Abbasso gli eserciti!

Un atto di violenza.

Così è stato definito quanto è accaduto a Taranto pochi giorni or sono quando, al passaggio di una fregata della Marina militare, sono volati insulti e pietre verso di essa. Che dire? Non possiamo che essere d’accordo… È un atto di una violenza inaudita che una fregata missilistica, una unità operativa militare, peraltro intitolata all’arma dei carabinieri, possa fare rientro in una importante base della Nato, al ritorno da una missione, in pompa magna e con la truppa schierata sul ponte. Sono immagini che fanno male al cuore.

Fortunatamente quel giorno erano presenti, nei pressi del ponte girevole, alcuni nemici del militarismo, che hanno espresso tutto il loro sdegno nei confronti di questo spettacolo così violento e ripugnante. Le loro urla e gli insulti lanciati contro i militari hanno rotto l’assordante, complice silenzio di chi si limitava a godersi lo spettacolo, ed i sassi lanciati contro la fregata hanno provato a squarciare la zona grigia del tacito collaborazionismo di chi non ha mai il coraggio di chiamare per nome le cose.

Far pesare la scelta del proprio antimilitarismo – specie in questo periodo di propaganda guerrafondaia, passata dal covid alla guerra senza soluzione di continuità – è sintomo di una tensione etica particolarmente apprezzabile. Se stampa e politica nazionale tutta si sono affrettate a bollare sbrigativamente i manifestanti come “pacifisti” e a condannare il gesto, noi crediamo che urlare “Assassini!” a dei militari, a prescindere dalle contingenze storiche, sia pura e semplice verità. Smascherare il ruolo delle parole, che vorrebbero i soldati come “portatori di pace” è il primo semplice atto da compiere, per non scivolare sempre più in una realtà che vorrebbe farci credere che, al calar della sera, tutte le vacche sono grigie…

Da sempre, e per sempre, il lavoro – sporco – che i soldati sono chiamati a compiere è quello di fare la guerra e quindi di uccidere, e per questo compiono specifici addestramenti e vengono pagati. Solo la propaganda che annebbia le menti e lo svilimento di significato della lingua possono far dimenticare certe elementari banalità, così come solo una memoria selettiva può scordare, per esempio, che i marò Latorre e Girone, che hanno ammazzato due pescatori indiani pochi anni or sono, indossano la stessa divisa dei militari presenti sulla fregata “Carabiniere” e lavorano nella stessa zona. Un duplice omicidio che lo Stato italiano ha brillantemente risolto giusto pochi mesi fa, liquidando oltre un milione di euro alle famiglie degli assassinati in cambio dell’impunità.

La cronaca di questi giorni racconta la storia di un brutale esercito russo, pronto a massacrare la popolazione civile e a stuprare le donne; non racconta però che questa è pratica che appartiene a tutti gli eserciti del mondo e che l’immonda prassi dello stupro seriale e sistematico delle donne, appartiene alla storia di tutti i conflitti e, dal Vietnam a oggi – giusto per citare i massacri più vicini nel tempo – è stata ampiamente documentata. Una cronaca non scritta con la penna, ma con la baionetta che non parla della pratica della tortura come sistema scientifico applicato consapevolmente da ogni esercito, addestrato a farlo dal proprio Stato, così come hanno fatto i parà italiani in Somalia o i militari statunitensi ad Abu Ghraib.

In virtù di ciò, possiamo solo sentirci a fianco degli anonimi contestatori tarantini a cui ora la Digos sta cercando di dare un nome per accusarli di “vilipendio alle forze armate”. Reato che, semmai venisse provato, sarebbe solo faccenda di cui andare orgogliosi.

