero delle suore benedettine, proprietarie di molti immobili in questo e altri quartieri della città. Le suore benedettine, per nulla turbate dal possesso di questi edifici e dai precetti sulla povertà e la carità della “Santa Romana Chiesa”, li avevano da qualche anno messi in vendita dopo aver fatto sgomberare decine di immigrati che lì vivevano da numerosi anni. E per accorciare i tempi avevano fatto tagliare loro l’acqua, nonostante sia considerata un bene primario che non può essere sottratto. Ma anche in questo caso, chi ha solo sete di potere e denaro ha necessità di semplificare le cose e considera un ostacolo chi ha sete veramente. Chiaro che chi ha eseguito il taglio dell’acqua ha la stessa responsabilità di chi ne ha fatto richiesta.
LA STORIA NON CAMBIA
Ancora un passo indietro e ci si imbatte nel personaggio di Mara, una transessuale leccese che molti ricordano con simpatia, per il suo carattere eccentrico, per la sua schiettezza. Mara aveva conosciuto il carcere a Genova a causa delle leggi sul travisamento e ed era stata allontanata dalla sua famiglia per via delle sue scelte di vita. Ma una volta tornata a Lecce si era trasformata da oppresso in oppressore, accumulando denaro, acquistando immobili affittati poi a stranieri stipati all’interno, anche 15 per stanza, in modo da ricavarne il più possibile e pressando mese dopo mese con ricatti e minacce, affinché i canoni fossero pagati. Alla sua morte aveva donato tutto al monastero delle suore benedettine, richiedendo che gli immobili fossero lasciati in uso a chi già li usava e che quindi avessero una destinazione sociale. Un fatto che dovrebbe essere ovvio per delle suore. E invece questi immobili hanno preso altre destinazioni e dopo essere stati utilizzati da chi, in tempi passati, veniva disprezzato per il fatto di abitare nel centro storico, ora verranno abitati da chi vive il centro storico come uno status quo. La vita in comunità e la solidarietà di un tempo, sostituite dal lusso e da un turismo che avrà contribuito a spazzare via le storie dei quartieri e che non esisteranno più. E questo non è solo il destino di Lecce. Basta andare in una qualsiasi città europea ora asfissiata dal turismo, per rendersi conto di quanto le strade percorse non parlano più nessuna lingua, non emanano odori né profumi,
non sono nulla se non delle strade qualsiasi prive di qualunque caratteristica di vita.
SENZA FUTURO
Tuttavia, ancora per poco, i muri delle Giravolte rimangono impregnati di racconti, storie, odori, profumi, sensazioni, e anche tanto sfruttamento. Qualcuno sarà finalmente contento di azzerare tutto quanto e portarvi la tanto osannata riqualificazione, che farà sì che all’interno del quartiere potranno accedervi solo danarosi turisti, con conseguente lievitazione dei prezzi delle case e cacciata definitiva di chi non ha un nutrito conto in banca. Ma la tanto osannata riqualificazione è il perpetuarsi di una forbice sempre più grande tra ricchi e poveri, tra inclusi ed esclusi, tra chi accede e chi viene cacciato. Tra chi è considerato adatto a questa società, non importano i suoi costumi, l’importante è che possa pagare, e chi è considerato inadatto e in questo caso i suoi costumi contano eccome. Un po’ come chi fa la differenza tra una prostituta di strada, che la morale generale disprezza e una escort, cioè una prostituta d’alto bordo, una che ad esempio si esibisce nei locali, vendendo il suo corpo con professionisti, politici e altro. Entrambe fanno lo stesso mestiere ma il giudizio della morale dominante varia a seconda dei clienti che le sono davanti.
Le storie di queste potenti donne in definitiva fanno tutte schifo: da Mara,
alle suore benedettine, all’affarista Baldisser e chi la foraggia, sono tutte storie
di potere e di denaro, avidità e calcolo.
BRECCE NEL MURO
Ma per tre anni, dal 2016 al 2019 in uno di questi appartamenti in via delle Giravolte, vi è stata anche una biblioteca anarchica occupata. Il suo nome, Disordine, aveva ed ha in sé il progetto di diffondere libri e idee che rompessero con la morale comune e con l’ordine costituito. Un ordine fatto di potere e repressione, sfruttamento e devastazione, obbedienza e annichilimento delle coscienze. Disordine è appunto l’opposto. Relazioni umane non più basate sulla gerarchia, ribellione e rivolta contro le iniquità, libertà da ogni schiavitù, religiosa, morale, economica, salariale, tecnologica, statale. Di questi tempi, d’altronde, coltivare sogni, progetti e una tensione antiautoritaria, risulta davvero urgente e necessario, per resistere ad un pensiero unico sempre più asfissiante e ad un ordine tecnologico livellante e avvilente. In questi tempi in cui a Lecce si è sparlato di anarchici sui giornali, per fare terra bruciata attorno a loro, inventando storie esilaranti, è ancora tempo di aprire spazi di libertà, di critica, di autorganizzazione.
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