L’arte di vendere

L’autogoverno è inversamente proporzionale al numero. Quanto più vasto l’elettorato, tanto minore il valore del voto. L’elettore si sente impotente, quantità trascurabile, quando sta in mezzo a milioni di suoi simili. I candidati che egli ha eletto stanno lontani, in cima alla piramide del potere. In teoria essi sono i servitori del popolo; ma in pratica sono servitori che danno ordini e il popolo, giù dalla base della piramide, deve obbedire. (…) «L’uno e l’altro partito» scriveva nel 1956 il direttore di un importante giornale economico «metteranno sul mercato candidati e programmi con gli stessi metodi che il mondo degli affari ha inventato per vendere una merce. Fra l’altro la selezione scientifica dei motivi e l’iterazione pianificata… La radio ripeterà, con tensione programmata, i suoi inserti pubblicitari. I manifesti sosterranno parole d’ordine di cui si è studiata l’efficacia… Davanti alla macchina della televisione, ai candidati non basterà voce calda e buona dizione: dovranno avere anche un aspetto “sincero”!».

I mercanti della politica fanno appello solo alla debolezza dei votanti, mai alla forza potenziale. Essi non cercano di portare le masse, attraverso l’educazione, alla capacità d’autogoverno; a loro basta manipolarle e sfruttarle. A questo scopo mobilitano e mettono all’opera tutte le risorse della psicologia e delle scienze sociali. Si fanno “interviste in profondità” a campioni accuratamente scelti dell’elettorato. Queste interviste in profondità rivelano i timori e i desideri inconsci che dominano in una determinata società al momento delle elezioni. Poi gli esperti scelgono frasi e immagini intese a placare o, se necessario, ad acuire quei timori, a soddisfare quei desideri, almeno simbolicamente; le sperimentano sul lettore o sull’ascoltatore, le cambiano e le migliorano alla luce delle nozioni così acquisite. Poi la campagna politica è pronta per la comunicazione di massa. Ora occorrono soltanto quattrini e un candidato che impari a fare la faccia “sincera”. Con la nuova liturgia, princìpi politici e programmi concreti hanno ormai perso gran parte della loro importanza. Contano davvero solo due cose: la personalità del candidato e la maniera in cui la sanno proiettare gli esperti della pubblicità. Il candidato deve essere bello, in qualche modo, o virile o paterno. Deve saper intrattenere il pubblico senza annoiarlo. Il pubblico, avvezzo alla televisione e alla radio, vuole lasciarsi distrarre, e non ama che gli si chieda di concentrarsi, di compiere una lunga fatica intellettuale. Perciò i discorsi del candidato attore devono essere brevi e scattanti. I grandi problemi del momento debbono essere liquidati in cinque minuti al massimo; magari (perché il pubblico non vede l’ora di passare ad argomento più vivace dell’inflazione o della bomba H) in sessanta secondi netti. La natura dell’oratoria è tale che fra i politici e i chierici c’è sempre stata la tendenza a semplificare le questioni complicate. Dalla tribuna o dal pulpito anche al più coscienzioso degli oratori è difficile dire tutta la verità. I metodi che si usano oggi per vendere il candidato politico, come se fosse un deodorante, danno all’elettorato questa garanzia: egli non sentirà mai dire la verità, su niente.

Ritorno al mondo nuovo, Aldous Huxley, 1958

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