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Nuovi titoli in consultazione

  • L’umanità contro il vaiolo. Riflessioni storiche al di là del trionfo della Tecnica, ed. Acrati, Bologna, 2021, pp. 14;
  • Roberto Battaglia / Giuseppe Garritano, Breve storia della Resistenza italiana, ed. Einaudi, collana Piccola Biblioteca, Torino, 1955, pp. 337;
  • E. E. Evans-Pritchard, La donna nelle società primitive, ed. Laterza, collana Biblioteca di Cultura Moderna, Roma – Bari, 1973, pp. 286;
  • Edwin Mansfield, Microeconomia, ed. Il Mulino, collana Collezione di testi e di studi, Bologna, 1980, pp. 578;
  • Friedrich Engels, Sulla questione delle abitazioni, ed. Samonà e Savelli, collana La nuova sinistra, Roma, 1971, pp. 111;
  • Caligine. Parole al negativo tra le fosche tinte della realtà, n.3, Cesena (FC), autunno-inverno 2021, pp. 32;
  • L’urlo della Terra, n.9, luglio 2021, pp. 20;
  • Malamente. Rivista di lotta e critica del territorio, n.23, Fano (PU), novembre 2021, pp. 128;
  • Nunatak. Rivista di storie, culture, lotte della montagna, n.62, Cuneo, autunno 2021, pp. 62;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 1, n.1, ed. BFS, Pisa, 1994, pp. 157;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 1, n.2, ed. BFS, Pisa, 1994, pp. 171;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 2, n.1, ed. BFS, Pisa, 1995, pp. 174;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 3, n.2, ed. BFS, Pisa, 1996, pp. 213;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 4, n.1, ed. BFS, Pisa, 1997, pp. 174;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 4, n.2, ed. BFS, Pisa, 1997, pp. 174;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 5, n.1, ed. BFS, Pisa, 1998, pp. 136;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 5, n.2, ed. BFS, Pisa, 1998, pp. 142;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 6, n.1, ed. BFS, Pisa, 1999, pp. 134;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 7, n.2, ed. BFS, Pisa, 2000, pp. 138;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 8, n.1, ed. BFS, Pisa, 2001, pp. 95;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 8, n.2, ed. BFS, Pisa, 2001, pp. 143;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 9, n.1, ed. BFS, Pisa, 2002, pp. 142;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 10, n.1, ed. BFS, Pisa, 2003, pp. 147;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 10, n.2, ed. BFS, Pisa, 2003, pp. 126;
  • Rivista storica dell’anarchismo, anno 11, n.2, ed. BFS, Pisa, 2004, pp. 142;
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Il buon aguzzino

A chi abbia avuto modo di conoscere approfonditamente il suo operato, guidato da profonda carità cristiana, è corso un brivido lungo la schiena ascoltando le parole di don Cesare Lodeserto. «Io sono tornato a 25 anni fa. Come in questi giorni si apriva il Regina Pacis. […] Sembra di essere tornato indietro; quello che sembrava concluso di fatto ricomincia».

A margine di uno scenario di guerra, in queste sue parole si riflette solo un’altra dichiarazione di guerra: la guerra all’essere umano nel nome del profitto. Quello che sembrava concluso di fatto ricomincia.

Da anni operativo a Chisinau, in Moldavia, dove è stato mandato come missionario per sfuggire alle conseguenze penali del suo operato divino, don Cesare Lodeserto è tornato alla ribalta delle cronache per il suo ruolo nell’accoglienza dei profughi ucraini. Guerra e accoglienza, devastazione e migrazioni: un binomio indissolubile che il prelato ben conosce, e conosce fin troppo bene i profitti che, dalla disgraziata condizione di molti, si possono ricavare. Ma quello che fa più paura in questo suo ricominciare non è l’enorme flusso di denaro su cui andrà a mettere le mani, ma ricordare che quelle mani sono sporche del sangue dei più disgraziati fra gli ultimi. Quello delle decine di migliaia di persone che in 15 anni hanno varcato – loro malgrado – le porte dell’ex lager per immigrati clandestini a San Foca, Lecce: il CPT “Regina Pacis” di cui don Cesare era direttore e padre-padrone, e che gestiva con la più assoluta brutalità. Un luogo in cui le pareti erano macchiate del sangue degli immigrati, a volte picchiati dalle stesse mani benedette di don Cesare, altre volte dai suoi più fidi collaboratori – il nipote Luca Lodeserto, l’albanese Paulin Dokaj, la moldava Natasha Vieru, tutti nomi che ricordiamo bene – oppure dai carabinieri a guardia della struttura, e coperti dai medici che vi lavoravano. Un luogo in cui finivano donne che volevano sfuggire alla tratta della prostituzione, che vedevano la loro schiavitù passare dalle mani del lenone a quelle del prete, disposto a strappare i loro passaporti pur di tenerle rinchiuse e continuare a incassare denaro.

Per questo ci vengono i brividi pensando a questo nuovo inizio di don Cesare, ancora una volta pronto ad elargire la sua bontà… Perché pensiamo a quanti esseri umani potrebbero essere nuovamente rinchiusi, a quanti ancora una volta potrebbero essere pestati a sangue se non ubbidiranno alle sue direttive. Perché abbiamo ancora negli occhi il volto di Vasile Costantin, Vali, che nel tentativo di fuggire dal Regina Pacis è caduto dal muro ed è rimasto totalmente paralizzato, non sappiamo se per la caduta o per le conseguenze del brutale pestaggio che ha subìto mentre era per terra.

Ecco, pensare a quanti altri possibili Vali transiteranno dalle strutture gestite da don Cesare in Moldavia può solo farci rabbrividire, così come ci fa rabbrividire che un essere così spregevole, che abbiamo imparato a conoscere come un aguzzino e un torturatore di esseri umani, possa tornare, grazie all’informazione di guerra, a presentarsi come un uomo caritatevole e un benefattore dell’umanità. È proprio vero, come molte volte è stato affermato, che la prima vittima della guerra è il vero significato delle parole…

Chissà se tra i profughi che con tanto amore don Cesare accoglierà, non incontri almeno uno tra quanti questo aguzzino aveva accolto a San Foca, pronto a sdebitarsi per il bene ricevuto a quei tempi. La volontà divina potrebbe guidarne la mano…

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Iniziativa su Claudio Lavazza

Libertà per Claudio Lavazza

Venerdì 11 marzo h. 19

Ascolto di una audio intervista sulla vicenda giudiziaria e detentiva di Claudio.
A seguire:
I Fanfarroni, musiche randagie per quattro gatti.

Claudio è un compagno anarchico. Negli anni ’70 prende parte ad uno dei tanti gruppi armati che, in Italia, tentano l’assalto al cielo del sogno rivoluzionario, partecipando ad espropri, attacchi armati ed evasioni di quanti erano incappati nelle maglie repressive; scegliendo la clandestinità prima, e costretto alla latitanza poi, continua a compiere espropri finanziando i movimenti sovversivi in Europa. Arrestato nel 1996 in Spagna, dopo un conflitto a fuoco seguito ad una rapina in banca andata male, sconta 25 anni di carcere di cui otto trascorsi in regime di isolamento speciale, viene poi estradato in Francia nel 2021, condannato a scontare altri 10 anni di carcere. Qui, nonostante la legislazione europea stabilisca che il cumulo di pena scontato in Spagna assorba questa condanna, il governo francese, tramite i suoi guardiani togati, si rifiuta di liberarlo, sprangando le porte del carcere con ostacoli burocratici e cavilli tecnico giuridici. La liberazione di Claudio Lavazza è faccenda che non riguarda solo gli amanti della libertà. Strapparlo alle grinfie della giustizia francese è compito che spetta a tutti coloro che ardono per un mondo libero dalle catene delle prigioni e dell’autorità.

Biblioteca anarchica disordine, via delle anime 2/b Lecce
11 marzo

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Psicologia dello slogan

In mediocrazia tutto è collegato. L’arte mercantile è espressione della politica d’affari. Il pensiero si vende come tutto il resto, senza eccezioni alla regola (o meglio, viene venduto dai mercanti dopo averlo truccato. Ma si tratterà proprio di pensiero?).

Non possiamo passare sotto silenzio l’influenza nefasta della stampa sulle menti. Questa influenza, esercitata in mille modi, è la disgrazia peggiore per le popolazioni. Alla stampa dobbiamo la regressione dei cervelli, tanto quanto ai cervelli la regressione della stampa. L’una va di pari passo con l’altra. Sono altrettanto responsabili. La stampa avrebbe anche potuto reagire. Avrebbe potuto risalire la corrente. Ha preferito adattarsi. Quando si scorrono le pagine dei giornali pubblicati in Francia da circa mezzo secolo sembra di entrare in una necropoli. Si sente odore di muffa e di stantio. Sono veramente illeggibili. Fa paura tanta carta sprecata. Quante insulsaggini contengono! Che cumulo di idiozie! Ed è sempre peggio. Si continua a distrarre il popolino con storie inverosimili. La stampa non ha fatto alcun progresso dal punto di vista mentale, ammesso che ne abbia fatti dal punto di vista materiale. È totalmente inadeguata. E per quanto si sforzi di variare argomento, non fa che trattare sempre gli stessi con qualche variante in più. La sostanza non cambia. (…)

La stampa si impadronisce di tutto ciò in cui si imbatte, ingigantendo gli avvenimenti, snaturando i fatti, fabbricando reputazioni, lodando l’uno, sminuendo l’altro, a volte pro e a volte contro, raramente dalla parte del vero. Gli stessi temi tornano periodicamente in certi fogli a corto di ispirazione: il furto della collana di perle della signorina X, la nascita di cinque gemelli, il piccolo marinaio, il mostro di LochNess o il satiro di Bourg-la-Reine, matrimoni o divorzi di star, zuffe tra pavoni del teatro o del cinema, tresche di corridoio, duelli seguiti da riconciliazioni oppure no, interviste sensazionalistiche, questi sono alcuni degli altri centro nutrimenti mentali offerti dalla stampa ai suoi lettori. I quali consumano tutto ciò che viene loro propinato. Tanti slogan destinati ad atrofizzare le loro meningi. La stampa non sa più cosa inventarsi per riempirle. Loro, dopo aver letto il giornale, hanno il cervello più vuoto di prima.

La stampa d’informazione (Informazione? Deformazione sarebbe più giusto) si sofferma su soggetti insignificanti, come un incontro di pugilato o il «tour de France». Si fa beffe del pubblico con «l’uomo più grasso» o «la donna più magra». Non ci risparmia alcun particolare sul davanti o il didietro di tale cortigiana di fama. Attraverso essa si sa cosa mangia, beve o caga Tizio o Caio. Basta che un imbecille commetta un’eccentricità che gli dedica qualche colonna. Non passa sotto silenzio nessuna stupida scommessa, nessun gesto mirabolante. Insiste su dettagli senza interesse, che il più delle volte inventa. È ghiotta di scandali, come l’opinione che serve. Fa una gran pubblicità ai «crimini della mala». Le imprese delittuose vi occupano più delle opere di un gran saggio. Crea i processi e detta ai giudici le sentenze. Arma il braccio dell’assassino e deride la vittima. I titoli a caratteri cubitali attirano l’attenzione dei passanti. Decisamente, i giornalisti considerano i propri lettori degli idioti: non hanno tutti i torti.

Il giornalismo d’affari ha sostituito quello delle idee. Ne consegue che taluni fogli siano buoni solo «come carta da cesso». «Quotidiani» e «periodici» hanno lo stesso scopo: divertire il popolino. L’illustrazione serve a sottolineare l’insufficienza del testo. I ritratti di criminali, acrobati, politici, vi figurano in tutte le posizioni. Per far rimanere a bocca aperta i loro lettori, che li anelano in cambio di denaro. Quei deformatori dei fatti che sono i giornalisti – per lo meno alcuni di loro – presentano al pubblico le cose in maniera tale da mostrare solo il fuoco. Il pubblico crede alla loro parola, talmente appaiono sinceri. Si beve tutte le loro fandonie. I giornali prendono il volo seminando i loro escrementi un po’ dappertutto, accolti a braccia aperte dalla popolazione. L’occultamento della verità è la prima condizione per fare un buon giornalista. Chi non è capace di camuffarla è uno scadente scribacchino. (…) Oggi si è interessati soltanto ai chiacchieroni. Si presta orecchio solo ai ciarlatani. Si ama – sempre che si possa definire «amare» – ciò che non ha sostanza né forma. Che è anemico e amorfo. Che non ha alcuno slancio. Che non sta in piedi. Che manca di carattere. Ciò che assomiglia a tutto e a niente. Si conoscono i minimi dettagli della vita delle star e degli sportivi. Si ignorano i nomi di uno studioso che ha arricchito l’umanità, di un medico vittima della propria abnegazione, di un artista o uno scrittore che hanno trascurato di pubblicizzare le proprie opere. È normale in una società che applaude solo i guitti. Il denaro va a chi non ne ha bisogno, mentre chi lo utilizzerebbe per creare bellezza ne viene privato.

La mediocrazia detta la legge. Chiunque non si sottomette ai suoi capricci viene da essa considerato indesiderabile. Essa esige un’obbedienza passiva assoluta.

Gérard de Lacaze-Duthiers, Psycologie du slogan, ed. René Debresse, 1940

Tratto da Propaganda, detergente del pensiero critico, ed Gratis, 2021

Disponibile per la consultazione e la vendita

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Nuovi titoli in distribuzione

  • Claudio Lallai, Filosofia e deserto. Le dimensioni dell’Unico nella filosofia di Johann Caspar Schmidt, ed. Arkiviu bibrioteka “T. Serra”, 2022, pp. 63, € 5;
  • Caligine n.3. Parole al negativo tra le fosche tinte della realtà, autunno-inverno 2021, pp. 32, € 4;
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Nuovi inserimenti in Biblioteca

  • Navone Lorenzo (a cura di), Confini, mobilità e migrazioni. Una cartografia dello spazio europeo, Agenzia X, 2020, pp. 267;
  • Malinowki Bronislaw, Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Boringhieri, 1969, pp. 286;
  • Jung Carl G., Il problema della malattia mentale. Psicologia della dementia praecox e altri scritti, Boringhieri, pp. XII + 306;
  • Lettere della Resistenza europea, Einaudi, 1973, pp. 344;
  • Addario Nicola (a cura di), Inchiesta sulla condizione dei lavoratori in fabbrica (1955), Einaudi, 1976, pp. XXXVI + 195;
  • Adorno Theodor W. / Horkheimer Max, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, 1997, pp. XLVI + 281;
  • Dolci Danilo, Racconti siciliani, Einaudi, 1980, pp. 251;
  • Rigoni Stern Mario, Quota Albania, Einaudi, pp. 151;
  • De Matteis Lino, Quel 12 novembre. Il Settantasette a Lecce, Gino Bleve, 1997, pp. 135;
  • Dagerman Stig, Il serpente, Iperborea, 2021, pp. 313
  • Tabor Michael Cetewayo, Capitalismo più droga uguale genocidio, Nero Abisso, s. d., pp. 30;
  • Bocchi Gianluca / Ceruti Mauro, Solidarietà o barbarie. L’Europa delle diversità contro la pulizia etnica, Raffaello Cortina, 1994, pp. 213;
  • Rabelais Francois, Gargantua e Pantagruele, Sansoni, 1998, pp. XVIII + 767;
  • Arrabal Fernando, Opere I, Spirali, 1992, pp. 1580;
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L’UOMO CANCELLATO

Quando pian piano ritornò alla realtà, con ancora frammenti di sogno alla memoria, non aprì subito gli occhi ma si sforzò di non perdere il contatto con l’altrove, ritardando l’incontro con l’adesso.

…Era come una grotta del sentiero stretto e tortuoso… odori di muschio antico… rumori leggeri e ritmici, come sistole e diastole scandenti il passare del tempo, stalattiti e stalagmiti a misurarne il deposito, l’ampiezza del dolore e dell’attesa… andare avanti per ritornare all’origine… avanti fino alla fine della grotta, l’inizio del tutto… alla fine del sentiero, quando l’odore muschiato si fa irresistibile, quando il traguardo, la calda cuccia, l’accogliente alveo è quasi raggiunto, il risveglio… il ritorno di una mancata partenza…

Aprì gli occhi ritornando all’eccitazione dell’adesso.

Nel suo spazio recintato c’era solo una branda, un tavolino, uno sgabello, un piccolo armadietto a muro, una piccola finestra troppo in alto per guardare fuori, una porta di ferro e quattro mura. I suoi unici averi erano una matita, una gomma ed una fervida fantasia continuamente braccata dal dilagante grigiore.

Sul tavolino disegnò una fumante tazza di caffè ed una brioche. Iniziò a sbocconcellare e a sorseggiare lentamente, assaporando l’ultimo miracolo della sua fantasia. Poi, cancellò con cura le piccole briciole e la tazza vuota. Dopo qualche frammento di eternità, iniziò a disegnare sul muro: un prato fiorito, qualche albero, un fiume, un cane, una giovane ragazza seduta sull’erba.

Si sdraiò sulla branda e per lungo tempo fissò la ragazza, aspettando. Lei non veniva da lui e lui non poteva andare da lei. Stette molto tempo ad aspettare, ma non accadde proprio nulla. Allora, lentamente e dolorosamente, iniziò a cancellare sé stesso, finché non rimase che una cella vuota.

Questo piccolo fatto, come tanti analoghi, non sollevò alcuna indignazione.

Horst Fantazzini, Bursto Arsizio 1988

Tratto da Ormai è fatta! ed. Nautilus – El Paso

disponibile per la consultazione

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Wall of chaos

Venerdì 4 febbraio ore 19:00

Proiezione di Wall of chaos, docufilm di Omar Pesenti, 2020

Siamo a Lipsia, Germania Est: un sedicenne come tanti, soffocato dalla monotonia delle regole del regime comunista, vede nel punk l’unica strada per rompere il muro di terrore che delimita ogni passo della sua esistenza. Ciò attirerà l’attenzione della polizia segreta.

Biblioteca anarchica disordine, via delle anime 2/b Lecce

WALL OF CHAOS 4

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Mandare all’aria

Per “convincere” le persone a vaccinarsi, ma soprattutto a seguire pedissequamente le regole imposte e quindi ad essere obbedienti, lo Stato tramite i sui Governi, sostenuto dai suoi tecnici e dai media, ha terrorizzato e ricattato, privato di diritti e libertà, minacciato, umiliato, denigrato e irriso, censurato, sospeso dal lavoro, impedito il lavoro, obbligato, escluso, diviso la società in due, alimentato il tifo, additato, condannato, criminalizzato, mentito, imbrogliato, confuso, creato ansia e paura. Ancor prima e ancor peggio ha assassinato 14 detenuti nel marzo 2020, i quali, rivoltandosi insieme a molti altri, chiedevano di non morire come topi in gabbia. Lo Stato ha preferito eliminare alla radice il problema, ammazzandone alcuni affinché fosse chiaro a tutti che la fase cosiddetta emergenziale che si stava aprendo avrebbe assunto connotati ben precisi. Restrizione delle libertà e terrore profuso a piene mani, ma con il leit-motiv dell’“andrà tutto bene”.

Non sono stati solo i detenuti ad essere stati ammazzati nel compimento di una strage di Stato, ma migliaia di persone, morte per incapacità e negligenza a gestire la situazione, taglio decennale di risorse, personale e ospedali, fondi e privatizzazioni. Aver trovato ora un capro espiatorio utile su cui riversare tutto il fallimento della gestione della pandemia non può far dimenticare le responsabilità di chi ha determinato tale situazione. La pandemia ha responsabili e cause ben precise da ricercare nel sistema tecno-industriale che si impone sempre più. Che abbia riguardato l’aspetto della salute ha chiarito maggiormente quanto essa sia considerata merce da cui trarre profitti stratosferici. Salute che da tempo non è più sinonimo di cura o benessere, ma di medicalizzazione e rendita. Infine, e forse più importante, digitalizzare e controllare, accumulare e amministrare, dati su dati, personali e commerciali, privati e pubblici, è il risultato raggiunto in breve tempo e che apre gli scenari di una economia basata su questa nuova merce. Il green pass infatti non è altro che questo: il controllo, l’accumulo e la gestione di dati, oltreché l’abitudine a dimostrarsi docili e obbedienti, ad essere controllati e raggiungibili ovunque, ad essere normati e schedati, ad essere codici che si muovono. Al lavoro, sull’autobus, al ristorante, al bar, dal parrucchiere, al cinema, in libreria, al centro commerciale, in biblioteca o al museo, in aereo o sul treno, in posta o in banca, in palestra o in piscina, dal tabaccaio. Quante volte esibirete il vostro green pass in un giorno? E quante volte lo chiederete trasformandovi in sbirri?

E alla fine cosa sarà rimasto? Una società che discrimina e divide, senza solidarietà e responsabilità, al contrario di ciò che si fa credere, poiché la responsabilità di cui parlano è una delega in bianco che comporta mera obbedienza.

È tempo di mandare all’aria questa normalità, di rifiutare e disertare questa guerra. Oppure rassegnarsi a morire di essa, in silenzio.

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